La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
domenica 6 ottobre 2024
PFM e Arti & Mestieri: accadeva nell'ottobre del 1974-Il ricordo di Beppe Crovella
sabato 5 ottobre 2024
October 5, 1979: Dave Pegg's debut
Debuting on October 5, 1979 at the Maple Leaf Garden in Toronto (Canada), Dave Pegg - bass, mandolin, backing vocals -, coming from Fairport Convention, one of the most important groups of the English folk-rock movement.
He remained there until 1995.
Of all a Pop...
Wazza
Usciva il 5 ottobre del 1970 "Led Zeppelin III"
Usciva il 5 ottobre 1970
l’album “Led Zeppelin III”, pietra miliare del rock, perfetto connubio tra hard-rock-blues e folk.
E pensare che all’uscita fu stroncato dai critici, che storcevano il naso per i tanti pezzi “acustici”, considerati una debolezza da parte della band.
Di tutto un Pop
Wazza
di Pier Paolo Farina
Il cuore caldo di questo splendido album trae la sua genesi da una pausa di relax vissuta insieme da cantante e chitarrista della formazione, rifugiatisi nella campagna del Galles per una quindicina di giorni a ritemprarsi dopo il primo, pazzesco anno e mezzo di vita del gruppo durante il quale il Dirigibile aveva prodotto due album (uno in poche e febbrili notti a Londra, l’altro a spizzichi e bocconi in giro per gli studi di mezzo mondo nelle pause fra un concerto e l’altro), cinque tournée in America, una enorme e irripetibile sensazione in giro.
Niente corrente elettrica nel rifugio scelto dai due musicisti e allora è il momento buono per Jimmy Page di imbracciare l’acustica portata con sé e dar copioso frutto agli insegnamenti appresi dalla scuola folk inglese a lui tanto cara, sperimentando le sue accordature strane e inusuali, nonché per Plant di adeguarvisi felicemente canticchiando sopra gli insoliti accordi del partner e dando fondo al suo lato hippy e sognante. Ne viene fuori un bel mazzo di temi che andranno a costituire non solo l’ossatura di questo lavoro, ma pure parte di quelli a venire fino al “Physical Graffiti” di quattro anni dopo. Il tema più bello scaturito da quei giorni ispirati viene in ogni caso momentaneamente accantonato, andrà a costituire l’incipit della celebre “Stairway To Heaven”, pronta solo per l’album successivo.
Quando però, una volta rientrati a Londra dal Galles, tutto quel certame acustico e quieto viene posto sotto le grinfie degli altri due compari, soprattutto del bombastico batterista che si ritrovano in formazione, si ha la mutazione zeppeliniana del placido folk rurale in un suono autenticamente mai sentito prima, un “heavy folk” drammatico e teso in cui gli strumenti acustici, tirati per la giacchetta da tale cattiveria ritmica e dall’esuberante ugola del giovane Plant, sferragliano tosti e circondano la sua strepitosa voce in una intensa gazzarra che non ha nulla di placido.
Sotto questo aspetto la seconda
traccia “Friends” e la sesta “Gallows Pole” sono due luminosissimi archetipi di
un modo di pompare tensione e pesantezza pur giostrando con banjo e roba simile
che non ha/avrà uguali. La centralità ed indispensabilità di John Bonham nel
suono Zeppelin trova qui la sua dimostrazione più evidente, è lui a spingere
più di tutti il gruppo verso vette di intensità e cuore mai più raggiunte da
altri. Parlare di cuore per uno strumento che fa “boom” con la cassa e “stra”
col rullante eccetera potrebbe sembrare strano ma è proprio così: l’ascolto di
John Bonham mentre accompagna i suoi pards nelle grandi canzoni di quest’album
e in generale di tutta la produzione Zeppelin è un’esperienza prima di tutto di
cuore, del grande cuore che aveva quest’uomo semplice, ingenuo, ubriacone,
capace di pestare fortissimo e al contempo con una dannata umanità (e
creatività). Nel suo genere, il migliore di sempre, senza alcuno scampo per
possibili alternative.
