Marcello Capra presenta un suo nuovo impegno, basato su sue composizioni che si possono
identificare come un ponte tra Oriente e Occidente.
Il progetto prende il nome di Glad Tree, un trio che ha già raggiunto un significativo
affiatamento - non solo musicale - per effetto di interessi comuni all’insegna
del dialogo tra differenti culture, con applicazione di estremo rigore nelle
parti definite e largo spazio alla creatività nel corso delle improvvisazioni; importante
la ricerca dell’effetto scenico che si miscela al suono delle tabla di Kamod Raj
Palampuri, incrociato con i fraseggi
armonico/melodici di Marcello Capra e i temi ariosi creati
dal flauto traverso di Lanfranco Costanza
Marcello, da dove
spunta il tuo amore per la cultura orientale?
Il mio interesse verso la vasta e articolata cultura
indiana parte da tempi lontanissimi, da quando a 17 anni frequentavo abbastanza assiduamente il centro
italo-indiano a Torino; qualche anno dopo mia sorella fece un lungo viaggio
nell’India del nord e al ritorno mi feci raccontare tutta la sua esperienza,
ascoltando con grande interesse; più recentemente ho “assorbito” i libri di
Tiziano Terzani che ha vissuto molti anni in Oriente e le sue descrizioni reali
mi hanno fatto molto riflettere; ma mi hanno segnato anche l’ascolto molto
concentrato di ragas e improvvisations del grandissimo Ravi Shankar e la
lettura appassionata della sua biografia in “Raga Mala”, con introduzione di
George Harrison e di Yehudi Menuhin, illuminante per comprendere da grandi
musicisti dell’Occidente cosa c’e’ dietro una civiltà che sopravvive da
migliaia di anni, diventando sempre più raffinata ed evoluta, e nel caso della
musica l’importanza cruciale dell’ordine e della tradizione. Sono diversi anni
che con la mia chitarra acustica mi dedico a realizzare brani dove e’ forte
l’influenza dell’Oriente, in particolare l’India mi attrae per la
sua spiritualità naturale, senza dogmi, senza rituale, anche se ogni gesto ed
ogni sguardo ha un preciso significato. John Mc Laughlin con “ SHAKTI” del 77,
e’ stato un precursore di questa “fusion”, un disco meraviglioso per me, che
ogni tanto riascolto.
Come nasce GLAD TREE?
La storia dei “GLAD TREE” inizia in una sera di
febbraio scorso, in un piccolissimo locale torinese, dove decido di andare ad
ascoltare un concerto di musica classica indiana, suonata da un Sitar e dalle
tabla; Kamod mi colpisce subito, per la maestria e la sua concentrazione sugli
strumenti, poi lo ascolto cantare e rimango affascinato dalle sue modulazioni,
vuole il caso che prima di uscire dal locale incontro Lanfranco, vecchia
conoscenza dai tempi che suonavo con Tito Shipa Jr., diplomato al conservatorio
di flauto traverso, con insegnate Claudio Montafia, che incise nel mio primo
album “Aria Mediterranea”; anche lui quella sera presente per ascoltare quella
musica. Poi all’inizio della primavera ci siamo sentiti al telefono per parlare
del progetto “trio”, MA impegni vari hanno fatto iniziare le prime prove solo
in maggio. Ora, dopo aver fatto una registrazione live a luglio presso gli
Electromantic Studios con Beppe Crovella alla consolle, siamo intenzionati a
continuare per aggiungere altri brani, approfondire meglio alcuni temi,
intensificare l’affiatamento, che devo dire fin dalla prima prova mi e’
parso molto naturale e cordiale. Le musiche per ora sono di mia
composizione, in seguito vedremo di includere altri pezzi nostri; in ogni brano
lasciamo spazio all’intuizione e all’improvvisazione e i pezzi possono
allungarsi se troviamo una speciale “atmosfera”; quello che voglio
sottolineare, oltre alla musica ovviamente, e’ la nostra presenza scenica , “colorata”
come la nostra musica… per noi e’ importante ottenere un vero coinvolgimento
del pubblico, senza trucchi, ma con il
solo “vibrare” dei nostri strumenti.
I tuoi progetti sono trasversali e risulta impossibile
inserirti in una casella di definizione. Ma un artista completo - e non
mi riferisco alla tecnica - non si limita ad un solo genere, ad un’arte
precisa, ad una via sempre uguale: da cosa sono legati i vari episodi della tua
vita musicale, quella che va dal prog al classico, dal blues alla situazione
etnica?
