di Evandro Piantelli
I Marygold sono una band di
rock progressivo e vengono da Verona. Il nucleo storico è attivo fin dal 1994,
quando col nome di Wildfire proponevano
cover dei Marillion (periodo Fish), ma dal 2015 la band ha cominciato a suonare
brani di nuova composizione e, con nuovi innesti, ha iniziato una strada diversa, pubblicando nello stresso
anno il CD “The guns of Marygold”.
Contemporaneamente il quintetto ha dato impulso all'attività live, partecipando
anche a numerosi festival in compagnia di gruppi italiani prestigiosi (Balletto
di bronzo, Osanna e Banco del Mutuo Soccorso, solo per citare i più
conosciuti). Dopo qualche anno di rallentamento dell'attività la band, con la
formazione attuale di Guido Cavalleri – voce e flauto, Massimo Basaglia –
chitarre, Marco Pasquetto – batteria e Alberto Molesini – basso (che però ha
lascito la band alla fine delle sessions di registrazione ed è stato sostituito
da Marco Adami, tornato dopo qualche anno di assenza), ha dato alla luce nel
2017 il nuovo lavoro intitolato “One light year”,
un disco di prog, cantato in inglese
Si comincia con “Ants in the
sand”, un pezzo che racconta la brulicante vita all'interno di in un
formicaio, tragicamente conclusa dall'allagamento ad opera dell'uomo. Il pezzo
è sorretto soprattutto dalle tastiere, mentre gli interventi della chitarra
elettrica sono più limitati. A metà del pezzo alla voce di Guido Cavalleri si
affianca quella dell'ospite Irene Tamassia, conferendo al brano una certa
dolcezza. Bello l'assolo di chitarra che conclude il pezzo.
Si prosegue con “15 Years”,
canzone sulle difficoltà adolescenziali, caratterizzata dai numerosi cambi di
tempo e da un bel lavoro di chitarra nella parte centrale. Nel finale emergono
atmosfere Marillion, forse bagaglio del passato di cover band.
“Spherax H20” è il brano
più lungo del disco (12'28”) e ci racconta di astronavi e di scenari
post-apocalittici (il testo si basa su un racconto dello scrittore Wanderlei Danielsky). Piacevole la
parte centrale prevalentemente strumentale dove dialogano le tastiere e le
chitarre ed interviene il flauto, in quello che, a mio parere, è il brano più
centrato del disco, dove c'è anche il migliore equilibrio tra voce e strumenti.
“Travel notes in Bretagne” è un pezzo velato di una certa malinconia che ci descrive la bellezza
della regione francese, mentre i successivo“Without
stalagmite” è l'unico brano (dal vago sapore Camel) interamente strumentale del disco.
“Pain” è un pezzo molto gradevole, con le tastiere sempre
in primo piano, che ci racconta di un uomo che porta su di sé una maledizione.
Conclude il disco“Lord of time”, dal
testo che ricorda le saghe nordiche (“I see him sitting on a marble throne ..”).
E' un brano che si differenzia dal resto dell'album perché più orientato sul
versante metal-prog, con la chitarra
in particolare evidenza, ma con un ritorno delle tastiere nella parte finale.
Il giudizio complessivo sul “One
light year” è positivo, perché i pezzi sono gradevoli e dimostrano una
certa personalità, anche se ci sono molti richiami al neo prog inglese degli
anni '80. Vorrei fare però un paio di osservazioni. Per prima cosa, mi sembra
che lo spazio occupato dalla parte cantata
a volte sia un po' eccessivo, poiché siamo di fronte a brani piuttosto
lunghi che possono risultare appesantiti. Inoltre, e lo dico senza pretesa di
dare giudizi tecnici di cui non ho le competenze, la voce del cantante non mi
entusiasma. Detto questo, lo ribadisco, si tratta di un lavoro interessante,
che si ascolta piacevolmente, con testi molto curati e sicuramente non banali,
complessivamente ben realizzato all'Opal Arts Studio di Verona, con la sapiente
regia di Fabio Serra. Sono sicuro
che lavorando un pò di lima i prossimi lavori dei Marygold saranno ancora più interessanti.
Formazione:
Guido
Cavalleri:
voice and flute
Massimo
Basaglia:
guitar
Marco
Pasquetto:
drums
Stefano
Bigarelli:
keyboards
Marco
Adami:
bass
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