In “Friends” ci mette poi molto del suo anche il “quarto uomo” John Paul Jones, sovrapponendo all’incedere ritmico un grosso, drammatico bordone di sintetizzatore dal sapore vagamente mediorientale, uno spunto musical/culturale che ritornerà volentieri in altri capolavori del gruppo (“Kashmir” soprattutto, proprio su “Physical Graffiti”).
“Gallows Pole” invece è costruita maggiormente in crescendo e ci pensa l’interpretazione di Plant, sempre più pressante e parossistica, a gonfiare via via di urgenza e tragedia al brano, nel quale viene raccontata la supplica di un condannato al suo boia che lo sta per immolare sul patibolo.
Altri sipari acustici presenti nel disco sono comunque assai meno acri, ad esempio “Bron-Y-Our Stomp” celebrazione del rifugio campagnolo trovato da Plant e Page, una marcetta debitamente appesantita dalla rimbombante cassa di Bonham, nella quale il suo chitarrista si diverte a correre agile e geniale sullo strumento accordato in Mi Maggiore ed il cantante a miagolarvi sopra il suo potentissimo falsetto. E ancora “Tangerine”, non un prodotto di quelle giornate a Bron-Y-Our bensì un “avanzo” degli ultimi tempi degli Yardbirds, il gruppo rock/beat di provenienza di Page, in effetti una ballata con tutt’altra atmosfera, dolciastra (sin dal titolo “Mandarino”) e manierosa, un poco fuori contesto in un album così obliquo e misterioso. Meglio sarebbe stato, a mio giudizio, inserire al suo posto l’ottima “Hey Hey What Can I Do”, ennesima “heavy folk ballad” magari ripetitiva rispetto ad altri episodi dell’album ma assai più asciutta e in riga col resto, rimasta invece inopinatamente fuori e relegata a lato B di un singolo.
Dal punto di vista della dolcezza, assai più riuscita la ballata “That’s The Way” dal profilo ondeggiante grazie ad una deliziosa risacca di chitarra acustica (per gli strimpellatori: accordata abbassando di un tono la prima, seconda e sesta corda) rafforzata da mandolino e steel guitar, una festa del Page più californiano e campagnolo.
Se la seconda parte dell’opera è veramente il festival dell’acustico (ma quasi sempre con nerbo e tensione, come si è detto) la prima parte dispone di alcune bellissime cose elettriche. L’apertura di “Immigrant Song” è di nuovo grande archetipo: una cavalcata giocata su di un semplice irresistibile riff, economicissimo dato che adopera un’unica nota di FA# giocata ritmicamente su due ottave diverse. Robert Plant entra fantasticamente come una specie di sirena pericolosa e poi sciorina il primo testo della storia alle prese con dei, paradisi nordici, martelli di Thor e compagnia cantante. Siamo né più né meno che al cospetto del capostipite di un intero, fiorentissimo genere che verrà, l’heavy metal di ispirazione gotica e pagana; non sto a far presenti i fiumi di parole, le migliaia di canzoni, le decine di gruppi, le centinaia di copertine di dischi alle prese con l’al di là nordico ed i suoi miti, con corollario di nerboruti cavalieri brandenti grosse asce sanguinanti, spadoni ed elmi e poi le battaglie e l’onore e la gloria… tutto un mondo musicale (per molti assai burino ed esagerato senz’altro) del quale questa canzone può essere indicata a vero prototipo. Il brano è assai breve, meno di tre minuti giacché Page non ritiene opportuno, a ragione, inserirvi un assolo di chitarra. Lo farà nelle esibizioni dal vivo, senza risultati particolarmente rimarchevoli.
L’hard rock in posizione n° 3 “Celebration Day” è meno celebre ma sempre notevole grazie soprattutto alla performance ritmica di Page, stavolta non inchiodata ad un riff ma fluida e creativa nel tracciare con settime e none gli spunti armonici per il cantato genialmente asincrono e libero di Plant che rende estremamente dinamico il tutto: una perla semi-nascosta del repertorio, forse oscurata dal fatidico blues che la segue a ruota.
