2084:
UNA CONVERSAZIONE CON FRANCESCO GAZZARA
Se
è vero che una delle massime ispirazioni del progressive è il poema
sinfonico, e più in generale la musica a programma, in 2084 sono
due gli spunti: uno extramusicale come il romanzo di Boualem Sansal,
uno profondamente musicale come 1984 di
Anthony Phillips. È da qui che parte il nuovo corso di The Piano
Room?
Si
e non solo. 2084: The End Of The World dello
scrittore algerino Boulaem Sansal – che riprende 1984 di
Orwell immaginandolo in una distopica dittatura dello Stato Islamico
– è una lettura recente, lo stimolo per immaginarne una sorta di
soundtrack prima ancora che Hollywood faccia suo il tema ancora una
volta. L’album dell’ex Genesis Phillips è invece un riferimento
costante, acquistato in vinile poco dopo la sua uscita del 1981, da
sempre un magnete tra le mie orecchie e la strumentazione analogica
dell’era pre-midi. L’idea di un disco completamente elettronico
nel sound ma ricco di contrappunto nel suo corpus armonico melodico
viene proprio da lì. Ho proposto personalmente la versione demo
di 2084 proprio ad Anthony che ha gradito la
complessità della scrittura, anche se dal punto di vista dei suoni
analogici lui ha già dato all’epoca, e per l’evoluzione della
sua carriera non è mai tornato su quella strada. Il nuovo corso
di The Piano Room parte però anche da una terza via: quella della
mia passione per le colonne sonore e del mio lavoro quotidiano come
autore di soundtrack per la tv e il cinema. In particolare, per
restare in tema di sonorità analogiche, lo stile di John Carpenter
come soundtracker proprio dei suoi film.
Soffermiamoci
su 1984, il disco di Anthony Phillips del
1981. Un lavoro controverso, dal quale tu "prelevi" la
struttura, che all'epoca fece scalpore per la sterzata verso sonorità
elettroniche. A quasi quarant'anni di distanza cosa pensi sia rimasto
di quell'opera?
Un
album non semplice, allora come oggi. Intendiamoci, Switched-On
Bach di Wendy Carlos, caposaldo dell’elettronica al
servizio del consumo discografico, era molto più fruibile.
In 1984 di Phillips non c’è traccia (perlomeno
evidente) di barocchismi riconoscibili. Anche nella scrittura rimane
un disco prog, con cambi continui di ritmo e melodie sviluppate senza
riprese orecchiabili. Idem per il sound, non facile interpretare
l’utilizzo dell’arsenale analogico, spesso trattato come la
tavolozza di un pittore impressionista. Uno step sequencing infinito
e creativo, quasi impossibile da avvicinare. Ecco perché il
mio 2084 è solo un umile tributo, nella struttura
perché divide in quattro parti la suite completa, nel suono in
quanto compaiono in buona parte i sintetizzatori e la drum machine
usati all’epoca da Anthony.
Una
chiave fondamentale per capire 2084 è
il 1984 di George Orwell, di cui
ricorrono i 70 anni dalla pubblicazione. I romanzi distopici sono
stati spesso gettonati dal rock (vedi Pete Sinfield, i Rush etc.):
che tipo di fascino ha esercitato la lettura di quello straordinario
romanzo su di te?
