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mercoledì 31 gennaio 2024

Il Rovescio della Medaglia nel febbraio del 1974

ROVESCIO DELLA MEDAGLIA - CIAO 2001 - GENNAIO 1974


La rivista Ciao 2001 nel febbraio 1974 pubblica un articolo sulla serata organizzata al Piper di Roma, il mese prima, per aiutare Il Rovescio della Medaglia.

Il 31 gennaio 1974 si teneva presso il Piper Club di Roma un concerto per il Rovescio della Medaglia, che aveva da poco subito il furto del TIR, con tutta la strumentazione.

Successe a Roma, in via Trionfale: il furto gettò nello sconforto la band che con tanti sacrifici aveva acquistato una strumentazione di alto livello.

A questa serata di "beneficenza" parteciparono, oltre al RDM, il Banco del Mutuo Soccorso, Franz di Cioccio della Premiata Forneria Marconi, Albero Motore, Perigeo, Venditti-Cocciante-De Gregori, Claudio Rocchi, Mauro Pelosi.

Nonostante questa mobilitazione massiccia Pino Ballerini, il vocalist, decise di lasciare la band, che poco dopo si scioglierà.

Di tutto un Pop...

Wazza






DeaR-"Tapes – Greetings From Uchraina", commento di Fabio Rossi


Artista: DeaR

Album: Tapes – Greetings From Uchraina

Genere: Alternative Rock

Anno: 2023

Casa discografica: Music Force

 

          Commento di Fabio Rossi

 

Tracklist:

CD 1 - Music Was First

1981

01 - Sapphire and Steel
02 - Oyster Man

03 - Running on Mirrors

1982

04 - Death Watch (Song for Romy)
05 - Ideal Future

06 - Like a Gigolò

07 - Epitafio (Poem by Federico Garcia Lorca)

08 - Jean Paul’s Dream

09 - Animal Farm (From City to City)

10 - She is Far From the Land

1983

11 - Les Saltimbaques (Poem by Guillaume Apollinaire)

12 - Ode to the West Wind (Poem by Percy Bysshe Shelley)

13 - Living and Partly Living (Loosely based on Th. S. Eliot)

14 - Frederica

15 - Bossa Rossa

16 – You (Loosely based on Ezra Pound)

1984

17 - The Four Humors

18 - Far Are the Shades of Arabia

19 - If You Were Coming in the Fall (Poem by Emily Dickinson)

20 - The Weighing of the Heart 

CD 2 - To Keep 37 Years

1987

01 - Me and UFO

1985

02 - Here Goes the Night

03 - I Might Cry and No One Notice

04 - Classical Songs

1986

05 - Danielle and the Flowers

06 - All He Would  (Was Hollywood)

1987

07 - Flowers Too Soon Fade

08 - Shouldn’ts and Should

09 - I Hope It Is

10 - Afterglows

11 - Shake a Leg

12 - Castles in Spain

13 - I’m in Dance (In Fairyland)

14 - Waiting for the Man in Wine

1985

15 - Koko (Remembers – Funky Version)

16 - No Fire Without Ash (Beep Beep Version)

17 - Nessie

18 - Love Song of a Coward

19 - Lo-Fi Song

20 - No Side Effects 

CD 3 - Daymon (Demos and Outtakes)

1989 - 1990

01 - On Razor’s Edge

02 - Man Lovers One Day on Earth (Including “A Dream Within a Dream” by Edgar Allan Poe)

03 - Radio Baghdad

04 - Inwards Outwards

05 - Wheels Within Wheels

06 - In Isaak Leviatan’s Moonlit Russian Village

07 - Love is Between

08 - In the Rage of Rock

09 - Rain

10 - The Crooner

11 - I Don’t Exist

12 - Give This World a Sense

13 - No Fire Without Ash

14 - Koko (Remembers)

15 - Westwards

16 - See You Later (including “Abandono” by Federico Garcia Lorca)

17 - Looking Homeward Blues

18 - Wanting Love

19 - Dream (My Guitar Name)

20 - In Ein Altes Stammbuch (Poem by Georg Trakl)

Line Up

Davide Riccio: vocals and all instruments

 


Monumentale triplo CD sfornato dai DeaR, il progetto musicale ruotante attorno all’estro del torinese Davide Riccio, che include ben sessanta composizioni inedite sparse su decine di cassette.

