MACHINA COELI - “Lure Of The Forgotten Lake”
di Andrea Pintelli
Machina Coeli è il personal project nato nel
1997 dalla mente di Coatl M. Evil, (aka Mickey E.Vil nei The Mugshots). L’anno
successivo registra Finitor Visus Nostri, distribuito dalla Moonchild
Records, poco dopo chiusa in seguito alla sparizione del produttore Brian
Hirsch.
Coatl M. Evil si rifà vivo nel 2009 registrando Gnosis, un album ispirato dalla lettura dei vangeli gnostici ritrovati nel 1945 in Egitto, poi pubblicato solo nel 2017 dalla Masked Dead Records.
Arriviamo così a Lure Of The
Forgotten Lake, ispirato dalle atmosfere del Lago d’Iseo,
stampato dalla Nigra Opera Records, sottoetichetta della Masked Dead Records,
in musicassetta, che è il disco che mi è stato sottoposto.
Esso è composto da 3 parti, di cui 2 di lunga durata. Si apre con
“Approaching The Forgotten Lake”, una sorta di introduzione al lavoro
vero e proprio. Con andamento quasi marziale, si dipana su una melodia
malinconica e sinistra, lugubre, che viene ripetuta più volte fino
all’intervento della voce gregoriana di Coatl, che ne arricchisce il pathos.
Via via, si fa più riflessiva, fino ai rumori della natura, tuoni e animali,
che ne annunciano il termine, oppure il passaggio alla fase successiva. “Lure Of The Forgotten Lake”, oltre 17 minuti, riparte dalla natura stessa, ossia
dall’atmosfera che il nostro protagonista ha ricavato dalla vista della sponda
bergamasca del lago Sebino.
Dark, Gothic, ma anche sprazzi di Neo-Folk a chiudere il cerchio
dell’identità dell’ambito in cui ci si ritrovava nella prima parte. Questa suite
acclama le onde del mondo interiore dell’artista, aiutato dalla visione di
quelle fisiche di fronte a lui. L’acqua di lago, la nebbia autunno-invernale,
l’assenza di Sole, la solitudine del luogo, sono tutti elementi che si possono
ritrovare nel secondo passaggio, che è facilmente definibile come ipnotico. Tristezza
e decadenza sono i cardini estetici del terzo segmento, ben poco musicale, ma
molto (forse troppo) risucchiato dalle sensazioni. Il tutto per poi tornare
alla prima parte, che piano piano cala di tono e di volume, come a spegnersi su
sé stessa. Un rumore d’acqua corrente ne spegne la luce.
“Search Of The Lost Scrolls”, 14 minuti esatti, pur restando negli ambiti di cui sopra, ha nella ripetizione del refrain tetro e sofferente il suo inizio. Si passa ad una ancor più desolata scena sonora, giusto per non lasciare l’ascoltatore speranzoso in una ripartenza briosa. Evidentemente non è questo l’approccio di M. Evil. Il rumore di gorgoglii lascia poi spazio ad un ritmo di percussioni su legni, che esaltano il (drammatico) luogo in cui ci si ritrova. Il passaggio successivo è una commistione fra un organo campionato di barocca memoria, il solito infrangersi delle onde sulle pietre della costa, e un refrain horror di estrazione gobliniana. Come nel capitolo precedente, l’ultima stazione è la stessa da cui si era partiti, un giro ad anello del grigiore introspettivo, talvolta deprimente, a tratti funebre. Il bubolare di un gufo mette il sigillo a questo disco che definire non per tutti è limitativo.
Da ascoltare assolutamente a mente libera e serena. Chi sta passando un periodo delicato della propria esistenza ne stia alla larga. Comunque sia, sì di nicchia, ma non da evitare a priori: va solo preso per quello che è, ossia un viaggio-film introspettivo ispirato a un angolo di Paradiso italianissimo. Dipende sempre da come la si prende la vita…
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