Rubare è
un reato, ma non nella musica rock. Il caso "Bombay Calling"
di
Innocenzo Alfano
articolo
del sabato 27 novembre 2010
Nelle sacre scritture,
come si sa, c’è scritto, in varie forme, che non bisogna rubare, perché chi
ruba commette un peccato, del quale dovrà poi rispondere alla propria coscienza
ma soprattutto a Dio. Nei dieci comandamenti della tradizione cattolica e luterana
il divieto di rubare si trova al settimo punto, subito dopo quelli di “non
uccidere” e di “non commettere atti impuri”. Anche le leggi di tutti gli Stati
avvertono che rubare non è permesso; chi lo fa e viene poi scoperto sarà
costretto a trascorrere un periodo più o meno lungo di reclusione dentro un
istituto di pena. Naturalmente pure nella musica rock un siffatto divieto ci
sarebbe, in modo specifico il divieto di appropriarsi illecitamente di brani
altrui, solo che farlo rispettare non è (mai stato) affatto semplice.
I furti nella musica
rock, documentati e non, sono numerosissimi. Sono così tanti che ormai la
prassi viene considerata “normale” – nel rock sono in effetti considerate
normali cose che in tutti gli altri campi dell’agire umano sarebbero ritenute
disdicevoli – e perciò molti casi di plagio non vengono neanche più notati,
oppure, appunto, si fa finta di nulla. Qualche volta però i plagi fanno ancora
scalpore, in particolare se coinvolgono musicisti o cantanti famosi: molti
senz’altro ricorderanno la vicenda giudiziaria che vide protagonisti, nella
seconda metà degli anni ’90, il nostro connazionale Albano Carrisi e il “re del
pop” Michael Jackson, accusato da Carrisi di aver rubato melodia e ritmo di una
sua canzone intitolata I cigni di Balaka al fine di costruirci un pezzo di
successo come Will You Be There. L’episodio, visti i nomi dei personaggi
coinvolti, suscitò in Italia parecchio clamore, e di conseguenza se ne parlò
molto. Ma facciamo ora un salto nel tempo di ben 41 anni, e vediamo che cosa
combinarono gli ormai dimenticati It’s A Beautiful Day alle prese con una
melodia orientaleggiante chiamata Bombay Calling.
Bombay Calling è il
titolo di un brano strumentale che gli It’s A Beautiful Day sistemarono in
apertura del lato B del loro omonimo ed affascinante 33 giri d’esordio, edito
dalla Columbia Records nella primavera del 1969. Gli It’s A Beautiful Day erano
un sestetto misto (quattro uomini e due donne) formatosi nella città di San
Francisco nel corso dell’estate del 1967. Godettero di una discreta popolarità
a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, più che altro negli Stati Uniti e
principalmente grazie ai brani di questo notevole disco, tra i quali figura
anche, appunto, Bombay Calling. E fin qui nessun problema. Il guaio è che il tema
di Bombay Calling, cioè in pratica la sua struttura portante, sia melodica che
ritmica, non venne composto da nessuno dei membri del gruppo rock californiano
bensì, all’inizio degli anni ’60, dal musicista jazz, anch’egli californiano,
Vince Wallace. Sul retro della vecchia copertina del long playing il nome di
Wallace compariva infatti accanto a quello di David LaFlamme, violinista e
cantante del gruppo, precedendolo. Come mai? Beh, era semplicemente accaduto
che Wallace e LaFlamme, che si conoscevano ed a volte suonavano assieme a casa
dell’uno oppure dell’altro, un giorno avevano trascorso un po’ di tempo a
discutere di musica e a provare delle nuove melodie nell’abitazione di
LaFlamme, a San Francisco. In quella circostanza – era il 1966 – Wallace insegnò
a LaFlamme il tema di Bombay Calling, che a LaFlamme piacque così tanto da
trasferirlo, così com’era, nella musica degli It’s A Beautiful Day. In concerto
il brano veniva di conseguenza presentato, nei primi tempi di vita della band,
come una composizione del solo Wallace. Nel corso degli anni ’70, però,
LaFlamme decise di registrare il brano a suo esclusivo nome presso l’ente
governativo Usa preposto alla tutela del copyright, cancellando ogni
riferimento a Vince Wallace (nel frattempo, in Inghilterra, i Deep Purple
avevano sfruttato la composizione di Wallace per dare vita alla celebre Child
In Time, anche in questo caso senza citare il musicista californiano). Da
allora Vince Wallace non ha più ricevuto neppure un centesimo per i diritti
d’autore di Bombay Calling, né dalle case discografiche e né tanto meno da
David LaFlamme. Ricordiamo a questo proposito che le vendite del primo lp degli
It’s A Beautiful Day furono più che buone, tanto che il 33 giri venne ad un
certo punto proclamato disco d’oro in seguito al raggiungimento della soglia
delle 500.000 copie vendute. Dunque, di soldi da spartire ce n’erano parecchi…
Com’è ovvio, da tutto
ciò non poteva non scaturirne una spiacevole polemica, nella quale la parte
lesa, cioè Wallace, ha spesso accusato pubblicamente LaFlamme di essere una
persona priva di scrupoli, riconoscendogli soltanto la sua bravura come
violinista. In una simpatica “dedica” scritta col pennarello nero sul retro di
copertina di una copia in vinile del primo album degli It’s A Beautiful Day
(vedi foto), Wallace definisce LaFlamme, nell’ordine, «plagiarist, scoundrel,
good singer, wonderful violinist, needs work on character», cioè plagiario,
mascalzone, ottimo cantante, meraviglioso violinista, uno che deve ancora
lavorare molto sulla propria personalità.
In una lettera aperta
datata 16 ottobre 2001 Vince Wallace affronta l’argomento del furto di una sua
creazione musicale con veemenza. Traduco, a seguire, la prima pagina (di 5)
della missiva: «Salve, mi chiamo Vince Wallace. Sono un compositore di musica
jazz, registro dischi e suono il sassofono tenore. La mia missione è quella di
portare amore e buone vibrazioni in tutto il mondo, nel solco di quella grande
forma d’arte tradizionale propria degli Stati Uniti d’America che è il Jazz. Io
sono l’unico autore del brano intitolato Bombay Calling, che si trova
sull’album “It’s A Beautiful Day” edito dalla Columbia. Io credo che la mia
carriera sia stata seriamente danneggiata dalle azioni congiunte di David
LaFlamme, Columbia/Sony Records, Deep Purple, Matthew Katz e da tutti quei
loschi avvocati con le loro avide dita infilate nella grande torta di San
Francisco». Beh, dire che Vince Wallace è molto arrabbiato per ciò che gli è
successo è dire poco.
Nota Bene L’articolo è
stato pubblicato su “Apollinea”, Rivista bimestrale del territorio del Parco
Nazionale del Pollino, Anno XIV – n. 6 – novembre-dicembre 2010, pag. 32.
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