Il 24 aprile 1974,
usciva l'album "Diamond Dogs", di David Bowie, ispirato al romanzo di George Orwell "1984"...
Di tutto un pop…
Wazza
Diamond Dogs è un
concept album, realizzato dopo i fasti di Ziggy Sturdust. David Bowie narra di
un mondo dove i cani diamante controllano il mondo seminando terrore e morte.
L’album è ispirato al romanzo di Orwell “1984”, e anche se Bowie non ricevette i
diritti per la pubblicazione sono stati conservati riferimenti evidenti sia nei
testi che e nei titoli dei brani.
La trama del romanzo
si intreccia ad una visione futuristica apocalittica in cui il personaggio
principale questa volta è un gatto che vive nella città Hunger City. Il
soggetto cambia, ma il modo di narrare la sceneggiatura è ormai quella tipica
di Bowie che costruisce un’ambientazione ricca di particolari e personalissima
in cui far vivere i suoi personaggi. Si evince subito dalla copertina di Guy
Peelaert che il regista e l’attore principale è lo stesso di Ziggy, ma questa
volta il glam viene sostituito da un diffuso senso d'inquietudine. Ciò che
cambia è anche la band che lo accompagna, non ci sono più gli spiders from mars
ma lo spirito con cui l’artista ci proietta nel suo mondo è lo stesso.
Future Legend è un
breve prologo che introduce la title track Diamond Dogs: una rockeggiante
ballata che narra della venuta dei cani diamante. Da essi non si può scappare e
l’unico rimedio per sottrarsi alla fine imminente sembra essere trovata nel
brano successivo Sweet Thing che si costruisce sulla poliedrica voce di Bowie e
sulla indimenticabile trama melodica che crea quell’atmosfera “dark” che
segnerà il disco.
L’album Diamond
Dogs si può reputare, sia per il tema trattato che per la crudezza dei
testi con cui viene narrato e per le sue atmosfere cupe, uno dei lavori tra i
precursori del movimento punk e addirittura di quello dark che lo seguirà dopo
qualche anno.
Sweet Thing evidenzia
egregiamente il paesaggio apocalittico in cui si muovono i personaggi di questa
nuova opera di Bowie ed è talmente bella che viene ripresa dopo Candidate:
intramezzo che crea una sequenza di tre brani che segnano l'album e il primo
lato. Il ritmo si fa incalzante, i testi diventano più crudi e amari. Ecco
introdotta, da un prodigioso pianoforte e da una chitarra stridente, la
batteria veloce ed ansiosa ed il basso che segna il ritmo, che ci lasciano
immaginare i cani diamante che corrono per sbranare. Rebel Rebel è l'hit di
Diamond Dogs, “Tu tu du du du, du du du” il ritornello trascinante che chiude
il primo lato.
La seconda facciata si
apre con una bella ballata bowniana Rock 'N' Roll With Me. Una canzone utile a
mettere in risalto le strabilianti corde vocali dell’autore. Toccante, altro
che commerciale. La cadenza si trasforma, diventa lenta, grave. We are the Dead
è riflessiva e la voce di Bowie è come al solito magnifica. 1984 è anche titolo
del romanzo di Orwell a cui l’intero soggetto del disco si ispira, ed inizia
con un piano che da vita al ritornello sul quale si basa, ma più di una volta
la canzone cambia traiettoria per poi riproporsi sulle stesse trame. Il ritmo
incalzante esprime al meglio il senso d'ignoto che si deve trasmettere
all’ascoltatore che, attraverso le atmosfere di fiati ed archi create da Bowie
e Visconti, viene proiettato nella terra dei cani diamante in cui c’è un grande
fratello che ci osserva ed a cui non si può disobbedire.
Grande Fratello di cui
molti, purtroppo, ne cantano le lodi: “someone to claim us, someone to follow,
someone to shame us, some brave Apollo, someone to fool us, someone like you” è
l'intramontabile ritornello che segna il secondo lato del dell'album. Big
Brother è un altro brano che la critica ha accusato di essere commerciale, di
essere banale, ma bisogna prendere atto che ascoltato a tutto volume non può
non stregare l'ascoltatore. Il disco si chiude con un ritmo frenetico, veloce,
il ripetitivo: " Bro bro bro bro bro bro". Idea soprafina che lascia
stupefatti e che quasi non fa rendere conto che il disco è terminato, che
invoglia a ricominciare da capo, per capire cosa è successo e riprovare le
stesse sensazioni.
Bowie spiazzò la
critica attribuendosi, in quest’album per la prima volta, il ruolo di primo
chitarrista che era di Mick Ronson. L’album segna, inoltre, un nuovo e
fondamentale tassello nella discografia di Bowie, in quanto lo condusse
all’incontro con Tony Visconti, che avrebbe prodotto quasi tutti i suoi lavori
per il resto della decade.
La critica, come accennato,
accoglierà l’album in maniera molto disomogenea. Una parte lo accoglierà come
l’ennesimo grande album del nostro, ma la gran parte accuserà l’autore di una
volutamente ed esageratamente fastosa e pretenziosa produzione musicale,
cercando di ripetere e ripercorrere i recenti fasti di Ziggy che venne da
Marte. Il fatto è che ciò è proprio quello che Bowie desiderava fare, e che
alla gente, al suo pubblico, l’album piacque tantissimo (no. 1 in Inghilterra).
Diamond Dogs è l’ulteriore reincarnazione dell’artista che nonostante passino
gli anni si traveste e si reincarna in un nuovo personaggio, per fare follie e
suonare a modo suo il rock & roll che più gli piace. Riascoltandolo oggi
Diamond Dogs è un saggio della potenza espressiva di Bowie che azzecca un brano
dietro l’altro, che anche se non ricercati nell’estetica musicale esprimono una
carica fortissima.
Tutto il lavoro sarà
ispirato dalla droga, come egli stesso ci confiderà dopo qualche anno, e non è
paragonabile all’innovazione e allo stato di grazia di Ziggy, ma tuttavia
risulta per la sua espressività del tutto eccezionale. Molti dei brani sono
semplici ma indimenticabili e alla fine l’ascoltatore si immedesima in questo
mondo e si sente parte della scena fatta da creature mezz’umane, rimanendo
colpito, a volte scioccato.
L’ascolto di Diamond
Dogs ci sorprende ancora oggi a differenza di tanti capolavori che con il tempo
sono stati smussati ed hanno perso vigore, tempra, piacere nell’ascolto. Molti
dischi che un tempo furono considerati pietre miliari oggi sono dei fiori
appassiti, quasi dimenticati, questo invece rimane freschissimo e più passa il
tempo più diviene un mito per coloro ai quali è piaciuto già trent’anni fa. Il
risultato è ottimo, altro che passo falso, altro che banale.
di Michele Alberobello
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