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domenica 10 settembre 2017

L'isola di Wight secondo Lorenzo Costantini...



Dal diario dei ricordi di Lorenzo Constantini, musicista e musicofilo romano, amante della buona musica…

”... questo scritto su Wight è frutto di fantasia, anche se non troppo, perchè non ero presente io ma c'era il mio fraterno amico Giuliano, che all'epoca viveva in Inghilterra, mentre io ero impegnato nel viaggio di ritorno dal Brasile all'Italia e non feci in tempo ad arrivare a Wight, ma il mio "spirito" c'era! “.

L’Isola di Wight 35 anni fa, rimane tra i ricordi più belli di un ragazzo poco più che ventenne, partito dalla borgata romana del “Tufello”, prima coinvolto in un’esperienza unica che lo portò a vivere per due anni in Brasile (Rio, Sao Paulo e Recife) e poi di ritorno dal Brasile a passare per l’Isola di Wight, grazie alle informazioni e al supporto logistico di un amico che viveva a Londra.
Arrivai con l’amico Giuliano a Newport la mattina di domenica 30 agosto 1970, ero vestito solo con un paio di jeans con sotto un costume da bagno, una camicia militare blu dell’aeronautica e con uno zainetto da “alpinista” contenente lo stretto necessario.
La situazione a Wight era caotica ma piena di emozioni e di buone vibrazioni, nonostante la gran folla, poi stimata in 600.000 persone, c’era tra la gente una sentimento di grande tolleranza, c’era l’orgoglio di far parte di un evento che seguiva quello di Woodstock dell’agosto 1969, che non era solo un festival musicale ma anche:
“… la tendenza verso una società alternativa, dove le persone dimenticando la propria particolare classe sociale, razza o religione, dimostravano di essere in grado di vivere insieme e di fare le semplici cose di tutti i giorni, sulla base di un accordo non scritto, ma semplicemente basato sull’amicizia e il rispetto reciproco……”(
da "Message to Love: The Isle of Wight Festival 1970" di Brian Hinton).

Quella sera prima di Jimi Hendrix (morirà di lì a poco il 18 settembre del 1970), che avevo già avuto la fortuna di ascoltare al teatro Brancaccio di Roma nel 1968, suonarono i Jethro Tull.
Conoscevo poco i JT perché durante la mia permanenza in Brasile mi ero occupato più di “futebol”, di “samba” e di altro che di loro, ma a Wight furono grandi e la loro musica inebriante, trascinati da Ian Anderson che da allora acquisì, almeno per me, quella figura di “Pifferaio Magico” destinato a guidare la “rivoluzione” (incruenta) di quelle masse di giovani che sognavano un futuro libero dall’ipocrisia e dall’ingiustizia.
Quel sogno durò anni ancora. Ma già dalla fine del concerto, che fu anche l’ultimo Festival di Wight, quando tutti presero la strada del ritorno, l’entusiasmo di aver partecipato al grande evento era appannato da un’ombra di malinconia, forse per me era la “saudade do Brasil”, ma c’era qualcosa d’altro che in quel momento mi sfuggiva, qualcosa che “volava via” e che avrei capito solo più tardi: era l’Isola di Wight, l’isola che non c’è!
Roma, 30 agosto 2005

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