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lunedì 30 giugno 2025

Gentle Giant: accadeva nel giugno del 2015


Usa Tour 1973

Nel giugno del 2015 la rivista Rolling Stone colloca l'album dei Gentle Giant, "Octopus", alla sedicesima posizione dei 50 migliori album progressive di tutti i tempi.


L'album vede l'ingresso alla batteria di John Weathers, che nel marzo del 1972 aveva sostituito "momentaneamente" Malcom Mortimore, reduce da un brutto incidente stradale.

Phil and JPW. Advision 1972

Naturalmente venne confermato per tutto il tour e a dicembre i Gentle Giant pubblicarono "Octopus", uno dei tanti capolavori dei G.G.

Di tutto un Pop…
Wazza

  ”At a hotel in Milan”, Italy 1972





domenica 29 giugno 2025

Eric Clapton: era il 29 giugno 1974


Il 29 giugno 1974 la rivista "Musical Express" dedica un lungo articolo al ritorno di Eric Clapton sulle scene musicali dopo che, a causa della sua dipendenza dall’eroina, aveva rischiato di morire.
Di tutto un Pop…
Wazza


Leroina entrò a far parte della vita di Eric Clapton qualche tempo dopo. Si era nel 1970. George Harrison, caro amico di Eric, era alle prese con la lavorazione dellalbum “All things must pass e gli chiese se volesse partecipare al progetto. Il produttore era leccentrico ma geniale Phil Spector. Negli studi circolava un sacco di droga. Un pusher offriva quanta cocaina si volesse purchè si comprasse anche un quantitativo di eroina. 
Nel 1970 Eric militava nei Derek and the Dominos e per il periodo che servì a incidere
Laylavisse a Miami: Stavamo in un alberghetto malandato di Miami Beach, dove si poteva comprare la droga nel negozio di souvenir vicino alla reception. Bastava passare lordine alla commessa, tornare il giorno dopo e ritirare la roba in un sacchetto di carta marrone. Ormai ci facevamo di tutto: ero e coca, oltre a un sacco di altra roba pazzesca, come lAngel Dust. La droga minò i rapporti allinterno della band e fu la causa della fine dei Derek and the Dominos”.
Pete Townshend, altro caro amico, cercò di scuoterlo organizzando un concerto al Rainbow Theatre di Londra il 13 gennaio 1973 (il concerto celebrava lingresso della Gran Bretagna nellUnione Europea). Eric arrivò strafatto al concerto, fece del suo meglio ma non era ancora ora di tornare sulle scene. Con Alice, nella loro villa nella campagna inglese, sprofondava sempre più: “Sopravvivevamo a cioccolata, cibi pronti, tutta leroina che ci si poteva fare e vodka. Non facevamo più sesso ed ero stitico”.
Poi la presa di coscienza che si era imboccata una strada senza ritorno. Le cure in clinica e, agli inizi del 1974, un periodo di riabilitazione in una fattoria gestita dal fratello di Alice. Eric e Alice si lasciarono. Lui riuscì a vincere la dipendenza dalleroina che venne sostituita dallalcool. Una dipendenza altrettanto insidiosa e pericolosa.






Deep Purple: accadeva il 29 giugno del 1973

Il 29 giugno 1973, subito dopo il concerto tenuto ad Osaka, il cantante Ian Gillan e il bassista Roger Glover lasciano i Deep Purple mettendo la parola fine alla Mark II del gruppo inglese.

Gli stessi cinque membri si ritroveranno insieme undici anni dopo per la reunion che produrrà l'album "Perfect Strangers".

Di tutto un Pop

Wazza

Deep Purple 1973 in Japan

29 GIUGNO 1973, IAN GILLAN LASCIA I DEEP PURPLE


Un gran silenzio ha sempre circondato l'uscita nel 1973 di IAN GILLAN dai DEEP PURPLE. Mesi prima dell'ultimo tour Ian consegna la sua lettera di dimissioni in cui dice che lascerà i Purple alla fine del tour successivo.

