Racconti sottoBanco
Nella villa Torlonia
di Frascati, il 27 giugno 2009, il Banco del Mutuo Soccorso esegue dal vivo, per intero l'abum "Darwin!".
Per ricordare quella
memorabile giornata ho scelto questo bellissimo articolo di Teo Orlando, che fa rivivere a chi
c'era quelle inconfondibili sensazioni.
Wazza
Articolo
di: Teo Orlando
Il Banco del
Mutuo Soccorso ha
suonato lo scorso 27 giugno a
Frascati a
Villa Torlonia presentando l'opera Darwin! Alla
voce Francesco Di
Giacomo per una rentréedi tutto rispetto e del tutto progressive.
Quando l’autorevole rivista inglese Gnosis stilò una sorta di graduatoria dei
migliori album del genere progressive,
molti appassionati del genere non credettero ai loro occhi vedendo che il primo
posto non era occupato da uno dei capolavori di una band britannica.
Né il seminale In the Court
of the Crimson King degli
insuperabili King Crimson del geniale Robert Fripp o
il leggendario Pawn Hearts degli immensi Van Der Graaf Generator con la stratosferica voce di Peter Hammill, o il cesellato Selling England by the Pound dei migliori Genesis di Peter Gabriel (che
si classificò al secondo posto di stretta misura) o l’irriverente Aqualung dove Ian Anderson guidava i Jethro Tull verso
rotte blasfeme; e neppure qualcuna delle sofisticatissime opere dei
sottovalutati bardi della sperimentale scuola di Canterbury, dai Caravan agli Henry Cow fino ai Gong.
A guidare la
classifica e a surclassare cotanta concorrenza fu un disco di un gruppo italiano, e d’origine romana, per giunta. Siamo nel 1972 quando
il Banco del
Mutuo Soccorso pubblica Darwin!,
forse il primo concept album compiuto concepito da una band italiana.
Tema e testi di notevole complessità, con l’intreccio di
argomenti biologici, cosmologici e filosofici, e con un tasso di irriverenza
che all’epoca fece gridare allo scandalo.
La performance ha
avuto luogo nella suggestiva cornice di Villa
Torlonia a Frascati, il 27 giugno scorso, e ha visto il Banco nella
formazione originale, con l’aggiunta
di una recitazione affidata all’attore Alessandro
Haber, preceduta da unintroduzione quasi teatrale ad opera del cantante del gruppo, Francesco Di Giacomo, che in modo semiserio ha
cercato di ammaestrareil pubblico sulle teorie di Darwin.
Le premesse
ideologiche del
disco del Banco sono in effetti ispirate al darwinismo e alle sue conseguenze: in
particolare, viene pienamente accolta l’idea per cui le teorie di Darwin abbiano inferto un colpo
mortale alla credenza nella creazione
divina dell’uomo e nell’ordine finalistico della natura, voluto
dall’intelligent design di unentità provvidenziale e orientato verso una tendenza
intrinseca all’armonia.
Secondo Darwin, infatti, tutte le specie
viventi e la loro evoluzione sono determinate da tre
fattori principali: 1) La variabilità spontanea delle popolazioni, sia vegetali,
sia animali: ciò vuol dire che le variazioni genetiche che spiegano le
differenze tra gli individui di una stessa specie sono assolutamente fortuite; 2) la selezione
naturale prodotta
dall’ambiente, in base alla quale gli individui che meglio si adattano alle
condizioni ambientali appaiono anche più favoriti nella lotta per l’esistenza e
nelle contese sessuali; 3) la trasmissione ereditaria dei caratteri, sviluppati
liberamente e selezionati dall’ambiente, a un numero sempre più ampio di
discendenti, finché non si forma una nuova specie.
Il ruolo cruciale delle variazioni fortuite rendeva superflua ogni
ipotesi di unautoregolazione
finalistica della
natura e permetteva di spiegare l’evoluzione biologica unicamente sulla base di cause
meccaniche e naturali.
Tuttavia, dato che, secondo Darwin, l’adattamento all’ambiente non produce
direttamente caratteri nuovi, ma si limita a favorire la
permanenza di alcuni caratteri rispetto ad altri, il modello darwiniano è meno rigido e deterministico
di quanto si pensi: sono i caratteri genetici intrinseci dell’individuo a
essere prioritari, ma essi sono frutto di una variazione casuale di partenza
che non si combina agevolmente con previsioni ferree e necessitate.
Così, l’evoluzione
biologica non può essere rappresentata come una linea retta che dalle forme più
elementari di vita condurrebbe fino alle scimmie
antropomorfe e all’homo
sapiens. È più
corretto dire che levoluzione è un processo
aperto,
costituito da salti e deviazioni impreviste, da tentativi ed errori, da rami
secchi e discendenze interrotte fino a possibili regressioni a forme di vita
più primitive.
