Merak –
“Sopho(s)more” (2024)
di Alberto Sgarlato
Era il 2022 quando i liguri Merak, in attività da circa un anno, debuttavano
ufficialmente con il primo EP intitolato “Gnothi Sauton” (citazione
greca del Tempio di Apollo a Delfi, letteralmente: “Conosci te stesso”). Alla
fine di gennaio 2024, superati i necessari assestamenti legati a un cambio di
formazione, la band sceglie un intreccio tra la già usata lingua greca e
l’inglese come titolo per il secondo EP: un gioco di incastri di parole,
infatti, dà vita al termine “Sopho(s)more”.
Non facile da spiegare: sophomore, in inglese, è lo studente del secondo anno
(e qui abbiamo il riferimento all’opera seconda). Ma così spezzato diventa un
gioco tra “more” (accrescitivo in inglese) e “sophos”, che in greco significa
“saggio”, quindi un riferimento a un sound oggi evolutosi in una direzione più
matura e profonda.
Fra alla voce, PG alla chitarra, Tom al basso e il nuovo ingresso Ale alla batteria (all’anagrafe Francesca Anselmo, Piergiorgio Bertoli, Tommaso Matta e Alessandro Isola) presentano così queste cinque tracce “più sagge”, frutto del calderone di influenze maturate dai musicisti non solo come band, ma nei precedenti trascorsi musicali dei singoli componenti.
Partiamo subito con “Anynothing” (scelta anche dalla band come singolo di lancio) e subito restiamo colpiti da un drumming tribale, marziale e solenne al tempo stesso, sopra il quale il riff chitarristico e i vocalizzi evocano le lande cosmiche della neo-psichedelia di band come Sun Dial, Bevis Frond o Mandragora. Queste dilatazioni, però, nel brano si avvicendano rapidamente ad accelerazioni più legate alle origini punk della formazione. Il ponte centrale estremamente etereo ci porta addirittura verso la new-wave di Joy Division o Siouxsie and the Banshees.
“Easy day” regala delicati
profumi semi-acustici nell’intro, ancora tra new-wave e tocchi shoegaze.
L’alone della neopsichedelia è sempre ben presente (qualcuno ricorda per
esempio i Rain Parade?) e non mancano eleganti ricami di organo a transistor
(un Farfisa? Un Vox? Un altro modello?) che riportano alla memoria i Pink Floyd
degli esordi, quando Syd Barrett era al timone. Ciliegina sulla torta, un solo
chitarristico ineccepibile nella sua essenzialità formale. Brano ben scritto,
squisitamente arrangiato e di rara eleganza che, dopo la grinta tra hard e punk
della traccia di apertura, mette ben in chiaro la varietà della tavolozza
stilistica della formazione.
Ancora drumming tribale in apertura di “Era
Aurea”, brano che spiazza, dopo due tracce in inglese, per la scelta
del cantato in italiano. E il cambio di rotta si rivela azzeccatissimo! In un
istante rivivono, in quelle note, prima rarefatte, poi più sanguigne e
rabbiose, la cupa new-wave cantautorale dei Diaframma, il combat-folk degli
esordi degli Ustmamò e l’alternative rock del Consorzio Suonatori Indipendenti.
E ancora una volta la band dimostra non solo
di padroneggiare diversi linguaggi, ma di saperli fare suoi con gusto, con
classe, mai derivativi e senza afflato nostalgico, ma al contrario, “rivivendo”
ogni corrente secondo la propria estetica e la propria forte personalità.
“Sugarcandy mountain” ci
riporta alle coordinate iniziali: rarefazioni psichedeliche, riff hard, cambi
di tempo e di atmosfera repentini e – altra sorpresa! - un poderoso groove
bassistico di gusto quasi dub, a ricordare anche i trascorsi tra punk e reggae
di alcuni componenti della band. Questo cocktail di ingredienti dà vita a una
cavalcata ipnotica, tutta da ballare in stato di trance. Se avete amato Ozric
Tentacles, Hawkwind e Magic Mushroom Band, qui avrete di che divertirvi!
E ci congediamo sulle note di “Alone”, che riparte dalle sonorità “tribal-punk-wave” della traccia di apertura, con momenti più duri e altri più impalpabili e sognanti, quasi a chiudere un cerchio. E il cerchio è tracciato perfettamente, non ha sbavature, non ha imperfezioni, ma è il disegno di un team di progettisti (i quattro componenti dei Merak) perfettamente focalizzati sui loro ruoli e obiettivi.
La registrazione è avvenuta a giugno 2023, in
presa diretta, presso lo studio di Luca “Nash” Nasciuti (Nash's studio), a
Genova. Nash si è occupato del pre-mixaggio e dell'editing; in seguito, il
lavoro è stato mixato e masterizzato in forma finale da Filippo Buono presso il
Monolith Recording Studio di Vitulano (Benevento).
Nota di plauso, infine, per tutta la
splendida veste grafica: dal disegno di copertina, che evoca gli anni d’oro del
fumetto “alternativo” italiano, alle foto dei quattro musicisti all’interno del
booklet, fino al retro che, tra gli abbinamenti dei colori e dei caratteri
scelti, ci riporta a un’estetica squisitamente “seventies”.
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