Essendo
una lettura scolastica, su cui sono ovviamente tornato più volte, ha
contribuito in maniera essenziale a una visione anche politica della
vita che poi si è spesso alimentata di altri classici di letteratura
distopica e fantascienza in generale, da Fahrenheit 451 di
Ray Bradbury fino alla Trilogia della Fondazione di
Isaac Asimov. Ma è soprattutto l’impatto del cinema ispirato
a 1984 che ha lasciato il segno nella mia
memoria: La Fuga di Logan di Michael
Anderson, Brazil di Terry Gilliam e lo stesso Orwell
1984 di Michael Radford, o ancora L’Uomo Che Fuggì
Dal Futuro (THX 1138) di George Lucas fino al Blade
Runner di Ridley Scott, sono tutti esempi di arte
assoluta – in cui immagini e musica si combinano genialmente –
scaturita da interpretazioni del 1984 di Orwell
sempre ricche di dettagli diversi. Ovviamente anche il rock ha
detto la sua in proposito e spesso è stata la musica a trasmettermi
nella maniera più diretta il messaggio orwelliano: 2112 dei
Rush, i due 1984 di Phillips e Rick Wakeman, e
anche Diamond Dogs di David Bowie con 1984 nella
tracklist. Il fascino del capolavoro di Orwell si rinnova in
ogni epoca, dimostrando attualità assoluta. Come interpretare
proprio oggi la schiacciante presenza di un Grande Fratello
informatico, che raccoglie i nostri dati a tappeto rendendoci tutti
sudditi con gli stessi pochi diritti sempre più a rischio? A
cominciare da quello d’autore, per restare in tema.
Sei
sempre attento al parco tastiere che usi. Il tuo Play
Me My Song (Gazzara Plays Genesis) cominciava non a
caso con un pianoforte Bosendorfer Grand Coda, 2084 invece
è il trionfo dell'elettronica vintage. il clima distopico e
futuribile non poteva che essere evocato così...
Il
Grand Coda citato era quello della Sala Assunta in Vaticano, donato
dalla Bosendorfer alla Radio Vaticana nei primi anni ’80. Un
tributo in prevalenza pianistico ai Genesis doveva per forza partire
da lì. Nel caso di 2084 invece la scelta è caduta
su una serie di synth analogici – Arp 2600, Arp Odissey, Mini Moog,
Prophet 5, Korg MS20 – affiancati dal Mellotron e dal mio
inseparabile Hammond B3, con registri molto “prog” e pedaliera
dei bassi in piena evidenza. La caratteristica distopico-futuribile è
a sua volta sottolineata da qualcosa di più moderno, come i synth
digitali Reaktor e Sylenth. Eppure tutto ciò non tragga in
inganno, The Piano Room è ancora un progetto centrato sulla
scrittura pianistica, come negli album precedenti Early
Morning e Breath, Feel. Non a caso in tutta la
suite di 2084 risuonano anche le note di
un pianoforte particolare: l’elettroacustico Yamaha CP80,
vintage anche quello. Da segnalare infine che le tre bonus track del
disco ripropongono buona parte dell’album per solo pianoforte
acustico.
A
proposito della versione pianistica, in cosa differisce dalla suite
principale?
Dal
vivo 2084 è proprio la versione pianistica della
suite intera – così come è stata scritta originalmente – ma
sincronizzata con le sonorità elettroniche di
synth
e drum machine dell’album originale e con le immagini suggestive e
distopiche sia della copertina del disco che del teaser clip. Tutto
ciò anche per rendere possibile l’esecuzione aggiunta di almeno un
brano sia dalla discografia precedente di The Piano Room che dal mio
tributo pianistico ai Genesis, Play Me My
Song. Restando in tema di suite, l’obiettivo è di
abbinare dal vivo 2084 a Supper’s Ready,
la cui trascrizione pianistica farà parte proprio del follow-up
di Play Me My Song, in uscita entro la fine del 2019.
Mentre
il suono di strumenti come il classicissimo Hammond B3 o il Moog dà
una sensazione di persistenza nel tempo, il sapore di certe macchine
vintage può suonare datato, tanto da “incatenare” l'ascoltatore
a certi ricordi (la Roland CR-78 che rimanda inesorabilmente a In
the air tonight). È una scelta voluta?