Si tratta di brani che coprono un lunghissimo lasso temporale che va dal 1981 al 1990 e che talvolta sono stati vanamente proposti a case discografiche a dir poco miopi (o sorde, se preferite). Fortunatamente l’infaticabile Davide li ha ora messi a disposizione di tutti in una lussuosa confezione curata da Leonardo Di Lello.

Ascoltando la musica raffinata dei DeaR, si può apprezzare innanzi tutto l’evoluzione stilistica di Riccio, giacché i pezzi sono stati inseriti in ordine rigidamente cronologico. Le liriche sono in inglese, ma non mancano escursioni negli idiomi spagnolo, francese e tedesco, segno inequivocabile della completezza professionale dell’artista anche sotto questo specifico aspetto.

Alcune composizioni si basano su opere di Lorca, Moore, Apollinaire, Shelley, Eliot, Dickinson, Poe e altri ancora, ulteriore segno evidente di elevata cultura. Sotto il profilo squisitamente musicale, si rimane ammaliati dal profondo vocalism di Davide che ben si districa tra le atmosfere ipnotiche, psichedeliche, jazz e progressive sparse nei tre CD.

In taluni frangenti la sua voce ricorda quella di David Bowie, Peter Hammill, Lou Reed e il suo lirismo è sempre messo a disposizione di tracce mai banali nel loro incedere anche quando abbandonano la sperimentazione e abbracciano più prosaicamente la dance e il pop.

Un’operazione accurata in ogni minimo dettaglio e sarebbe davvero un peccato che tanta classe sia ad appannaggio di pochi fedeli seguaci. Allargate le vostre menti e uscite dalla banalità della musica contemporanea: ascoltatevi i DeaR!      





lunedì 29 gennaio 2024

Il mondo di Tintozenna secondo Andrea Pintelli

 

Tintozenna

Forza e impeto

Di Andrea Pintelli


Chi è Tintozenna? Tintozenna è un’idea concretizzata, ma altresì un progetto ancora in divenire; è un moniker col quale un musicista romano si identifica; è pugno e carezza. Nato artisticamente nel 1995 quando, con l'ausilio di un 4 piste analogico, cominciò a registrare i suoi primi brani. Verso la fine del 1996 entrò in studio per registrare il suo primo album omonimo, coadiuvato da un bassista e un batterista. Negli anni successivi, nonostante vari cambi di formazione, riuscì ad ottenere discreti risultati incidendo altri dischi che furono passati su diverse radio quali Radio Rock, Radio Rock Italia, Rock in FM, Radio Città Futura, Radio BBS, Radio Rai (trasmissione “Demo”), e condividendo il palco con Morphine, Africa Unite, Radici nel Cemento, Andrea Mirò, Giorgio Canali & Rossofuoco, Marlene Kuntz, Morgan, Prozac+, Ricky Portera e Daniele Tedeschi.

Ad inizio anni 2000 si trasferì a Cremona e si mise alla ricerca di componenti per creare una nuova formazione, fino ad arrivare, dopo varie vicissitudini, al 2019 dove, non trovando ancora nessuno disposto ad intraprendere un percorso musicale strano e particolare come il suo, decise di provare ad autoprodursi, decidendo di riprendere in mano i brani più significativi di tutta la sua storia artistica,  aggiungendoci un nuovo brano, "In-Ri Tornato", che fu una sorta di emblema di resurrezione di se stesso.

Ad agosto 2021 uscì il disco "Nei Sensi ed Oltre", distribuito dalla Dogma (facente parte del gruppo Metatron di Torino) e il mese successivo pubblicò "Ritorno alle Origini". Nel luglio 2022 la casa discografica, purtroppo, cessò la sua attività e Tintozenna, anziché cercarsene un’altra, decise di tornare solo ai suoi brani. Ripartì emblematicamente dalla canzone "Sei Vivo?"

Ad oggi ha pubblicato sul suo canale Youtube (v. link sottostante) 12 brani del suo vecchio repertorio, aggiungendo un brano inedito, tale "Giustizia Ci Sarà".

“Solo Tu” – Sapori grunge, un cantato particolarissimo (vero marchio di fabbrica di Tintozenna) sospeso fra echi di “Ferrettiana” memoria, urla e falsetti provenienti dalla parte più profonda della’anima, risatine a condirne l’atmosfera straniante. Ottimo primo impatto.