L’ultima data sarebbe stata quella di Osaka, il 29 giugno 1973. Quella era la fine programmata del tour e quindi il suo ultimo spettacolo e ancora nessuno aveva detto una sola parola a riguardo:

"Salimmo sul palco e ci esibimmo e lasciai la sede per conto mio e tornai in hotel. Non c’è stato alcun addio, nessuno collegato ai Purple disse qualcosa. Nessuno della band, nessuno dell’equipaggio, nessuno della gestione. Era come se tutta la questione fosse stata spazzata sotto al tappeto. È stato strano.

L’atmosfera di quel momento fu semplicemente orribile, e per me fu un sollievo aver finito tutto.


Per capire cosa stesse succedendo nella band avreste bisogno di uno psicologo esperto. Tutti nella line-up si comportarono come dei coglioni, me compreso. Non ci aiutò il fatto che da tempo erano coinvolte un sacco di altre persone, avevamo degli ordini da seguire e lavoravamo fino allo stremo. Se fossimo stati in grado di prenderci una pausa, allora forse avremmo elaborato il tutto. Ma eravamo su un tapis-roulant e arrivai al punto di volermene andare. È per questo che lasciai le mie dimissioni con una lettera. Quella sera a Osaka noi tutti agimmo come se nulla fosse, come se andasse tutto bene. Anche se chiaramente non era così.

Il giorno dopo lasciai l’aeroporto da solo, salii sul volo e tornai a casa. Era come se mi trovassi dietro le quinte e non fossi considerato un membro della band. Una volta tornato in Inghilterra mi sarei aspettato almeno una telefonata dalla band, ma non arrivò nessuna chiamata. Alla fine, qualche tempo dopo, ricevetti una chiamata da Roger Glover per dirmi che era stato licenziato dai Purple…”.


Hamburg Sep. 1984
 




Il compleanno di Ian Paice


Compie gli anni oggi, 29 giugno, Ian Paice, batterista dei Deep Purple: la storia dell’hard rock passa anche attraverso le sue bacchette!

Happy Birthday Ian!
Wazza


 Pin up of Deep Purple from issue 438 of Jackie Magazine published 27th May 1972



Carmine Appice and Deep Purple's Ian Paice share drummer callous stories with each other 1974

sabato 28 giugno 2025

Il Bath Festival Of Blues il 28 giugno 1969


 

Accadeva il 28 giugno 1969

Bath, contea del Somerset

Bath Festival Of Blues

 

Il Recreation Ground della cittadina termale alle porte di Londra ospitava in quel giorno la più grande manifestazione mai dedicata alla musica delle radici afroamericane.

Sul palco, nel verde della campagna inglese, era pronta a salire la crème del rock blues inglese:


John Mayall, Ten Years After, Led Zeppelin, Fletwood

Mac, The Nice, The Colosseum e molti altri…

 

Il presentatore era John Peel, leggendario dj della BBC.

Il Bath Festival Of Blues nacque da una geniale idea dell’organizzatore Freddie Bannister, una sorta di pioniere dei concerti rock in terra d’Albione.

Aiutato dalla moglie Wendy, Bannister fu così bravo e scrupoloso che, al contrario di tanti suoi colleghi dell’epoca (al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico) uscì vittorioso anche dal punto di vista economico, tanto che il Bath Festival Of Blues diventò, negli anni, una sorta di istituzione dei Festival inglesi.

Per agevolare la fluidità del programma, Bannister si inventò un palco doppio così che, mentre su uno si stava esibendo una band, sull’altro si preparava il gruppo successivo.

Il pubblico non ebbe così tempi morti d’attesa e il programma, molto intenso, venne rispettato al minuto.

I 30.000 presenti ebbero modo di godere di una giornata di musica straordinaria che scorse senza gravi incidenti.

Un unico problema di carattere tecnico accadde quando i Nice di Keith Emerson decisero di fare salire sul palco un gruppo di suonatori di cornamusa: il peso eccessivo fece crollare una parte del palco.