L’unica
vera scelta di base è stata quella di assegnare le parti extra
pianistiche ai vari sintetizzatori analogici come se si trattasse di
strumenti di un’orchestra sinfonica, in base soprattutto alle
caratteristiche di coloratura del timbro, più o meno caldo, e alle
frequenze esaltate nel mix. Idem per la drum machine Roland CR-78, i
cui suoni vintage sono stati comunque lavorati molto prima del
missaggio definitivo. Il resto più che voluto è stato forzato, in
quanto la maggior parte di questi strumenti delicati tende a non
reggere l’accordatura e spesso le esecuzioni delle linee melodiche
sono state fatte dal vivo, senza le possibilità di correzione sulla
singola nota come invece avviene sempre con gli strumenti virtuali o
il midi. Il mastering fatto da Max Paparella al Groove Sound Design
Studio ha aiutato questo processo, riuscendo nel miracolo di rendere
il paesaggio sonoro dell’album molto più caldo, dinamico e
coinvolgente rispetto al mix.
Le
sonorità di 2084 rimandano anche a un
certo tipo di immaginario fantascientifico dell’epoca,
alla Tron per intenderci…
Credo
che sia frutto della costruzione, vintage anche quella, delle
sequenze melodiche e ritmiche dell’album. In fondo lo step
sequencing delle macchine analogiche precedeva di poco l’era di un
film come Tron. Stavano per arrivare gli anni dei primi
home computer applicati alla musica, gli albori del midi e del
leggendario Atari ST1040. Anche per questo il teaser clip costruito
sulla traccia di apertura Prologue 2084 prende come
spunto la grafica a 8 bit di quel periodo.
2084 è
sostanzialmente una suite in due parti, aperta e chiusa da Prologo
e Epilogo. Sono finiti i tempi delle grandi suite del passato
oppure secondo te il pubblico ha ancora voglia e disponibilità
all'ascolto attento e prolungato?
Le
durate di una composizione musicale sono sempre state influenzate dal
“mercato” contemporaneo, che si tratti di un mottetto vocale
rinascimentale, di una sonata barocca, di una canzone beat, di una
prog suite, di una base trap o di un’improvvisazione jazz ambient
sperimentale. La vera differenza la fa il contenuto e quasi sempre –
tranne il caso della trance elettronica e di molta world music in cui
la ripetizione è funzionale a un effetto fisico e ipnotico – più
cose cambiano e succedono al suo interno e più viene stimolato
l’interesse dell’ascoltatore nel tempo. In 2084 ci
sono riprese modulate o trasposte dei temi, ma la sensazione globale
è quella di un movimento in divenire, un fiume che scorre verso la
foce senza ripetersi mai uguale nelle sue molteplici correnti e
increspature.
Che
differenze ci sono rispetto ai due precedenti lavori The Piano Room?
La
differenza sostanziale è con il secondo e terzo album pubblicati con
la IRMA Records, in cui il materiale composto ed eseguito al
pianoforte era affiancato a una sezione ritmica di contrabbasso e
batteria. In realtà il primo album omonimo di The Piano Room,
pubblicato da Terre Sommerse nel 2006, era a sua volta un disco di
pianoforte solo. Si può interpretare quindi 2084 come
un nuovo capitolo di uno stile definito di scrittura musicale ma con
un abito sonoro totalmente nuovo.
Da
una parte c'è Gazzara, con il suo storico solco acid-jazz,
dall'altra The Piano Room con la sua devozione al prog-rock e in
particolare ai Genesis. Al centro ci sei tu. È la tua figura l'unico
elemento in comune tra i due progetti o c'è dell'altro?
Si
tratta di due progetti molto diversi tra loro e a cui ho dedicato
gran parte della mia carriera musicale in un arco temporale piuttosto
esteso. Ecco perché anche analizzandoli singolarmente si riscontrano
differenze notevoli al loro interno. GAZZARA in realtà è una
band nata nel 1996 e ancora attiva come trio, con sette album in
studio all’attivo e un “file under” non solo acid jazz ma anche
bossa, lounge, soul. The Piano Room, a sua volta, nasce come veicolo
ideale per unire le mie due passioni musicali di sempre, il prog rock
e le colonne sonore. Una unione maturata finalmente grazie a 2084.