“Virus Bianco” – Bordata chitarristica di sicura presa, tempi obliqui, potenza infarcita di malvagità atta a raccontare il virus che tutti abbiamo tristemente conosciuto. Quasi un’implorazione per poter rivivere un mondo libero da ansie e paure.

“Respira” – Dark wave e tanto più: urticante clima psicologico, suoni volutamente sinistri, noise a grappoli per far arrivare il messaggio con immediatezza. Uno schiaffo per riportare alla vita.

“Sei Vivo?” – Tristezza e speranza, noia e nascosto desiderio di rivincita, isolamento e nebbia. Un testo dal profondo significato, accompagnato da una melodia criptica che intende passare un messaggio di chiaro disagio. Ma in fondo al tunnel c’è sempre luce che si chiama nuova alba.

“Senza Senso” – Armonia che discende da un certo blues oscuro, fraseggio ipnotico con al centro l’annuncio che si dipana in maniera fluida, quasi fosse un’invettiva. Dolore, parecchio dolore.

“Tintozenna” – Autobiografia o richiesta d’aiuto? “Sospeso al confine, indeciso, deriso, unico appiglio un fragile ponte di cartapesta, questa esistenza sì mi va stretta”, ecco la parte iniziale del testo. Dentro c’è tanto per capire la filosofia di questo artista. Vorrei saperlo sereno, come se il cammino nel suo deserto interiore fosse terminato, per sfociare in un’oasi di serenità. Ma ci arriverà.

“Visioni” – Energico, gagliardo, solido. Questo pezzo e il suo protagonista hanno in sé talmente tanto vigore che, forse, nemmeno loro sanno di avere. Basterebbe maggior fiducia nella propria volontà. Richiamo d’immagine.

“Dentro Me” – Tintozenna parla al sé profondo, cercando di captarne messaggi che possano far ritrovare gioia e direzione. Musicalmente è un percorso ad anello, vortice e centrifuga, da cui il nostro fa di tutto per uscire, per ritrovarsi specchiato nel proprio io. Un abbraccio che profuma di sfida. La sua vittoria è più vicina di quel che creda.

“Pandemia” – Atto d’accusa contro il Nuovo Ordine Mondiale. Chiaro e netto. Per far capire, ancora una volta, quel che è stata la pandemia iniziata nel 2020: la prova generale della moderna schiavitù. Tintozenna non ha paura di esporsi: c’è un uomo dietro il musicista.

“Orgia Selvaggia” – Battito di cuore, che cuore non ha. La stanchezza di vivere porta alla follia oppure la follia porta alla stanchezza di vivere? La causa va sradicata dalle proprie tenebre per capirne l’effetto. Difficile, duro, con sangue e lacrime. Ma vale quanto scritto poco fa.

“In-Ri Tornato” – Dopo anni di disavventure, tribolazioni e peripezie, Tintozenna è tornato alla Musica, la propria. Con maggiori convinzioni e temprato dal vissuto. Resuscitato, ma in carne e ossa. Tornato per esserci e restarci.

“Canto d’Innocenza” – Dagli albori della natura, dal vero inizio, da un dove incantato. La vera canzone di virili sentori di determinatezza e risolutezza. Tutti vinciamo, prima o poi. Crederci, sempre.

“Giustizia Ci Sarà” – Desiderio di giustizia, rivalsa. Dominato dalla rabbia, l’artista si lascia andare alla maledizione verso chi gli ha praticato torti e derisioni. “…e ti vedrò perire, io ti vedrò sparire via da qui, finalmente via da qui, giustamente e per sempre!” Più chiaro di così…

Andatevelo ad ascoltare, a scoprire, a viverlo, nella speranza che qualcuno del settore musicale possa aiutarlo a farlo ripartire in maniera strutturata, tramite la pubblicazione di un suo nuovo lavoro.


CD:

-       Tintozenna (1997)

-       Visioni (1999)

-       Quatanh (2001)

-       Nei Sensi ed Oltre (2021)

-       Ritorno alle Origini (2021)

 

Ecco il suo link Youtube cui fare riferimento: 

https://www.youtube.com/@TintozennaTZ 

Ogni canzone ha il testo in didascalia.

 

 

Phil Collins e Peter Gabriel (pics from Wazza)










 

domenica 28 gennaio 2024

ELP-Tokyo 1972- foto di Koh Hasebe-By kind permission of Wazza











 

Ricordando Jim Capaldi

Ci lasciava il 28 gennaio 2005 Jim Capaldi, cantante, batterista, percussionista, produttore.

