Falistra
- “Di limpide tempeste” (2023)
di
Alberto Sgarlato
Due
soli musicisti, che si firmano Ada e Onanet, e che si alternano
alle voci e a tutti gli strumenti utilizzati, spaziando dal folk,
all’elettronica, alla sperimentazione, fino all’ambient, propongono l’album “Di limpide tempeste”.
Queste
sono le coordinate del progetto Falistra.
E,
immediatamente, la memoria vola alle due più grandi formazioni britanniche
mossesi all’interno di questi perimetri: gli immensi Dead Can Dance di Lisa
Gerrard e Brendan Perry e i magici Cocteau Twins di Elizabeth Fraser e Robin
Guthrie. Il tutto, ovviamente, senza trascurare Leithana e Deraclamo, il duo
italo-francese che già a fine anni ‘80 diede vita agli Ordo Equitum Solis.
Ma, come diciamo sempre, in musica i paragoni sono spiacevoli e ben poco significativi, servono puramente a dare un’idea di massima al lettore che poi diventerà ascoltatore. Infatti, i Falista hanno una loro cifra stilistica ben definita e del tutto personale, che soltanto a tratti sfiora il ricordo delle band “in duo” summenzionate. Infatti, Ada e Onanet, in un viaggio senza confini, portano la loro musica spesso verso le impalpabilità del Brian Eno più ambient, quello ad esempio di “Music for Airports”, o quello in duo con Harold Budd (“The plateaux of mirrors”). E ancora Ada e Onanet accarezzano il folk di Loreena McKennitt e le suggestioni elettroniche-world music di Enya, arrivano quasi a far percepire, in modo del tutto remoto, tendenze musicali che spaziano dal dark, alla vaporwave fino all’hypnagonic pop.
Musica
da ascoltare rigorosamente in cuffia, nel silenzio, quella dei Falista;
preferibilmente al buio, per non avere distrazioni, per coglierne ogni eterea e
inafferrabile sfumatura come se si osservasse un volo di farfalle.
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“Lilium”
inizia con il ronzio dei “drones” che sembrano violoncelli campionati e
trattati, sui quali rimbombano tocchi di strumenti a corde pesantemente
riverberati, fino all’arrivo del flauto, vero protagonista. Delicati
arpeggiatori appena sussurrati chiudono il tutto.
“Dissoltonel vento e nel silenzio” è la prima traccia cantata che incontriamo. E
la voce di Ada è quasi sola nelle prime strofe, per poi vedere l’arrivo del
flauto, della chitarra, delle percussioni e, stratificazione dopo
stratificazione, il canto a due voci con Onanet. Finché, esattamente come tutto
era “cresciuto”, così torna a rarefarsi verso il finale.
“Un cuore pieno di limpide tempeste” è affidato a pochissimi tocchi di una tastiera, forse un pianoforte molto trattato, forse un sintetizzatore, che dipana pochi accordi sui quali arrivano i fiati e la voce femminile.
“Alla deriva nel gorgo” vede un interessante uso di pad elettronici che sibilano in
sottofondo, dietro allo schema voce-fiati-strumenti arpeggiati.
“In un sepolcro di foglie marcite” è uno dei brani nei quali emerge la vena
più “dark” del duo, un brano capace di generare sentimenti molto intensi, una
traccia cupa e dolorosa.
“Evocazione”,
con i suoi timbri cupi e ricorrenti, è invece uno dei brani più “marziali”,
quasi occhieggiante a certe atmosfere industrial/decadenti dei Coil o degli In
the nursery. Una traccia che svela una volta di più l’eclettismo stilistico di
questo duo.
“Il sentiero tra gli asfodeli” rompe completamente gli schemi delle due
tracce precedenti, riportando l’ascoltatore, con le sue melodie vocali e le sue
armonizzazioni, al folk più tradizionale. Musica antica, seppur innovata, dopo
il primo minuto, da un sapiente e morigerato uso dell’elettronica e, ancora una
volta, degli effetti che spazializzano il tutto.
“Contemplando il viaggio delle nubi” è nuovamente una delle tracce più intrise di
malinconia, complice anche un timbro elettronico che sembra evocare un
clarinetto basso o fagotto. Ma in realtà, nella ricerca e sperimentazione
timbrica del duo, diventa a un certo punto difficile discernere che cosa è
acustico, che cosa è elettronico analogico, che cosa è digitale… I suoni
pesantemente effettati, come in un “flusso di coscienza”, si fondono e
impastano tra loro generando un unicum dal forte effetto ipnotico.
“Nel ceruleo abbraccio del cielo (a Ida G.)” è, come recita il titolo, il
ricordo di una persona che non c’è più. E vi è qualcosa di mistico, di
ieratico, in questa celebrazione così carica di dolore.
L’album si chiude con “Nenia”, brano strumentale nel quale suggestioni compositori a cavallo tra ‘800 e ‘900 (un Satie, un Ravel, un Debussy) si fondono con il minimalismo e la ambient.
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