Fra i capolavori assoluti di questa band riconosciuta di tanti capolavori, “What Is And What Should Never Be” è IL blues, che piace anche a chi non sopporta il genere, tale è l’intensità, la drammaticità, la voglia, la perizia e la coesione del gruppo colto qui in assoluto momento di grazia. Page imperversa con una performance piena di anima e fuoco, piazza il suo assolo più devastante del repertorio, letteralmente portato in spalla dal suo batterista che a suon di sberle inaudite a piatti e tamburi riempie e sottolinea impagabilmente tutte le pieghe sonore di un brano che ne è ricchissimo. L’organo Hammond ed il basso di Jones fanno il loro dovere alla grande, Plant geme e urla posseduto dal sacro fuoco della sua giovane energia: uno spettacolo, sette minuti grandiosi.
Dopo tanta possanza, il rock blues che segue, “Out On The Tiles”, fa la figura del riempitivo, col suo riff un poco contorto e forzato, condito di sincopi e sonori stacchi che però non riescono a far decollare del tutto la musica, malgrado anche il gran daffare di Bonham ai tamburi. Altro riempitivo è l’episodio conclusivo del disco, “Hats Off To Roy Harper”, un esperimento blues trattato con un’esasperata distorsione, voce e chitarra in un tunnel sonoro aspro e melmoso, assai sperimentale ma in definitiva sfocato, uno dei pochissimi episodi zeppeliniani passati completamente nel dimenticatoio.
Grande, grandissima musica.
venerdì 4 ottobre 2024
Debut on October 4, 1980 for Eddie Jobson and Mark Craney
Eddie Jobson and Mark Craney, keyboardist and drummer, made their live debut on October 4, 1980, at the start of the "A" tour, at the "State College" in Salisbury Md. USA, in the "revolutionized" formation of Jethro Tull, wanted by Ian Anderson.
They did not last long: Mark Craney left in June 1981 for health reasons (!!), Jobson left after the world tour that followed the album.
Of all a Pop...
Wazza
Atom Heart Mother: era l'ottobre del 1970
Nell’ottobre 1970 usciva Atom Heart Mother, il disco dei Pink
Floyd con la “mucca” in copertina.
Uno dei tanti capolavori sfornati negli anni ’70.
Di tutto un Pop…
Wazza
Dopo alcuni discreti album che mescolano il rock psichedelico barrettiano al prog più consono al nuovo chitarrista Gilmour, i Pink Floyd escono nel 1970 con il loro primo grande capolavoro. “Atom Heart Mother” rappresenta il definitivo distacco da quella musica da LSD tipica dell’ormai perso Syd Barrett a favore di nuove melodie più limpide e gradevoli e apre una nuova epoca nel gruppo e nel rock in generale.
Una curiosa copertina, nella quale è raffigurata una serena immagine rurale con uno stupendo esemplare bovino in primo piano, ci introduce immediatamente al pezzo forte dell’album. La title track, una suite strumentale che occupa l’intera facciata del vinile, costituisce uno dei più splendidi esempi di come il rock possa elevarsi ad arte maggiore: il progressive si mescola a melodie classicheggianti, strumenti come chitarre e batteria alle trombe.
La suite, alla quale collaborano tutti i membri del gruppo con l’aiuto dell’esterno Ron Geesin che si occupa dell’orchestrazione, è divisa in sei parti, nelle quali si narra musicalmente la storia dell’uomo stroncata al centro da un’esplosione, che non è altro che la terribile bomba atomica. Alla fine, però, la vita trionfa e il pezzo si conclude con il leitmotiv musicale in un crescendo che esplode definitivamente nel coro finale.