Figlio di immigrati italiani, fu membro fondatore dei magnifici Traffic, insieme al "fratello" Steve Winwood.

Steve racconta che i genitori non vedessero di buon occhio l’amicizia con un ragazzo più grande di lui, e figlio di immigranti… ma la forza della musica e dell'amicizia prevale qualsiasi preconcetto.

Con i Traffic ha scritto pagine indelebili della storia del rock, una per tutte il brano "John Barleycorn Must Die"...

Per non dimenticare…

Wazza







mercoledì 24 gennaio 2024

Semiramis – “La fine non esiste” - Commento di Alberto Sgarlato

 


Semiramis – “La fine non esiste” (2024) 

di Alberto Sgarlato


Musicalmente parlando, il 2023 si è concluso con due apprezzati ritorni per gli amanti del rock progressivo italiano: un nuovo album per Gianni Leone con il suo Balletto di Bronzo e una pubblicazione da parte di una firma storica della scena genovese come i Gleemen.

E, a giudicare dalle premesse, il 2024 non sarà da meno: tornano infatti con il loro nuovo e attesissimo album i Semiramis.

Facciamo un passo indietro: era il 1973, infatti, quando i Semiramis scuotevano il panorama musicale con un eccellente debutto, l’album dal titolo “Dedicato a Frazz”. Il personaggio di Frazz, protagonista del concept-album, nasce come acronimo dei cognomi dei musicisti: Paolo Faenza (batteria e percussioni intonate), Marcello Reddavide (basso e campane), Giampiero Artegiani (chitarre acustiche e sintetizzatore) e i due fratelli Zarrillo, Maurizio (tastiere) e Michele (chitarra solista e voce solista).

Quel capolavoro resterà “figlio unico”, ma verrà spesso ristampato da varie etichette, in Italia e all’estero, per le forti richieste da parte degli appassionati. Nel frattempo, la band si scioglierà e i musicisti prenderanno strade diverse. In particolare, Michele Zarrillo raggiungerà la celebrità con un pop italiano melodico sempre raffinato e di qualità. Artegiani sceglierà soprattutto di diventare autore e produttore per altri artisti (tra i quali lo stesso Zarrillo) e raggiungerà il suo picco di notorietà con “Perdere l’amore”, portata al successo a Sanremo da Massimo Ranieri. Tuttavia, non disdegnerà sporadiche apparizioni soliste (come la gentile e delicata “Acqua alta in piazza San Marco”, a Sanremo 1984).

Torniamo ai giorni nostri… Ed ecco che succede qualcosa che fa battere il cuore ai fans: su slancio di Paolo Faenza, infatti, nel 2014 i Semiramis riprendono l’attività live con ben tre componenti su cinque della formazione originale: oltre all’appena menzionato batterista, infatti, torneranno con lui sul palco il tastierista Maurizio Zarrillo e il chitarrista acustico Giampiero Artegiani, che farà anche da “narratore” spiegando al microfono le vicende del personaggio di Frazz e dipanando la trama del concept. I riscontri di pubblico sono eccellenti, ma la band non sa quale destino avverso la sta per colpire: a stretto giro, infatti, ci lasceranno prima Maurizio Zarrillo (deceduto nell’estate del 2017) e poco dopo anche Artegiani (a febbraio 2019).

Encomiabile, da questo punto di vista, la forza di volontà di Paolo Faenza, che non si è perso d’animo un istante ma, anche per onorare la memoria degli amici di una vita, si è rimboccato le maniche nel portare avanti il progetto. Ed ecco dunque i Semiramis del 2024, con lo storico percussionista affiancato oggi da Ivo Mileto (basso), Emanuele Barco (chitarre elettriche), Marco Palma (chitarre acustiche), Giovanni Barco (voce) e Daniele Sorrenti (tastiere e flauto). Il titolo del nuovo album è emblematico nel riassumere questo nuovo corso: “La fine non esiste”.

Ascoltandolo si può constatare che dei “vecchi” Semiramis la band ha mutuato la capacità di scrivere mettendo sempre la melodia in primo piano, in modo affascinante ed elegante; nei “nuovi” Semiramis constatiamo, invece, un sound non fedele in modo calligrafico allo stile dell’epoca ma globalmente più al passo coi tempi e, a tratti, più incline a sonorità hard.

