Nuova Era
20.000 leghe sotto i mari
2025
Il
ritorno dei Nuova Era alla produzione
discografica rappresenta uno scossone per il panorama del rock progressivo
italiano. Uno scossone che, per intensità, potremmo paragonare a un sisma
sottomarino — e mai metafora fu più appropriata, visto che il concept è
un’epopea sonora ispirata all’immortale romanzo di Jules Verne, 20.000 leghe sotto i mari: una storia che da
tempo meritava un’interpretazione in chiave progressive all’altezza della sua
grandezza.
Il
quartetto – guidato dal tastierista e compositore Walter Pini,
affiancato da Alex Camaiti (voce e chitarra), Rudy
Greco (basso) e Maurizio Marra (batteria) – dopo anni
di navigazione silenziosa, pubblica il proprio sesto album, dimostrando una
coesione e una maestria indispensabili per affrontare un compito non da poco.
La loro non è una semplice rispolverata: è un’eredità che viene onorata e
proiettata in un presente vivido, sostenuta da una visione artistica
cristallina.
Il
cuore pulsante dell'album è la title-track, una suite di oltre
trentasei minuti che si candida fin d’ora a essere uno dei vertici della loro
produzione. Fin dai primi istanti – con il canto, forse non troppo inedito, dei
gabbiani che ci fanno immergere nel concept – veniamo catapultati in un viaggio
sonoro vario e multiforme.
Pini sfoggia un corredo
tastieristico di grande ricchezza: l’organo Hammond maestoso che guida tenendo
il timone ben fermo, i synth che innalzano muraglie sinfoniche riportandoci
alle migliori tradizioni degli anni Settanta. La composizione è una sinfonia di
contrasti: passaggi eleganti, magari di piano, archi e ottoni sintetizzati, si rivolgono
ai riff taglienti di Camaiti, e con questi si intrecciano, si rincorrono, si
allontanano e si ritrovano.
Le
ritmiche di Marra e Greco, puntuali
e varie si muovono nella migliore tradizione di quando il progressive sa essere
complesso e leggibile assieme.
La
voce di Alex Camaiti, chiara e precisa, è un elemento
narrativo essenziale: riesce a tenere il filo del racconto anche nelle sezioni
più complesse, sui testi scritti in parte da James Hogg e in
parte dallo stesso Camaiti. Ricco ed esplosivo il finale, un crescendo melodico
di duetti tastiere/chitarra sempre convincenti.
Segue
“Nautilus”, seconda traccia e bonus di sedici minuti, composta
da un Pini appena diciassettenne e rimasta finora inedita. Il brano si
inserisce nel CD senza nulla da invidiare alla suite principale. Se l’epopea
che dà il titolo all’album rappresenta il viaggio nelle oscurità degli abissi, Nautilus
è l’azione che unisce la superficie alle profondità del mare.
Pur
essendo una composizione più accessibile, non rinuncia a parti di maggior complessità
e resta sempre godibile e interessante. In certi momenti si orienta verso temi più
robusti, dai tratti hard rock, sorretti da riff che evocano band i cui nomi
abbiamo nel cuore, mantenendo però intatta l’anima sinfonica grazie alle
variazioni di tastiera e a un intreccio chitarristico in bilico tra Gilmour e
Hackett. La seconda parte sorprende virando, con un tributo brillante e deciso,
verso sonorità che nell’adolescenza abbiamo imparato ad associare ai Deep
Purple; da qui si approda a una chiusura articolata, tra temi distorti
e passaggi dai tratti liberi.
Questo
è, a tutti gli effetti, un album di Walter Pini, senza dubbio,
ma il merito va all'intera formazione, che ha saputo costruire strutture ritmiche
e armoniche capaci di sostenere i dettagli di queste poderose suite. La musica
è ambiziosa e orgogliosamente ferma nella sua precisione esecutiva.
In
sintesi, evidenziando il coraggio di affrontare un concept impegnativo, sottolineo
come i Nuova Era, con questo lavoro, non si sono limitati a celebrare il
proprio passato, ma aggiungono un capitolo essenziale – e, a mio avviso, tra i
migliori di sempre – alla loro discografia.

GRAZIE!!!!
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