Dopo essersi immersi in un capolavoro
senza tempo, si torna alla realtà; i Pink Floyd, escluso il batterista Mason,
decidono di spartirsi i tre pezzi successivi. Il lato B si apre con “If”,
composta, suonata e cantata da Roger Waters, una ballata che non si discosta
molto dal genere folk, nella quale il bassista si diletta eseguendo un semplice
arpeggio di chitarra acustica ripetuto più volte. Rick Wright compone invece
“Summer ‘68”, nella quale è ovviamente il suo piano a farla da padrone, oltre
alla sua voce che comparirà sempre più raramente nelle opere della band, il
tutto in un dolce brano dai toni nostalgici.
La successiva “Fat Old Sun” è invece opera di David Gilmour, che comporrà da solo per i Pink Floyd soltanto “Childhood’s End” in “Obscured by Clouds” (1972) prima del tardo album “A Momentary Lapse of Reason” (1987). La dolce e malinconica voce solista del chitarrista si sovrappone agli accordi, che saranno successivamente ripresi dai Litfiba nella loro “Sexy Dream”, prima di lasciare spazio allo splendido assolo di chitarra che chiude il brano.
A suggello finale dell’album una seconda gradevole suite strumentale intitolata “Alan’s Psychedelic Breakfast”, alla quale ancora una volta le forze dei quattro membri si uniscono, nella quale questo fantomatico Alan si prepara la colazione. I suoi monologhi e i suoi rumori introducono dolci pezzi strumentali, che sono ripartiti a tre riprese, i quali conferiscono una connotazione romantica al quadretto domestico. Un rubinetto che gocciola è l’ultimo suono dell’album.
Nonostante Gilmour l’abbia definito “una vera porcheria”, “Atom Heart Mother” apre quella che sarà la fase di maturità compositiva dei Pink Floyd, e se è vero che il lato B è leggermente carente sul piano musicale, vale la pena per gli appassionati di rock possedere questo album se non altro per la splendida title track. Un album nel complesso dolce, simile nella struttura ma diverso nella forma dal successivo “Meddle”, ma sicuramente una pietra miliare nell’evoluzione di una delle migliori band di sempre.
di Federico Principi
giovedì 3 ottobre 2024
BANCO: accadeva il 3 ottobre 1998
3 ottobre 1998, il BANCO suona al
"Centro Sociale La Torre"
In una tre giorni che ospitava anche
il Balletto di Bronzo e i Garybaldi di Bambi Fossati
(By kind permission of Wazza)
Rodolfo Maltese, il Banco, Marino...
..."Mille carezze contro il cielo,
un bicchiere di vino non basterà."
Ci lasciava (fisicamente) il 3 ottobre del 2015 Rodolfo Maltese...”, e mi viene da ri-pensare a quello che provai all’uscita della chiesa di Marino.
Uscito dalla chiesa di San Barnaba a
Marino, dopo avere salutato Rodolfo, vengo "rapito", dalle note di
"E mi viene da pensare", che gli altoparlanti diffondevano
nella piazza, ancora addobbata a festa per la "Sagra dell'uva"; nell'aria
c'è odore di vino e ciambelle al mosto.
E mi viene da pensare... a quante volte in quella piazza l'ho sentita suonare dal vivo da Rodolfo con il Banco...
Marino città natale di Vittorio e
Gianni Nocenzi, di Filippo Marcheggiani, di Ines, moglie di Rodolfo,
praticamente la "culla" del Banco Del Mutuo Soccorso.
La città della "mitica
stalla", dove le idee di cinque "ragazzi ventenni" diventavano i
capolavori che tutti conosciamo e continuiamo ad amare; se non sbaglio proprio
in un locale sotto la chiesa di San Barnaba, nel 1975, il Banco fece le prove
del tour inglese, alla presenza di Greg Lake.
A Marino nell'1987 potevi incontrare
Rodolfo passeggiare con Riccardo Cocciante...
E poi la "Sagra dell'uva":
quante volte il Banco è stato protagonista di questa storica festa, con
concerti "memorabili", sia nella piazza citata che nello stadio
comunale.