La band mette subito le cose in chiaro in tal senso con il poderoso riff di Hammond che apre “In quel secondo regno”, traccia che dopo una partenza quasi al profumo di Uriah Heep offre una svolta inaspettata nella quale gli intrecci di chitarra acustica, organo dai suoni asciutti e percussivi e chitarra elettrica richiamano alla mente i Gentle Giant. Un sofisticato “saliscendi” di momenti più barocchi e classicheggianti e altri più duri. E le “string-machines” nella sezione centrale, più impalpabile, del brano, fanno battere il cuore riportando alla memoria il sapiente uso dell’Eminent che era proprio marchio di fabbrica del compianto Maurizio Zarrillo.

Cacciatore di ansie” è ancora più elaborata, tra momenti che richiamano gli Yes, eleganti divagazioni piano/chitarra puramente jazz-rock, eseguite con gusto ed eleganza, sezioni pianistiche classicheggianti e sublimi tocchi di percussioni intonate, fino al toccante crescendo finale che, di nuovo, ricorda il sound dell’amato album “…Frazz”.

Donna dalle ali d’acciaio” (un omaggio alla grande trasvolatrice atlantica Amelia Earhart) parte come un delicato “acquerello” acustico per poi crescere in una toccante rock-ballad, ancora una volta giocata tra momenti più cantautorali e altri quasi metal-prog (sentendo gli “stop” sui piatti sotto il riff di chitarra è impossibile non pensare addirittura a “Ytse jam” dei Dream Theather!)

Non chiedere a un Dio” si apre con il suono delle campane ed è di nuovo una delle tracce più “debitrici” verso l’eredità di quei Semiramis del 1973, con i suoi intrecci di chitarre acustiche ed elettriche, i suoi tappeti di Eminent e le sue accelerazioni che portano a momenti in crescendo letteralmente mozzafiato. A questo punto è doveroso spendere parole di stima per le sentite e coinvolgenti interpretazioni vocali di Giovanni Barco, sempre eccellente in questa traccia come, del resto, in tutte le altre.

Dopo il ricordo di Amelia Earhart, un altro brano dalla contestualizzazione storica: è “Tenda rossa”, dedicato alla missione polare di Umberto Nobile nel 1928. E ancora una volta troviamo sanguigni e poderosi momenti giocati tra chitarra ed Hammond ad altri più barocchi affidati ai volteggi del clavicembalo ma anche del Minimoog. Un tripudio di tastiere e di chitarre elettriche e acustiche sempre solidamente sorrette dai numeri di alta scuola di una sezione ritmica ineccepibile nel porre al momento giusto ogni suo accento, ogni suo stacco, ogni suo cambio di tempo. Toccante, ovviamente, anche il testo, nella sua drammaticità.

E la band si congeda con “Sua maestà il cuore”, brano meno “impattante” e più “concettuale” dei precedenti, grazie ad un costrutto estremamente sofisticato e curato in ogni minimo dettaglio. Ancora una volta la sezione pianistica centrale è a livelli sublimi e ci porta a un commovente crescendo finale affidato a una toccante parte vocale, uno struggente assolo di chitarra e una inaspettata coda tra Gentle Giant e, persino, Area.

Se avete amato “Dedicato a Frazz” del 1973 non resterete affatto delusi da questo nuovo capitolo nella storia della band. Se siete dei fans “giovani”, attraverso questo lavoro vi salirà sicuramente la curiosità di riscoprire quanto la band realizzò 50 anni fa.




lunedì 22 gennaio 2024

Cyrax – “Novo Deus” (2023)-Commento di Alberto Sgarlato

 


Cyrax – “Novo Deus” (2023) 

di Alberto Sgarlato


Decisamente imprevedibile ed eterogeneo questo “Novo Deus”, quarto album dei lombardi Cyrax, dopo i precedenti “Reflections” (del 2013), “Pictures” (del 2015) e “Experiences” (del 2020).

Quattro album spalmati in un decennio esatto dimostrano la volontà da parte della band di proseguire lungo un percorso di composizione costante ma al tempo stesso ben ponderata, ricca ma non frenetica o compulsiva, con una distribuzione saggia delle uscite soprattutto considerando le molteplici variazioni di line-up che il gruppo ha dovuto subire.

