...e alla fine... Roll over Beethoven
Di Valerio Gabrielli
La premessa è doverosa. Questo non è un articolo che parla di musica ma è il racconto di una storia personale che al suo interno racchiude alcuni curiosi spunti che con la musica si sposano perfettamente. Giusto per rimanere in tema, nella primavera del 1990, Carla ed io decidemmo che in luglio ci saremmo sposati e che avremmo fatto anche un bel viaggio di nozze, zaino in spalla, in Nord America. Saremmo ritornati in alcuni posti che avevamo già visitato frettolosamente in un precedente viaggio del 1981 ed inoltre in Canada saremmo anche stati ospiti di amici ed ex compagni di squadra. Un viaggio di 45 giorni all’insegna del risparmio sui trasporti e quindi cercando di utilizzare tutte le formule più economiche che ci fossero capitate. Purtroppo, Internet era ancora un po’ lontano e tutte le prenotazioni aeree dovemmo farle in agenzia, mentre per alcuni spostamenti interni decidemmo di scegliere al momento, sulla base di quello che avremmo trovato. Internet era un po’ lontano anche per quanto riguarda la possibilità di reperire documentazioni, cartine, depliants e quant’altro potesse servire ad avere un minimo di pianificazione. Un buon posto dove trovare tutte queste cose era sicuramente il Consolato Americano di Milano e quale migliore occasione se non andarci il giorno 11 maggio?
Quella sera al Palatrussardi era di scena Billy Joel, un
mostro sacro della mia cultura musicale e quindi decidemmo per i classici “due
piccioni con una fava”.
Arrivammo al Consolato e di fronte all’ingresso ci trovammo nella fantozziana situazione del “passo io, passi lei”. Noi dovevamo entrare mentre due persone, o meglio, una persona ed un omone grande e grosso dovevano uscire. Una volta risolta la questione delle precedenze mi ritrovai faccia a faccia niente meno che con Billy Joel e la sua grossa guardia del corpo. Esaurito lo stupore l’unica cosa che mi riuscì di fare fu quella di chiedere se avesse una penna per firmarmi un autografo. Come è noto a tutti, le rock star vanno sempre in giro con le tasche piene di penne per firmare autografi. Tutte tranne Billy Joel.
Quindi niente autografo ma una poderosa
stretta di mano, sempre sotto l’occhio vigile del bodyguard e la promessa di
rivederci di lì a poche ore al Palatrussardi.
Non so se Lui mi abbia riconosciuto in mezzo a
tutta quella bolgia ma sicuramente io ho riconosciuto Lui ed ho assistito ad
uno dei più bei concerti mai visti in tutta la mia vita. Istrionico,
coinvolgente, adrenalinico ed atletico, il cantautore newyorkese di certo non si
risparmiò quella sera.
Tornammo a Bologna con la testa ancora piena
di ottima musica e lo zainetto peno di depliants e cartine. Sicuramente un buon
viatico per quello che ci sarebbe capitato a luglio. Partimmo da Milano il 24 luglio
e rimanemmo in Canada fino al 2 agosto.
Avevamo acquistato alcuni dei famosi biglietti economici per voli
interni che tanto erano in voga in quegli anni e che ci avrebbe portato da
Minneapolis a San Francisco. Quei famosi biglietti che ti garantivano di andare
da A a B ma la tratta la decideva US Air. Per esempio, per andare da
Minneapolis a San Francisco ci fecero prima andare Charlotte poi a Pittsburgh quasi
sulla costa Est, per poi riattraversare tutto il nord America per raggiungere l’altra
costa, quella del Pacifico. E fu così per tutte le altre tappe del viaggio. Non
abbiamo mai più salito e sceso tante scalette di aereo come in quell’anno.
A Winnipeg, in Canada nella regione di Manitoba, andammo in una agenzia di viaggio per acquistare un biglietto per il Bus Greyhound che ci avrebbe portato fino a Minneapolis. Una impiegata molto coscienziosa ci raccomandò di cambiare mezzo di trasporto appena arrivati in territorio americano in quanto era in atto uno sciopero selvaggio e violento degli addetti ai trasporti su bus e si era avuta notizia anche episodi di fucilate alle gomme dei bus condotti da autisti che avevano deciso di non aderire allo sciopero. Un bel po’ preoccupati decidemmo di seguire il suo consiglio e acquistammo il biglietto del Greyhound fino a Grand Forks in North Dakota da dove avremmo proseguito per Minneapolis su di un più sicuro treno della Compagnia Amtrak.
Ci sistemammo in un Motel 6 e decidemmo di
trascorrere la domenica a zonzo per la città in quanto l’aereo sarebbe partito
la mattina dopo. Come avevamo già sentito dire, i centri delle grandi città
americane sono abbastanza deserti la domenica, in quanto principalmente sede di
uffici, normalmente chiusi in quella giornata. Trovammo molto
interessante vedere che molte strade del centro erano chiuse al traffico ed al
centro della strada erano stati installati tanti playground dove decine di
ragazzi giocavano a basket.
La persona addetta alla reception del Motel ci disse che quella
sera dovevamo assolutamente andare a St.Paul, la città gemella di Minneapolis, al
Riverfest, la festa del fiume Mississippi dove avremmo trovato ottimo cibo,
allegria, baldoria e anche qualcuno che suonava su di un palco.
Andammo senza particolari aspettative, sicuri di trovare un ambiente tipo la Sagra del Tortellino di Castelfranco Emilia, con l'unica variante della musica country al posto del liscio. La festa era bella grande, ben organizzata, pulita ed accogliente. Mangiammo tipico americano ma con nelle orecchie una musica molto piacevole e coinvolgente. Ci avvicinammo allora al palco e con grande stupore realizzammo che là sopra stava suonando Chuck Berry con tutta la sua band. Wow, lì davanti a noi il mostro sacro del rock & roll per eccellenza, in maniera del tutto inaspettata e per di più gratis.
Uno sessantaquattrenne ancora in grandissima forma che non la smetteva di correre su e giù per il palco, proponendo spesso la sua personale Duck Walk, il passo dell’anatra che lo aveva reso celebre e tra un "Sweet little sixteen" un "Johnny B. Goode" e ci godemmo fino all'ultimo minuto di quello show che in parte ci eravamo persi. Per un rockettaro come me fu veramente un graditissimo regalo di matrimonio, un ricordo indelebile……. …e alla fine “Roll over Beethoven”.
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