Il concerto venne così momentaneamente sospeso per dar modo di effettuare le riparazioni.

Un quarto d’ora dopo, la musica riprese più entusiasmante di prima …



I Beatles a Roma nel 1965


The Beatles a Roma per due concerti

27/28 giugno 1965 al Cinema Teatro Adriano

A leggere le cronache dell'epoca fu un mezzo fiasco! 

Photo gallery by kind permission of Wazza



























 

venerdì 27 giugno 2025

Racconti sottoBanco: il 27 giugno 2009 il Banco del Mutuo Soccorso esegue dal vivo e per intero l'album "Darwin!"

Darwin, Frascati 2009

Racconti sottoBanco

Nella villa Torlonia di Frascati, il 27 giugno 2009 il Banco del Mutuo Soccorso esegue dal vivo, per intero l'album "Darwin!".

Per ricordare quella memorabile giornata ho scelto questo bellissimo articolo di Teo Orlando, che fa rivivere a chi c'era quelle inconfondibili sensazioni.
Wazza



Articolo di Teo Orlando

Il Banco del Mutuo Soccorso ha suonato lo scorso 27 giugno a Frascati a Villa Torlonia presentando l'opera Darwin! Alla voce Francesco Di Giacomo per una rentrée di tutto rispetto e del tutto progressive.
Quando l’autorevole rivista inglese Gnosis stilò una sorta di graduatoria dei migliori album del genere progressive, molti appassionati del genere non credettero ai loro occhi vedendo che il primo posto non era occupato da uno dei capolavori di una band britannica.
Né il seminale In the Court of the Crimson King degli insuperabili King Crimson del geniale Robert Fripp o il leggendario Pawn Hearts degli immensi Van Der Graaf Generator con la stratosferica voce di Peter Hammill, o il cesellato Selling England by the Pound dei migliori Genesis di Peter Gabriel (che si classificò al secondo posto di stretta misura) o l’irriverente Aqualung dove Ian Anderson guidava i Jethro Tull verso rotte blasfeme; e neppure qualcuna delle sofisticatissime opere dei sottovalutati bardi della sperimentale scuola di Canterbury, dai Caravan agli Henry Cow fino ai Gong.

A guidare la classifica e a surclassare cotanta concorrenza fu un disco di un gruppo italiano, e d’origine romana, per giunta. Siamo nel 1972 quando il Banco del Mutuo Soccorso pubblica Darwin!, forse il primo concept album compiuto concepito da una band italiana. Tema e testi di notevole complessità, con l’intreccio di argomenti biologici, cosmologici e filosofici, e con un tasso di irriverenza che all’epoca fece gridare allo scandalo.
Per nulla invecchiati se non anagraficamente i musicisti e la musica, e di sorprendente attualità i testi, in quest’anno dedicato ai 200 anni dalla nascita di Charles Darwin e ai 150 dall’apparizione del suo capolavoro, ossia Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita (1859): abbiamo così assistito alla riproposta in concerto di questo capolavoro del progressive italiano.

La performance ha avuto luogo nella suggestiva cornice di Villa Torlonia a Frascati, il 27 giugno scorso, e ha visto il Banco nella formazione originale, con l’aggiunta di una recitazione affidata all’attore Alessandro Haber, preceduta da un’introduzione quasi teatrale ad opera del cantante del gruppo, Francesco Di Giacomo, che in modo semiserio ha cercato di ammaestrare” il pubblico sulle teorie di Darwin.

Le premesse ideologiche del disco del Banco sono in effetti ispirate al darwinismo e alle sue conseguenze: in particolare, viene pienamente accolta l’idea per cui le teorie di Darwin abbiano inferto un colpo mortale alla credenza nella creazione divina dell’uomo e nell’ordine finalistico della natura, voluto dall’intelligent design di un’entità provvidenziale e orientato verso una tendenza intrinseca all’armonia.