Ma perché imprevedibile ed eterogeneo? Perché la matrice fondamentalmente metal della band sposa più che mai, in questo nuovo lavoro in studio, da una parte un afflato maggiormente sinfonico negli arrangiamenti, dall’altra una crescente attenzione alla world music, sia mediante l’introduzione di molteplici strumenti etnici, sia attraverso la scrittura di testi nelle più diverse lingue del nostro pianeta. L'esito non può che risultare affascinante, coinvolgente e a tratti persino ipnotico all’orecchio dell’ascoltatore, previo ovviamente un attento ascolto in cuffia, sia per godere delle infinite sfumature nelle sonorità adottate, sia per cogliere (pur non potendo capire, ovviamente, tutte le lingue usate), la musicalità di quegli idiomi perfettamente coniugata al sound della band.


Si parte con “Hewa Kunikosa”, che inizia quasi come un brano di Peter Gabriel (per via del massiccio tappeto ritmico introduttivo) ma che presto vira verso territori metal nei riff chitarristici, persino lirici nel cantato corale, ma inframezzati da costanti inserti etnici e poliritmici.

“Nesnesitelná Lehkost Bytí” inizia invece proprio con i profumi balcanici di una danza klezmer, prima di coniugare il cantato con il sapiente mix lirico, sinfonico e rock che caratterizza questa quarta opera della formazione meneghina.

“Bhagavad-Gita” ci porta ancora a un altro capo del mondo: stavolta tra i timbri metal e il canto corale fa capolino un sitar pronto a catapultarci in India. La grinta iniziale del brano sfocia in un inaspettato ed emozionante crescendo centrale che ci accompagna poi all’accelerazione finale.

Ascoltare questo album è come reggersi a delle montagne russe che ti sbattacchiano su e giù per il pianeta. Ecco l’Estremo Oriente di “Yuéliáng”, brano che solo nell’ultimo minuto regala una concessione al rock ma che per tutta la sua prima parte è filologico; “Tatsuta-Gawa” induce alla meditazione attraverso una vocalità mistica; l’introduzione ovviamente poi si evolve in direzioni inaspettate, tra power metal iperveloce e Asia; la title-track, in portoghese, coniuga inaspettatamente il sound della band con la Bossa Nova e con evoluzioni strumentali di ottimo jazz-rock (ovviamente sempre in “salsa metal”); le fisarmoniche di “No dormireis” sarebbero sublimi come colonna sonora di un film di Almodovar o di De La Iglesia; atmosfere che la band sembra voler ancora perseguire, se pur indurite e accelerate, in “Cuervos nocturnos”, brano dove non mancano inaspettati inserti “mariachi”; un tuffo in una tribalità primordiale in “Hamáhólo Ogo” e la band torna a “ipnotizzare” l’ascoltatore con un approccio quasi mistico e rituale.

Una band rock poteva farsi mancare uno dei generi dai quali il rock stesso in parte proviene, e cioè il country? Eccolo in “Twelve valiant saints”! Brano con una inaspettata e bizzarra svolta finale, quasi da musical. “Pictures Pt. II” è un brevissimo intermezzo strumentale di puro gusto sinfonico (dopotutto la musica classica ha influenzato tantissime correnti del rock, dal prog al metal).

Una teatralità quasi vaudeville introduce “Sermon for the wastelands”, come arrangiamento strumentale forse il brano più avvicinabile al metal-prog canonico, seppur con questo eclettico cantato tra rap, teatro e coralità. Un pizzico di Mordred e un po’ di System of a down nella traccia forse più “convenzionale” (per modo di dire…) in un album decisamente “anticonvenzionale”.

La drum-machine che introduce “L’Avare”, i sintetizzatori e il sax ci ricordano persino certo synth-pop di alcune produzioni anni ‘80 di Guesch Patti o di Grace Jones. E si chiude con “An die musik”: pianismo mozartiano, “kabarett” tedesco di inizio Novecento e un pizzico di Schonberg e di Stockhausen.

“La folle giostra” si è fermata, è ora di scendere. Un disco che cresce ascolto dopo ascolto se si ha la volontà di immergervisi senza pregiudizi e di accettare totalmente questa proiezione degli “Esercizi di stile” di Raymond Queneau dal piano letterario a quello musicale. Tutto è costruito con perizia negli arrangiamenti e sapienza nell’esecuzione, con una cura del dettaglio maniacale. E il risultato è, come già detto, decisamente affascinante.









domenica 21 gennaio 2024

Un ricordo di Francesco...

