(2016)
Se siete appassionati di prog, e
in particolar modo di rock progressivo italiano, non potete ignorare il nome
degli Eris
Pluvia. Quel capolavoro che fu “Rings
of earthly light” innegabilmente fu tra i dischi che segnarono la piena
rinascita del movimento progressivo nel corso della prima metà degli anni ’90,
una vera e propria perla che ha portato la band ligure in giro sui palchi di
Brasile, Corea del Sud, Francia, Giappone e USA. In quel periodo la scena
italica, dopo essersi letteralmente eclissata nei primi anni ’80, era tornata,
dalla fine del decennio, più viva e roboante che mai.
Gli Eris Pluvia segnavano anche
la rinascita della nobilissima scuola genovese del prog, che tanti maestri
indiscussi del genere aveva forgiato negli anni ’70 e tanti ne continua a
sfornare ancora adesso. Nella band militò anche un nome illustre come Edmondo
Romano, che nel corso della sua carriera ha prestato e continua a prestare le
sue prodezze con le ance degli strumenti a fiato a nomi come Vittorio De
Scalzi, Picchio dal Pozzo, diversi cantautori e numerose folk-bands.
La storia degli Eris Pluvia,
però, come spesso è accaduto a tantissime bands italiane del circuito più
indipendente, è stata travagliata, sofferta, segnata da cambi di formazione,
scioglimenti, lunghi periodi di pausa e persino lutti. Oggi la band è portata
avanti con orgoglio e determinazione da Alessandro
Cavatorti, chitarrista appartenente alla formazione originale del 1988, che
però già negli anni ’90 era uscito dal gruppo.
E veniamo finalmente a oggi: già
come suona anche solo a pronunciarlo, quel titolo “Different
Earths”, pare al tempo stesso estremamente simile, dal punto di
vista fonetico, a “Rings of earthly light”,
ma sembra anche una presa di distanza, con quel “Different” che sottolinea qualcosa
di diverso.
Diverso nella continuità, però.
Per chi, come il sottoscritto è stato adolescente negli anni ‘80, e quindi
appartiene a quella generazione che si affacciava al prog proprio in quel
periodo di nobile rinascita, un album così è come zucchero per le orecchie.
Tutto: le sonorità, la produzione, i lunghi tappeti distesi delle tastiere, gli
effetti sulle chitarre, le linee di batteria, richiama in modo inequivocabile e
incontrovertibile a una determinata scena musicale.
Insomma: chi ha amato gli Eris
Pluvia del loro periodo d’oro, ma non soltanto, chi ha seguito con emozione i
primi passi dei gruppi italiani e stranieri loro contemporanei, tra la fine
degli ’80 e i primi ’90, si ritroverà molto in questo disco, lo scoprirà con
interesse e, nelle sue sfumature e sfaccettature, assaporerà un gusto da
“madeleine proustiana” che farà affiorare tanti emozionanti ricordi su quel
magico tempo progressivo che fu.
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