Secondo Darwin, infatti, tutte le specie viventi e la loro evoluzione sono determinate da tre fattori principali: 1) La variabilità spontanea delle popolazioni, sia vegetali, sia animali: ciò vuol dire che le variazioni genetiche che spiegano le differenze tra gli individui di una stessa specie sono assolutamente fortuite; 2) la selezione naturale prodotta dall’ambiente, in base alla quale gli individui che meglio si adattano alle condizioni ambientali appaiono anche più favoriti nella lotta per l’esistenza e nelle contese sessuali; 3) la trasmissione ereditaria dei caratteri, sviluppati liberamente e selezionati dall’ambiente, a un numero sempre più ampio di discendenti, finché non si forma una nuova specie.
Il ruolo cruciale delle variazioni fortuite rendeva superflua ogni ipotesi di un’autoregolazione finalistica della natura e permetteva di spiegare l’evoluzione biologica unicamente sulla base di cause meccaniche e naturali. Tuttavia, dato che, secondo Darwin, l’adattamento all’ambiente non produce direttamente caratteri nuovi, ma si limita a favorire la permanenza di alcuni caratteri rispetto ad altri, il modello darwiniano è meno rigido e deterministico di quanto si pensi: sono i caratteri genetici intrinseci dell’individuo a essere prioritari, ma essi sono frutto di una variazione casuale di partenza che non si combina agevolmente con previsioni ferree e necessitate.

Così, l’evoluzione biologica non può essere rappresentata come una linea retta che dalle forme più elementari di vita condurrebbe fino alle scimmie antropomorfe e all’homo sapiens. È più corretto dire che l’evoluzione è un processo aperto, costituito da salti e deviazioni impreviste, da tentativi ed errori, da rami secchi e discendenze interrotte fino a possibili regressioni a forme di vita più primitive.
Qualcuno potrebbe obiettare che i temi darwiniani non si prestano particolarmente ad una trasposizione musicale e poetica, in nome di un’astratta separazione tra la creatività artistica e i risultati delle scienze. Ma si tratterebbe di un giudizio erroneo ed affrettato. Il connubio tra poesia e concetti scientifici risale almeno al De rerum natura di Lucrezio e, quanto al darwinismo, esso trovò una notevole trasposizione nella visione pessimistica e agnostica di Thomas Hardy, che ci sembra molto vicino alle liriche del Banco
Il grande scrittore inglese obliterò ogni visione provvidenziale dietro lo spettacolo della pena di vivere e dello struggle for life, come si evince dalla poesia Hap (Il caso, 1898): “Crass Casualty obstructs the sun and rain,/And dicing Time for gladness casts a moan” (La fortuna balorda ostruisce il sole e la pioggia,/E il Tempo biscazziere per allegria getta i dadi di un lamento). L’idea centrale di Hardy, che fonde abilmente il Darwin di On the Origin of Speciescon lo Schopenhauer di Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come volontà e rappresentazione, 1818-19) e la sua concezione della volontà ciecamente operante, è forse espressa nella maniera più pregnante da Sue Bridehead, una delle protagoniste del romanzoJude the Obscure (1895): “Il mondo somigliava a una stanza o a una melodia composta in un sogno; si presentava come mirabilmente eccellente per un’intelligenza semi-desta, ma irrimediabilmente assurdo allorché ci si è completamente svegliati. La Causa Prima aveva lavorato automaticamente come un sonnambulo, e non riflessivamente come un saggio.
Temi analoghi presentano appunto i testi del Banco, che non a caso vennero percepiti all’epoca come provocatori e rivoluzionari. E questa carica dirompente si è mantenuta intatta e vitale anche durante il concerto, che ha seguito fedelmente la tracklist dell’album originario.


