Claudio Milano, non solo fantastico musicista, ma
anche fine lettore e scrittore della musica altrui, ci descrive un album appena
uscito, quello di Peter Hammill &
Gary Lucas
Artista: Peter Hammill & Gary Lucas
Titolo: Other World
Etichetta: Esoteric Antenna
Genere: Avant Rock
Anno: 2014
Durata: 58
Nazionalità: UK
Formazione:
Peter Hammill: Acoustic & Electric Guitars, Vox,
Found Sounds
Gary Lucas: Acoustic & Electric Guitars and FX
Tracklist:
1.
Spinning Coins
2. Some
Kind of Fracas
3. Of
Kith & Kin
4. Cash
5. Built
from Scratch
6. Attar
of Roses
7. This
is Showbiz
8. Reboot
9. Black
Ice
10. The
Kid
11. Glass
12. 2
Views
13. Means
to an End
14.
Slippery Slope
Contatti: http://www.sofasound.com
Voto: 6,5
Come portare Roy Harper e Jimmy Page a casa di Scott Walker con David Lynch a curare la regia del tutto.
Con onestà ammetto, mi aspettavo ben poco da questo album.
L'interazione tra i due musicisti si presentava dai primi comunicati stampa e
dai sample distribuiti in rete, come una delle infelici avventure
soniche hammilliane nei sentieri di un ambient minimale e sbiadita
spacciata per “avanguardia” così come era accaduto per prove di ben poca
levatura come Unsung, The Appointend Hour (con Roger Eno), Alt
con i Van Der Graaf Generator (più votato ai percorsi di musica concreta e jazz
improvvisativa) e agli appena più sostanziosi Spur of the Moment con Guy
Evans (pessimo su disco, decisamente più intrigante nelle poche prove dal vivo
del duo), Loops & Reels, Sonix.
Devo ammetterlo, Hammill mi ha spiazzato ancora e lo fa con un
album che abbraccia la tradizione di una scrittura per voce e chitarra ispirata
e personalissima come in Chamaleon and the Shadows of the Night e Clutch,
colorata con suoni che trovano in Lucas il perfetto interprete (e spalla
tecnica di rilievo) di quell'astrattismo sonico “a la Pollock” che ha
caratterizzato, sulla scia del quasi capolavoro di fine '70 The Future Now
e dei grovigli claustrofobici di In Camera, l'oscura trilogia post
infarto da Singularity a Consequences.
Questa ricerca, qui trova una nuova dimensione, assai piacevole e
decisamente contemporanea che analizziamo nel dettaglio.
Questi suoni dall'altro mondo, non si presentano di primo acchito
necessariamente ostili, ma esplorano una vasta gamma di emozioni soniche.
Già dalla prima traccia, Spinning Coins si ha la percezione
di una scrittura limpida, cristallina, vicina al migliore cantautorato folk,
colorato da una chitarra sognante.
Some Kind of Fracas, rende la materia assai più scura e tagliente, a tratti demoniaca
con i suoni chitarristici di Lucas ed Hammill, a disegnare asperità vicine ad
un'avantgarde minimale, satura nelle stratificazioni fino a creare un muro del
suono/drone pari a un buco nero. Intrigante.
Una pioggia di suoni luminosi di Lucas, accompagna, la fervida
scrittura, le pennate e la voce baritonale di Hammill nel terzo brano del disco
Of Kith & Kin. Le sovraincisioni ed armonizzazioni vocali
multiottava, tipiche del sistema compositivo del cantore britannico, sono
ridotte qui, stranamente, come nell'intero disco al minimo, ma risultano sempre
efficaci e mai sopra le righe Una canzone bellissima.
E' con Cash che arriva il brano capolavoro. Hammill trova
la sua consueta energia carica di livore e non celato sadismo, con fraseggi
vocali sincopati, rapidi come scudisciate, un riff che sembra provenire
direttamente dalla produzione dei primi Soundgarden. Le chitarre dei due
musicisti si intrecciano a definire arabeschi sonici di tutto rispetto.
Brevissima, quanto intensa, un bel modo di lasciare il segno.
