PAUL ROLAND: “1313
MOCKING BIRD LANE” plus “SUMMER OF LOVE” (single)
Di Andrea Pintelli
Mr. Paul Roland è un genio. Oggettivamente, suvvia. Non solo Frank
Zappa la pensava così, ma anche il fior fiore dei giornalisti (per Record
Collector è uno “psych-pop genius”, mentre per Shinding è “the King”), colleghi
musicisti, addetti ai lavori, ma soprattutto quella schiera di ascoltatori che
lo venerano, al cospetto di uno dei maggiori compositori contemporanei a
cavallo fra ‘900 e questo nuovo secolo che tanto ci dà da pensare.
Discuteremo qui e oggi del suo 20° album,
uscito per la Unifaun Productions, sottoetichetta della sempre più prolifica e
(oltre-ogni-immaginazione) interessante Dark Companion Records, intitolato “1313 Mocking Bird Lane”.
Fin dal suo esordio discografico del 1979 con
il capolavoro “The Werewolf of London”, il nostro si è costruito una carriera
all’insegna della qualità, del verbo esoterico al servizio della Musica, dei
cardini d’approccio verso le varie materie da lui fin qui trattate. Si tratta di
una persona profondamente intellettuale, alla continua ricerca del Sé superiore
quindi ben oltre il proprio karma. Proprio questa urgenza di non accontentarsi
mai, lo ha portato ad essere un autore quasi bulimico, se guardiamo per un
attimo i numeri che lo rappresentano, equamente suddivisi fra musica e
scrittura (di cui non ci occuperemo, per ovvie ragioni). Muovendosi fra
oscurità e mistero, fra argomentazioni elitarie prese in esame e tematiche
macabre, gotiche ma suggestive, Paul Roland rilascia così questo spettacolare
disco a cavallo fra generi e oltre essi, pensato e realizzato in un tripudio di
forza espressiva. Anzi, ripetendomi di proposito, utilizzando la melodia per
(involontariamente?) creare una via vicinissima e fortemente attinente a quel
che si può definire “neo-espressionismo”.
Ottimamente coadiuvato da Mick Crossley, Annie
Barbazza, Joshua Roland, Marco Colombo ed Elia Callegari, fa aprire questo
lavoro da “Salone of the Senses”, la quale ha chiari riferimenti alla Parigi di
fine ‘800; supportata da una linea melodica accattivante, a tratti dolcissima,
ci riporta alla mente proprio quel periodo e quel luogo che furono teatro della
rinascita della bellezza europea, che diedero una sterzata verso la bellezza,
altrove lasciata deperire. Faurè ne sarebbe entusiasta. “My Next Life” vira
verso lidi più rarefatti, in cui arpeggi e voci soffuse la fanno da padrone;
primo episodio dove la componente dark emerge insieme ad un’armonia di stampo
pinkfloydiano. “When Chet Baker Sings” gioca coi suoni tipici degli anni ’80,
tastierine simpatiche e battiti ovattati; il tutto per spiegarci come e quando
un altro genio, del jazz in questo caso, ci metteva la voce della sua anima,
attraverso la sua eterna tromba. Si cambia nuovamente con “Whatever Happened to
Baby Jane?” uscita direttamente dalla new-wave più classica; ritmo e
distorsioni trascinati da una batteria incalzante. “She’s a Mind-Reader” molto
sixties oriented, con i suoi squarci luccicanti e una formidabile resa dal
punto di vista dell’intento d’autore; lo stesso discorso valga per “Won’t Go
Surfin’ No More” il cui titolo dice tutto e dove ci si addentra nei suoni di
quell’epoca baciata dal Sole. “Voodoo Man”, invece, è la testimonianza che Dr.
John è ancora qui con noi e non se andrà mai, anche se continuerà a respirare
nella sua New Orleans, qui omaggiata a dovere. Segue “Joe Strummer Said”,
(very) pop song che esprime il messaggio del compianto leader dei Clash secondo
Mr. Paul, o perlomeno a suo modo di vedere (sentire). Feeling col proprio
passato perfettamente riuscito, in 3 minuti dice tutto. “Another Ingram Bergmar
Interlude” e il cinema d’autore svedese; ecco, avrebbe potuto benissimo far
parte della colonna sonora di uno degli insuperati film del maestro nordico;
chitarre incrociate e voci che profumano d’occulto. D’altri tempi, da gustare e
rigustare senza mai annoiarsi. “Little White Lies” è leggerissimamente
lisergica (!) nel suo rotondo incedere, in un riferimento (ancora) agli anni
’60, in cui il pop di certo non era quello vuoto e tragico del giorno d’oggi.
Insieme a “Summer of Love” costituiscono, per chi scrive, uno dei più originali
inchini d’autore al 1967 che siano mai stati partoriti da una mente libera e
consapevole di esserla. Senza mai copiare nessun altro, senza mai sdoppiarsi in
qualcosa di già sentito, potete tranquillamente metterla in quadro, tant’è
bella e soffice. Odori d’incensi al patchouli messi sul pentagramma. “She’s My
Guru” avanza tra chitarristiche trame squisite e voce gentile e soave controvoce.
Incrociate tutto questo agli archi e ne avrete un pezzo pressoché perfetto.
Chiude quella “1313 Mocking Bird Lane” che dà il titolo all’album, e lo fa in
un tripudio di tamburi e casse, chitarre d’assalto e tastiera beat; garage
revival che nulla ha da invidiare ai vari Morlocks, Fuzztones, ecc. Insomma, si
chiude ripartendo all’impazzata. Gran bel disco signore e signori, fidatevi.
Basta, fin da subito, lasciarsi ammaliare dalla splendida copertina.
Il singolo estratto dal disco è, Ça va sans
dir, “Summer of Love”, magnifica. Lo dico ancora, certo! Seguono un acoustic
mix di “Little White Lies” e le versioni demo di “Another Ingmar Bergman
Interlude” e “My next life”.
La fervida immaginazione di Paul Roland, forgiata da anni di studio, ne ha quindi creato un formidabile scrittore, impeccabile nel definire situazioni in musica e parole, forse un viaggiatore del tempo, sicchè pare davvero arrivato da un’altra epoca (il suo amatissimo ‘800, su per giù ma non solo) per accompagnarci verso una dimensione che possa rappresentarci meglio, urlandoci a bassa voce quanto certi orpelli siano inutili per la nostra sopravvivenza. Dovrebbe essere celebrato in altro modo mr. Paul, senz’altro in maniera più estesa, netta ed eloquente, ma si sa che il popolo è bue e si accontenta di quel che gli passano i mass-media, riversandosi totalmente in una troppo facile strada che del disimpegno è maestra, ma che porterà verso una terra arida di futuro. Siamo ancora in tempo per cambiarla?
Paul Roland
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