Di Max Rock
Polis
Non
c'è bisogno di avere una laurea in astrofisica o aver fatto un corso presso
l'Istituto geografico militare per riconoscere in un battito di ciglia cosa
campeggia sulla cover del CD di Pierpaolo Bibbò. Non è la “Via lattea”,
bensì una fotografia filtrata della sua Sardegna, quasi a voler simboleggiare
in una volta il punto di partenza, il nuraghe come da prima traccia, e il punto
di arrivo, appunto la parte più luminosa della nostra galassia.
È
questo il primo lavoro scelto per la pubblicazione nel gennaio 2018 da Zanella
di M. P. & Records, e per chi ne conosce la filosofia e l'impegno,
oltre che la competenza, il nome stesso è già un commento fatto al disco:
musica particolare.
Senza
avere la pretesa di sostituirsi a un ascolto accurato di questo disco, di
volerlo rinchiudere in poche parole, potremmo definirlo una sorta di
Progressive con forte chiave Cantautoriale e Folk. In sostanza parliamo di una
piacevole e riuscita commistione, contaminazione di stili, unendo una
tradizione italiana a delle sonorità più nord europee.
Tutti
gli arrangiamenti e i testi sono di Pierpaolo, come quasi tutti gli strumenti
suonati: tastiere chitarre acustiche ed elettriche, basso, ma sopratutto la
voce. Simone Spano suona batteria e percussioni.
Il
CD parte solenne ed elettrico, proponendo proprio il tema del viaggio “Dal
nuraghe alla Via Lattea”, un pezzo molto vario nelle sonorità, sostenuto da
ottime tastiere e batteria spesso robusta e ritmica.
Il
pezzo più forte dell'album, quello più sentito, denso e carico di storia e
significati, è la seguente cavalcata di ben 13 minuti: “17 febbraio 1943”,
dove Bibbò si mette nei panni di un ragazzo di Cagliari quel giorno alle ore
15, quando vi fu il primo terribile bombardamento “alleato”, cioè dei supposti
amici liberatori, sulla sua città. Ne seguirono altri due i giorni seguenti “lasciandosi
alle spalle una città fantasma”, come dicono le note interne della cover. È
dramma in musica e parole, ma senza voler spingere in ormai inutili pensieri di
pietà, senza lacrime. Il destino “ineludibile, incomprensibile ed
inspiegabile” del ragazzo e le parole di rabbia sono ben scandite da una
batteria quasi Hard rock. Poi viene il tempo dei ricordi e il pezzo si dilata
in un'altra attesa musicale, finché tutto a un tratto le ombre nere arrivano
sulla città a incendiare l'aria e riempirla di schegge. Il dopo è vissuto solo
tra urla del silenzio. È chiaro tutto il sentire che ha l'autore di questo
dramma, figurato nel ragazzo di quasi 11 anni la cui vita cambia per sempre,
come continuano a cambiare le atmosfere proposte dal duo di musicisti. Abbiamo
Prog, sinfonia, Rock duro, elettronica.
Dopo
questa massiccia prova d'autore e di musicista, gli altri brani devono essere
all'altezza, per non fare da semplice corollario. “Nient'altro” è una
poesia d'amore pianoforte e voce, si apre alle melodie nel finale, poi ancora
atmosfere elettroniche ed evocative in “Corso Vittorio Emanuele II (1962)”
dove Pierpaolo ci racconta un pezzo della sua infanzia, quando d'estate loro
bambini si divertivano a far esplodere cartucce, facendole schiacciare dai tram
sui binari. È sempre Cagliari, ma in situazione e ambientazione ben diversa da
19 anni prima, in “quei '60” comunque “indelebili”, con un
bell'assolo di elettrica a chiudere il ricordo.
Poi
arriva “Il matto del villaggio”, che può essere visto come il singolo di
questo “Via Lattea”, dove ci si trova da soli a viaggiare con
l'immaginazione, e allora ecco che si diventa folli nella propria libertà e
solitudine, a rincorrere miraggi. “Quando rinascerò” è la tavola
colorata in musica di ognuno di noi, che vorrebbe avere la possibilità di
rifare quello che abbiamo sbagliato nella nostra vita. C'è ancora intensità e
varietà stilistica, seppur immersa tuta in tastiere, effetti e chitarre
elettriche di contorno.
È
ancora l'ultima poesia, malinconica, amara confessione in “Ho quasi smesso
di sognare”, dove si fanno i conti con le proprie ambizioni e prospettive
non realizzate.
La
bella voce di Bibbò è sempre fondamentale nella struttura delle sue canzoni,
dove il messaggio dei suoi testi si integra sempre nell'atmosfera delle
musiche, il senso ne diventa parte integrante e colpisce per intensità e corpo.
Pur con ampio uso di tastiere ed elettronica, l'album diventa vivo e vitale grazie
all'interpretazione vocale, accompagnata e sottolineata comunque da tutti gli
accenti musicali che vi si trovano. Canzoni mai banali, mai piatte, sempre
diverse e variopinte, tanto che chi ascolta è indotto a farsi il proprio film
mentale per rivedere le scene di vita qui raccontate.
Alla
fine dei 45 minuti del CD, anche se fisicamente non siamo riusciti a viaggiare
dal nuraghe al cielo stellato, perlomeno abbiamo immerso la testa nelle
immagini suggerite da Pierpaolo e Simone. Se ci pensate, non è certo cosa da
poco avere un pezzo d'arte che riesce ad aprirci la mente.
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