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martedì 22 settembre 2015

Il ritorno in Italia degli Inti-Illimani, di Wazza




Chi se lo ricorda "El pueblo unido jamàs serà vencido..", che cantavano gli Inti-Illimani negli anni '70? Se avessimo fatto tesoro di questo consiglio staremmo meglio tutti!
Gli Inti-Illimani saranno in concerto a Milano il 29 settembre - Open theatre (Milano Expo) ingresso gratis
Andate a vederli, aldilà delle ideologie politiche... sono molto affezionato a questi musicisti, almeno quelli più anziani, che furono ospitati a Genzano dopo il colpo di stato in Cile del 1973
Hasta la vittoria siempre !
WK



Oggi il Cile ha nuovi simboli, calciatori ricchi e vincenti come Alexis Sanchez e Arturo Vidal, ma per anni a rappresentarlo è stato un gruppo di musicisti che si trovavano in tournée in Italia nel 1973, quando nel loro Paese salì al potere la dittatura militare di Pinochet. Il 29 settembre Expo ospiterà un concerto del gruppo Inti-Illimani Històrico, in cui militano tre di quei musicisti, separatisi per divergenze artistiche dall’ex compagno di strada Jorge Coulon, che al momento si esibisce con una formazione che sfoggia il nome originale. Una settimana prima, martedì 22, il gruppo suonerà con l’Orchestra Verdi all’Auditorium di Milano. Abbiamo chiesto a Horacio Salinas, da quasi cinquant’anni direttore artistico del gruppo, di raccontarci cosa significa suonare quei brani oggi. 
Non è strano che proprio voi che inneggiavate all’unità vi siate divisi? Forse è vero, ma diciamo che quando c’è libertà, si possono liberamente prendere strade diverse, ed è quello che è successo a noi: non andavamo più d’accordo sulla musica da suonare insieme, quindi è stato giusto divorziare. 
E stata l’elettronica a mettervi in crisi?  No, anche perché al mondo c’è ancora grande spazio per la musica acustica, questo si vede molto bene. Io personalmente come musicista ho una formazione più classica, da conservatorio, ma ho cercato di capire e approfondire la musica elettronica, ho anche frequentato Luigi Nono, però non ho mai avuto una vera curiosità di sperimentare strumenti che non siano acustici. La prima chitarra elettrica me l’ha messa in mano Bruce Springsteen. 
Davvero?  Eravamo sul palco insieme in Argentina, lui voleva suonare una canzone di Victor Jara, io avevo in mano il tique, strumento simile al mandolino: prima di cantare ha voluto fare cambio, così mi ha dato la sua chitarra: un gesto di grande simpatia, ma non sapevo che pesci pigliare. Lui nel frattempo suonava il tique come fosse la sua chitarra, e ha rotto qualche corda...
 In Italia dopo il grande amore e solidarietà iniziali a un certo punto c’è stata un pò di insofferenza nei vostri confronti. Sì, alcuni cantautori si lamentavano, d’altra parte noi a un certo punto eravamo in classifica, suonavamo nelle arene: sembrava una moda, ma non voleva esserlo: tutto è cominciato quando, di passaggio a Milano, abbiamo inciso un disco letteralmente in un giorno, negli studi di Armando Sciascia. Non c’era nessuna grande etichetta né un movimento di partito dietro. La cosa curiosa è stata che quando l’Italia iniziò a disinteressarsi, ricevemmo l’interesse delle rockstar, come Peter Gabriel e Sting.
Comunque El pueblo unido jamás será vencido la cantate ancora. Certo: è una bellissima canzone scritta da Sergio Ortega. E ogni volta ci suscita ricordi fortissimi come quando la sentimmo per la prima volta, una chiamata all’unità nonostante venti contrari molto forti. Quella canzone è un documento di un’epoca, e noi dopo tutto siamo nati proprio per questo, nel 1967, per testimoniare la tradizione musicale sudamericana. Continuiamo a farlo.

Ma come è cambiato il Cile, e il mondo sudamericano che cantavate? Il Cile è un Paese che ha ridotto la povertà e oggi può portare a Expo i suoi prodotti e un’immagine che non è più quella di sopruso di cui noi eravamo simboli nostro malgrado. E questo sicuramente è bellissimo. Però la povertà è sempre in agguato, lo sfruttamento continua, solo che non si vedono più soluzioni facili. Il mondo è quasi al contrario rispetto ad allora, la Cina è nelle multinazionali, parlare di imperialismo americano è molto difficile. E per contro sono caduti molti modelli che si ponevano come paradigma della soluzione dei problemi sociali: sto parlando ovviamente del mondo socialista. Così molti dei nostri canti restano come un documento di un’epoca che fu, anche se il nostro ricordo di Allende rimane molto tenero: nessuno è mai riuscito a calpestare la sua immagine.

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