Qualcuno potrebbe obiettare che i temi darwiniani non si prestano
particolarmente ad una trasposizione musicale e poetica, in nome di unastratta separazione tra
la creatività artistica e i risultati delle scienze. Ma si tratterebbe di un
giudizio erroneo ed affrettato. Il connubio tra poesia e concetti
scientifici risale
almeno al De rerum natura di Lucrezio e, quanto al darwinismo,
esso trovò una notevole trasposizione nella visione pessimistica e agnostica di Thomas
Hardy, che ci
sembra molto vicino alle liriche del Banco
Il grande scrittore
inglese obliterò ogni visione provvidenziale dietro lo spettacolo della pena di vivere e
dello struggle for
life, come si evince dalla poesia Hap (Il caso,
1898): Crass Casualty obstructs the sun and rain,/And dicing Time for
gladness casts a moan (La fortuna balorda ostruisce il sole e la pioggia,/E il Tempo
biscazziere per allegria getta i dadi di un lamento). Lidea centrale di Hardy, che fonde abilmente il Darwin di On the Origin of Speciescon lo Schopenhauer di Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come
volontà e rappresentazione, 1818-19) e la sua concezione
della volontà ciecamente operante, è forse espressa
nella maniera più pregnante da Sue Bridehead,
una delle protagoniste del romanzoJude the Obscure (1895):
Il mondo somigliava a una stanza o a una melodia
composta in un sogno; si presentava come mirabilmente eccellente per unintelligenza semi-desta, ma irrimediabilmente
assurdo allorché ci si è completamente svegliati. La Causa Prima aveva
lavorato automaticamente come un sonnambulo, e non riflessivamente come un
saggio.
Temi analoghi presentano appunto i testi del Banco, che non a caso vennero percepiti all’epoca come provocatori e rivoluzionari. E questa
carica dirompente si è mantenuta intatta e vitale anche durante il concerto,
che ha seguito fedelmente la tracklist dell’album originario.
Stupefacente
ancora oggi la possente voce di Di Giacomo, quasi da baritono, che senza il benché
minimo tremolio ha accompagnato le tastiere di Vittorio Nocenzi, le chitarre di Rodolfo
Maltese e Filippo
Marcheggiani, il
basso di Tiziano Ricci, la batteria di Maurizio Masi e i fiati di Alessandro
Papotto. E
questa voce ha cominciato a cantare le liriche allinterno del primo brano,
dopo qualche minuto di introduzione strumentale. Brano che si intitola
significativamente L’evoluzione. Evoluzione della musica come emblema del progressive ed evoluzione dell’universo
senza necessità di postulare una Causa Prima: Prova,
prova a pensare un po' diverso/niente da grandi dèi fu fabbricato/ma il creato
s'è creato da sé.
La visione è senz’altro orientata verso un deciso materialismo: sono solo cellule,
fibre, energia e caloreciò che
spiega la genesi del cosmo e della vita. Ogni creazionismo di
matrice biblica viene
apertamente contestato: E se nel fossile di un
cranio atavico/riscopro forme che a me somigliano/allora Adamo non può più
esistere/e sette giorni soli son pochi per creare/e ora ditemi se la mia
genesi/fu d'altri uomini o di quadrumani.
E come il cosmo si è originato da pochi elementi,
così il progressive ha dilatato i confini del rock
ampliando la base blues,
aprendosi al jazz e alla musica classica, utilizzando i cosiddetti metri additivi (ossia
i tempi dispari), che caratterizzano questo brano e tutti gli altri dell’album. Notevolissimo luso dei sintetizzatori che
richiamano alla mente il dispiegarsi
dell’universo dal caos originario, scene di origini primordiali e vulcani in eruzione.
Dopo i 20 minuti del primo brano, che si chiude con una polifonia strumentale
memore degli impasti sonori dei Gentle Giant,
si viene proiettati ex abrupto nell’evoluzione della specie umana: La conquista
della posizione eretta ci
ricorda irresistibilmente la scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio,
nella quale il genio di Stanley
Kubrick aveva
messo in scena una tribù di australopitechi che si ergevano trionfanti, dopo aver
conquistato la capacità di camminare come bipedi eretti, brandendo un osso danimale trasformato in arma offensiva. Prima di
trasformarsi in ominide,
la scimmia antropomorfa cammina a quattro zampe, inseguendo l’odore di bestia e l’orma di preda. Poi, provando e riprovando (il trial and error, che daDarwin stesso a Karl R. Popper caratterizza
così tanto l’intelligenza
umana!), ergendosi e cadendo ripetutamente, si avvierà verso la definitiva
emancipazione dal mero stato animale, proiettandosi verso traguardi infiniti: E dove l’aria in fondo tocca il mare/lo sguardo dritto può guardare.
Segue poi a modi intermezzo la Danza dei
grandi rettili: il mellotron e le chitarre intrecciano una sorta di
ballo funky-progressive. Poco importa che cronologicamente questo brano avrebbe
dovuto precedere il secondo: come è noto, infatti, i dinosauri si sono estinti
molti milioni di anni prima della comparsa dei primi ominidi. Ma l’anacronismo serve anche a sottolineare la dimensione
profondamente preistorica in cui si muove
tutto l’album e la performance che ne deriva.
Dalla preistoria si passa comunque alla protostoria con Cento mani e cento occhi. Siamo immersi in una
dimensione hobbesiana,
dove cominciano a formarsi i primi consorzi sociali, seppure finalizzati alle
battute di caccia: Laggiù altri ritti vanno insieme/insieme stan
cacciando carni vive/bocche affamate braccia forti/scagliano selci aguzze con
furore. Si pone però il dilemma all’incerto ominide: unirsi alla forza di cento mani e alla
vigilanza espressa da cento occhi, propri di esseri che diventeranno da branco
una tribù e costituiranno prima villaggi e poi città? Oppure fuggire dagli
altri uomini, praticando un solitario bellum omnium
contra omnes?
Il concerto continua ancora con la ripresa de L’evoluzione e con due altri
brani dalla produzione del Banco, la pacifista R.I.P. e Non mi rompete: una
conclusione perfetta per un connubio tra il progresso nella scienza e il progressive nella musica.
Photostory di Claudio
Petrucci
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