E lì, su quella scalinata, me ne sono venuti in mente due...
Ottobre 1999 - Banco & Friends,
gli "amici" erano James Senese e gli Osanna con Lino Vairetti e
Danilo Rustici. Nel pomeriggio, prova al "volo" con Senese nello
studio di Vittorio, per ripassare alcuni brani. La serata è aperta dagli Osanna,
con James a dare man forte ed arricchire il loro sound; poi entra il Banco, mi
ricordo che all'epoca iniziavano con il brano "Brivido"… e un lungo
brivido fu l'interpretazione di "750.000 anni fa l'amore", con
un solo di sax di Jam Senese (spero che qualcun, pubblichi queste gemme!), finale
tutti sul palco per cantare "Non mi rompete", grande serata,
grande calore del pubblico, grande feeling tra Banco & Osanna, poi tutti
insieme a cena per chiudere una serata epica.
L'altro ricordo, tra le nebbie
celebrali dei miei "60 trattabili...", è quello dell'ottobre 2004.
In quella straordinaria serata uscì
fuori tutto l'estro "teatrale" di Francesco Di Giacomo e Vittorio
Nocenzi, che tra un brano e l'altro te li ritrovi tra il pubblico, o affacciati
ad una finestra che dava sulla piazza, a recitare poesie… che spettacolo! Vittorio
che "giganteggiava" sulle tastiere come un capitano sul ponte della
nave, e la band - Rodolfo, Tiziano, Filippo, Maurizio, Alessandro - abili
"marinai" a condurre la nave in porto!
Arte, musica teatro, impegno,
partecipazione… in una parola sola Banco!
Piazza strapiena, concerto manco a
dirlo eccezionale, pubblico sorpreso e nello stesso tempo entusiasta di questo
"concerto diverso", concluso da Francesco che salutava il pubblico
dicendo: "Finché c’è vino c’è speranza!"… un genio!
Qualcuno di voi c'era? Vi ricordate
altri particolari?
Per non dimenticare…
Wazza
mercoledì 2 ottobre 2024
Compie gli anni Mike Rutherford
Compie gli anni oggi, 2 ottobre,
Mike Rutherford, membro fondatore dei
Genesis.
Inizialmente bassista, poi dopo la
dipartita di Steve Hackett, si trasformò in chitarrista.
Oltre alla lunga carriera con i Genesis ha registrato due album solisti, e nel 1985 fonda il gruppo “Mike+ The Mechanics” con il cantante Paul Carrack.
Happy Birthday “Pluto”!
Wazza
martedì 1 ottobre 2024
The Jethro Tull... shoot, in October 2013
I’m Your Gun…
Perhaps the rumor had also spread in America that Ian Anderson liked to shoot rabbits and seals on his estate that ate salmon at the time of the farm.
It just so happens that during the 2013 US tour he was invited to fire a machine gun after a concert, in October 2013...
Of all a Pop...
Wazza
Ian Anderson shoots an M4 at the F6 Labs shooting range. Whether it's a pistol or a rifle, Mr. Anderson has phenomenal shooting and is extremely skilled in firearms. His favorites are the M1911, Walther PPK, and (of course) the Browning Hi-Power
From left to
right, F6 Labs princes, Ian Anderson (vest), Stephen Norman, Gene DeSantis,
David Goodier (bass), Scott Hammond (drums), Florian Opahle (lead guitar), Ryan
O'Donnel (vocals), F6 staff
Genesis, 1° ottobre 1972
Phil Collins nella sua autobiografia "No, non sono ancora morto":
Il compleanno di Tony Pagliuca
Compie gli anni Tony Pagliuca, tastierista, compositore, autore (insieme ad Aldo Tagliapietra) di tutti i successi delle Orme.
Dopo aver “regalato” il suo organo Hammond alla... parrocchia, Pagliuca da qualche anno ha ripreso a suonare e fare concerti.
Buon compleanno Tony!
Wazza