E’ vero, credo per me siano più forti i legami
tra i generi che non le separazioni stilistiche; e’ stato molto naturale
iniziare col beat italiano da giovanissimo, passando attraverso cover di Cream,
Hendrix, Led Zeppelin, Jethro Tull, Free, Atomic Rooster, sino all’esperienza
“pop” dei Procession - poi inclusi nel genere prog italiano dagli addetti ai
lavori - per poi iniziare a coltivare brani con l’acoustic guitar, con
influenze iniziali “classiche”, blues, sempre con corde di metallo e
plettro, creando uno stile misto con ispirazioni dal Mediterraneo e dall’Europa
dell’est, mantenendo uno stile composito, ritornando al rock con Maolucci,
passando alla canzone d’autore con Tito Schipa Jr, maturando pezzi per guitar
solo, scegliendo collaboratori come la bravissima Silvana Aliotta,
iniziando un progetto con influenze world con tabla, canto, flauti che si
inseriscono nelle mie composizioni arricchendole di chiaroscuri, giochi ritmici
e sentieri spirituali.
La tua ricerca spirituale nasce già nel periodo
della giovinezza: come si è evoluta questa tua esigenza di far convivere
aspetti materiali e … impalpabili?
Ho “sentito” presto un bisogno di spiritualità, e credo
che questo sentimento abbia influito sul mio modo di suonare; più passa il
tempo e più avverto questa esigenza, ma per me la musica e’ anche passione,
quella che fin da bambino mi spingeva a seguire i musicisti più grandi, quella
che mi ha fatto perdere molte lezioni a scuola, quella che mi ha fatto
immaginare di essere nato per suonare on the road. Il problema money si e’
posto molto presto, perché già prima di terminare il conservatorio volevo la
mia indipendenza dalla famiglia; ho fatto diverse esperienze, come
suonare nei nights, dando lezioni anche a domicilio, facendo il commesso in
negozi di strumenti musicali All’inizio degli anni ‘80 ho sentito il bisogno di
prendermi una pausa dai palchi, cambiando aria, ho casualmente iniziato
un’attività che tuttora mi consente di coltivare la mia Imagination.
Scopro ogni giorni strumenti dai nomi esotici di
cui non conoscevo l’esistenza: quanto ti appassiona la ricerca di nuove fonti
di espressione?
Ogni strumento ha una storia, ed e’ giusto conoscerla
per accostarsi nel modo più consono alla sua struttura; poi e’ bello cominciare
a utilizzarlo nelle proprie “corde”… ci sono strumenti per ogni luogo,
costruiti in modo artigianale con tecniche antiche tramandate nei secoli; penso
che si debba comunque scegliere il proprio strumento se con esso si vuole
comunicare il meglio delle nostre emozioni, ma apprezzo anche i
polistrumentisti se sono eclettici di natura, le fonti di espressione sono
molteplici, ognuno dovrebbe trovare quella che lo fa crescere. Mi
piacciono gli sperimentatori che seguono un percorso che non scelgono solo con
la razionalità.
Che cosa ti aspetti da questo nuovo progetto?
Vorrei intanto avere tempo per perfezionarlo, come si
studia da soli il proprio spartito; e’ necessario suonare, suonare, suonare
insieme, perchè questo non può che far migliorare la qualità del progetto. Spero
di poter realizzare nuove alchimie con i miei compagni di viaggio, spero di
trovare sbocchi fuori dai nostri confini nazionali, incisioni e concerti,
aspirazione comune a tutti i musicisti.
Marcello Capra condivide il progetto con …
Kamod Raj Palampuri, nato a Manali, Himachal Pradesh, India, diplomato presso
l’Università di Musica Classica indiana antica Pracheen Kala Kendra in tabla e
canto classico indiano. Ha studiato canto classico, tabla e harmonium
presso il maestro Sufi Ayub Khan, e svariati corsi di perfezionamento a
Varanasi. Virtuoso anche dell’ harmonium.
Lanfranco Costanza, diplomato in didattica e flauto traverso, e’ nato nel rock
progressive (Re di nulla Mother Goose). Ha suonato etno-jazz (Shamal) e in varie formazioni di musica classica in
Italia e all’estero.
Collaboratore teatrale,
e’ sperimentatore in progetti solista.