(foto Daniele Raimondi)

 

21 Gennaio 

"Fù tolto al mondo troppo al dente" 

(epitaffio sulla tomba di Aldo Fabrizi) 

Ci sarai sempre. Buon viaggio Capitano 

Wazza

 

(Il ricordo di Gianni Marsili)

Un giovedì di fine luglio era in programma una serata che avevo dedicato a tutte le etnie presenti a Roma. L’avevo intitolata “Popoli”.

Piazza Santa Maria in Trastevere era gremita di folla, attenta, partecipe all’esibizione dell’”Orchestra di Piazza Vittorio”, questa bellissima orchestra di quaranta artisti provenienti da tutto il mondo, di tutte le etnie e di tutti i colori.

Ricordo tutto ancora con la stessa emozione.

A un certo punto del concerto, la figura ben nota di Francesco di Giacomo, del Banco di Mutuo Soccorso, si fa strada sul palco. La sua figura è inconfondibile, il suo modo di essere lo rendono subito riconoscibile, e la piazza gli tributa di getto un applauso spontaneo, quasi pregustando qualcosa di importante e di inedito.

...E la magia inizia.

L’orchestra riprende a suonare: suoni di paesi lontani, suoni che disegnano tramonti senza fine in cieli senza orizzonti. Poi, Francesco, con un filo di voce, quasi sussurrando, comincia a cantare.

Quanta pena stasera c’è sur fiume che fiotta così disgraziato chi sogna e chi spera tutti ar monno dovemo soffri’.

Silenzio nel pubblico: la piazza ascolta, ammutolita, forse un po’ sconcertata. I venditori ambulanti si fermano; anche se intenti al loro lavoro, si rendono conto che sta accadendo qualcosa e anche loro ascoltano.

Mi guardo attorno: un bambino smette di giocare, le coppiette si danno di gomito in un momento di intima complicità; perfino i palloncini in aria sembrano immobili nel ponentino romano. Sono convinto che molti, in quel momento stanno trattenendo il respiro.

Er barcarolo va controcorrente.

Sono le parole di “Er barcarolo romano”, canzone molto amata a Roma e che è stata interpretata dai più grandi cantanti romani, come Claudio Villa, Lando Fiorini, Gabriella Ferri, etc.

…e quanno canta l’eco s’arisente dice si è vero che tu dài la pace boiaccia fiume je l’hai data tu.

Adesso tutti volgono la loro attenzione verso il palco: gli artisti di strada, i clown, i suonatori ambulanti ai lati della strada o sparsi tra la folla...; anche quelli che sono impegnati in altre attività, come i camerieri che stanno servendo ai tavoli, tutti alzano la testa incuriositi.

Nell’aria c’è magia. Si sente, si tocca quasi con mano. Il popolo di Roma percepisce la tensione e ne assapora il piacere.

Più d’un mese è passato da una sera che dissi “A Ninè quest’amore ormai è tramontato.” Lei rispose “Lo vedo da me”.

Sul palco, Francesco continua a cantare; nonostante la sua mole sembra essere diventato piccolo, irrilevante, mero strumento di un attimo di magia, di un sogno d’estate, che l’orchestra accompagna in un inedito arrangiamento, umile anch’essa affinché il miracolo non si guasti.

Quaranta musicisti da tutto il mondo, di tutte le etnie, e un cantante romano: per qualche momento Trastevere è il centro del mondo.

La luna da lassù fà capocella rischiara il viso a Ninetta mia bella me voglio sperde solo giù per fiume così chi t’ama more assieme a te.

Anche l’ultima nota scende su una piazza muta, rapita. Nessuno osa ancora interrompere l’incanto.

Per almeno cinque secondi non si sente un suono, poi, timidamente, un incerto battito di mano, poi qualche applauso sparso, un po’ più forte... Infine, come un argine che si rompe, l’esplosione, l’urlo liberatorio: la folla dà finalmente sfogo alle emozioni trattenute in un’ovazione senza fine.

Alla fine, qualcuno chiede urlando anche il bis, ma come è possibile ripetere un miracolo?

Era la festa de Noantri del 2007, ma mai, come in quel momento, era veramente la festa di tutti.

FRANCESCO grazie e arrivederci.