Stupefacente ancora oggi la possente voce di Di Giacomo, quasi da baritono, che senza il benché minimo tremolio ha accompagnato le tastiere di Vittorio Nocenzi, le chitarre di Rodolfo Maltese e Filippo Marcheggiani, il basso di Tiziano Ricci, la batteria di Maurizio Masi e i fiati di Alessandro Papotto. E questa voce ha cominciato a cantare le liriche all’interno del primo brano, dopo qualche minuto di introduzione strumentale. Brano che si intitola significativamente L’evoluzione. Evoluzione della musica come emblema del progressive ed evoluzione dell’universo senza necessità di postulare una Causa Prima: “Prova, prova a pensare un po' diverso/niente da grandi dèi fu fabbricato/ma il creato s'è creato da sé.

La visione è senz’altro orientata verso un deciso materialismo: sono solo cellule, fibre, energia e calore”ciò che spiega la genesi del cosmo e della vita. Ogni creazionismo di matrice biblica viene apertamente contestato: “E se nel fossile di un cranio atavico/riscopro forme che a me somigliano/allora Adamo non può più esistere/e sette giorni soli son pochi per creare/e ora ditemi se la mia genesi/fu d'altri uomini o di quadrumani.
E come il cosmo si è originato da pochi elementi, così il progressive ha dilatato i confini del rock ampliando la base blues, aprendosi al jazz e alla musica classica, utilizzando i cosiddetti metri additivi (ossia i tempi dispari), che caratterizzano questo brano e tutti gli altri dell’album. Notevolissimo l ’uso dei sintetizzatori che richiamano alla mente il dispiegarsi dell’universo dal caos originario, scene di origini primordiali e vulcani in eruzione.
Dopo i 20 minuti del primo brano, che si chiude con una polifonia strumentale memore degli impasti sonori dei Gentle Giant, si viene proiettati ex abrupto nell’evoluzione della specie umana: La conquista della posizione eretta ci ricorda irresistibilmente la scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio, nella quale il genio di Stanley Kubrick aveva messo in scena una tribù di australopitechi che si ergevano trionfanti, dopo aver conquistato la capacità di camminare come bipedi eretti, brandendo un osso d’animale trasformato in arma offensiva. Prima di trasformarsi in ominide, la scimmia antropomorfa cammina a quattro zampe, inseguendo l’odore di bestia” e l’orma di preda. Poi, provando e riprovando (il trial and error, che daDarwin stesso a Karl R. Popper caratterizza così tanto l’intelligenza umana!), ergendosi e cadendo ripetutamente, si avvierà verso la definitiva emancipazione dal mero stato animale, proiettandosi verso traguardi infiniti: “E dove l’aria in fondo tocca il mare/lo sguardo dritto può guardare.


Segue poi a mo’ di intermezzo la Danza dei grandi rettili: il mellotron e le chitarre intrecciano una sorta di ballo funky-progressive. Poco importa che cronologicamente questo brano avrebbe dovuto precedere il secondo: come è noto, infatti, i dinosauri si sono estinti molti milioni di anni prima della comparsa dei primi ominidi. Ma l’anacronismo serve anche a sottolineare la dimensione profondamente “preistorica” in cui si muove tutto l’album e la performance che ne deriva.
Dalla preistoria si passa comunque alla protostoria con Cento mani e cento occhi. Siamo immersi in una dimensione hobbesiana, dove cominciano a formarsi i primi consorzi sociali, seppure finalizzati alle battute di caccia: “Laggiù altri ritti vanno insieme/insieme stan cacciando carni vive/bocche affamate braccia forti/scagliano selci aguzze con furore. Si pone però il dilemma all’incerto ominide: unirsi alla forza di cento mani e alla vigilanza espressa da cento occhi, propri di esseri che diventeranno da branco una tribù e costituiranno prima villaggi e poi città? Oppure fuggire dagli altri uomini, praticando un solitario bellum omnium contra omnes?
Il vero culmine poetico viene però toccato con 750.000 anni fa ... L'amore, forse la canzone più celebre del disco. Il sentimento dell’amore viene espresso con gesti delicati, che precedono addirittura l’elaborazione di un vero e proprio linguaggio verbale: “Se fossi mia davvero/di gocce d'acqua vestirei il tuo seno/poi sotto i piedi tuoi/veli di vento e foglie stenderei. Ma “il labbro inerte non sa dire niente” e quindi nella mente dell’ominide si mescola l’istintiva brama di possesso con un’oscura consapevolezza dell’impossibilità di possedere una donna che non è stata prima gentilmente corteggiata. Sembra di sentire il poeta statunitense Langdon Smith (1858-1908), che nella celebre poesia Evolution, quasi immedesimandosi in esseri primitivi, dice che “Mindless we lived and mindless we loved” (Dimentichi abbiamo vissuto e senza pensieri abbiamo amato).