Primo brano strumentale con Built from Scratch, connubio di
suoni tra psichedelia contemporanea e ambient. Sinceramente nulla di che. A
seguire, altro strumentale con Altar of Roses e la sensazione rimane
immutata, (peraltro con un inglorioso campione ad emulare lo scorrere di acqua)
e cioè che lontano dal connubio suono e forma canzone, esplosa, contratta,
rimasticata, esternata in innumerevoli varianti, tanto il duo, ma in
particolare Mr Hammill nel tentativo di “compositore”, o meglio di “non
compositore”, proprio non regga neanche vagamente il confronto con la folta
schiera della sua generazione che dal Wyatt di The End of an Ear, è
transitata per Fripp, Eno, Harold Budd, Moebius, Rodelius e l'intera propaggine
kraut più space.
Con This is Showbiz, Hammill torna invece in forma
smagliante a disegnare, complice non solo una fortunata linea melodica, ma
bellissime e mai stucchevoli trascolorazioni armoniche, un brano tra i più
belli della sua carriera recente.
Con Reboot si ha la sensazione di essere in
presenza ancora di uno strumentale, ma la maggiore presenza di dinamiche,
prepara alla partecipazione di una linea vocale, probabilmente non memorabile
ma mesmerizzante. E' il delirio sonico che ne consegue ben stratificato e
disegnato come in un arazzo variopinto di soluzioni per chitarre che si
dipanano in un ossessivo riff ed estetica glitch, a rendere il brano nel suo
complesso, di gran fascino.
La forma canzone pura di Black Ice con venature blues folk
abrasive centra ancora il segno grazie ad armonizzazioni di tutto rispetto una
melodia ficcante e intrecci sonori efficacissimi, con il ritorno di suoni
glitch in una sorta di riattualizzazione dei deliri dei primissimi Velvet
Underground. Eccellente. Altro brano perfettamente a fuoco e probabilmente la
cosa più nuova alle orecchie di chi conosce i percorsi di entrambi i firmatari
del disco.
Il virtuoso intreccio di arpeggi di Lucas, che rimanda ai lavori
con Buckley Jr., non è adeguatamente supportato da una prestazione vocale di
Hammill in The Kid per quanto la linea melodica presenti anche spunti di
interesse, rimandato alle esibizioni dal vivo del duo.
Direttamente nella Loggia Nera con Glass, assai meno presuntuosa
degli episodi strumentali che la precedono. Fascino e anche un pò di sostanza,
ma soprattutto, sintesi.
Hammill trova puro lirismo con 2 Views ma l'estrema
dilatazione delle trame sonore a tratti stimola, ad altri annoia (come era già
successo con l'episodio conclusivo di This, The Light Continent).
Torna lo splendido riff di Cash con Means to an End,
questa volta in chiave strumentale, praticamente un outtake, di cui in
tutta onestà non si sentiva particolare bisogno.
A chiudere, l'unico brano strumentale di autentica sostanza, Slippery
Slope, memore di certo krautrock e soprattutto del connubio
berlinese tra Bowie e Eno in Low, con i fantasma di Hugh Banton
all'organo in più sezioni. Un bel viaggetto.
In conclusione, un disco che sarebbe stato bellissimo se ben più
corto e avesse rinunciato a sbiadite scenografie senza l'attore principe del
racconto vocale. Il tutto, sarebbe stato a favore della presenza dello
straordinario legame tra suono, poesia (anche se in questo disco le liriche
appaiono un po' meno interessanti del solito nel ricercare un approccio
diretto) e canzone colta che rende Hammill compositore tra i più grandi del
nostro tempo e Lucas chitarrista tra i più straordinari che il rock abbia mai
conosciuto sin dall'indimenticata collaborazione con Captain Beefheart.
In attesa del meditatissimo album solista hammilliano in uscita a
fine anno, che ha richiesto più di due anni di lavoro, cosa assai rara per il
prolifico autore britannico, qui, un altro segno della fervida vena ispirativa
che qualche live di troppo a parte e il brutto Alt del gruppo di cui è
leader, lo accompagna senza alcuna caduta di tono dal 2002, anno di
pubblicazione di quel Clutch, di cui come detto, questo Other World
è degno epigone di continuità evolutiva.
Assolutamente da vedere dal vivo.
6'5/10
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