Il concerto volge alla conclusione con un’accorata meditazione sul destino dell’umanità. È Miserere alla Storia, dove i versi “Quanta vita ha ancora il tuo intelletto/se dietro a te scompare la tua razza?, alludono sinistri alla possibile autodistruzione del genere umano. E in effetti, l’ultimo brano dal disco, Ed ora io domando tempo al Tempo, ed egli mi risponde…non ne ho! sembra scandire le eterne domande che assillano gli uomini dai loro albori: qual è la nostra vera origine e quale sarà la nostra fine? Qual è il senso del tempo?
“Ruota eterna, ruota pesante/lenta nel tuo cigolio/stai schiacciando le mie ossa e la mia volontà: è la ruota del Mulino di Amleto, per usare il titolo di un libro di Giorgio De Santillana ed Hertha von Dechend, che coincide con il tempo ciclico e qualitativo, ritmato da scansioni scritte nel cielo, fatali perché si identificano con il Fato stesso.

A questo punto, conclusa l’esecuzione del disco, tocca ad Alessandro Haber riprendere alcuni brani leggendone i testi senza accompagnamento musicale e dando una veste teatrale a quella che Darwin chiamava The Descent of Man (l'origine dell'uomo).

Il concerto continua ancora con la ripresa de L’evoluzione e con due altri brani dalla produzione del Banco, la pacifista R.I.P. e Non mi rompete: una conclusione perfetta per un connubio tra il progresso nella scienza e il progressive nella musica.




Ricordando Chris Squire che ci lasciava nel 2015

Fuck the dead... sono immortale!

Il 27 giugno del 2015, a causa di un male incurabile, ci lasciava Chris Squire, bassista inglese e membro fondatore degli Yes.

La sua eredità come uno dei più grandi bassisti nella storia del rock progressivo vive ancora oggi attraverso la sua musica e il suo impatto duraturo sulla scena musicale.

Chris Squire nacque il 4 marzo 1948 a Kingsbury, nel Middlesex, in Inghilterra. È diventato famoso come bassista principale e voce di supporto degli Yes, una delle band più influenti nel genere del rock progressivo. Squire è stato uno dei membri fondatori della band nel 1968 insieme a Jon Anderson, Peter Banks, Bill Bruford e Tony Kaye.

Il suono distintivo di Squire al basso è stato un elemento chiave nel suono unico della band. Utilizzava un basso Rickenbacker 4001, che gli conferiva un suono ricco e profondo. Oltre a suonare il basso, Squire ha contribuito significativamente alle armonie vocali del gruppo.

Durante la sua carriera con gli Yes, Chris Squire ha partecipato alla creazione di album di grande successo, come "The Yes Album" (1971), "Fragile" (1971), "Close to the Edge" (1972) e "90125" (1983), tra molti altri. Il suo stile di basso innovativo e la sua presenza scenica magnetica hanno reso Squire un'icona nel mondo del rock progressivo.

Squire ha anche lavorato su alcuni progetti solisti nel corso degli anni, pubblicando l'album "Fish Out of Water" nel 1975 e collaborando con altri artisti.

La sua eredità come uno dei più grandi bassisti nella storia del rock progressivo vive ancora oggi attraverso la sua musica e il suo impatto duraturo sulla scena musicale.