Skank Bloc Records pubblica il nuovo
lavoro del compositore italiano residente in USA. Brani propri e anomale cover
di Lucio Battisti, Enzo Carella, Flavio Giurato, Donovan e Syd Barrett, con la
complicità di Pasquale Panella
Canti felice: Luciano Chessa e le sue
canzoni lo-fi tornano su cassetta
LUCIANO CHESSA
Canti felice
Skank Bloc Records 2018
(distr.
Spotify, BandCamp, Deezer etc.)
12 brani, 38.03 minuti
Bandcamp:
Spotify:
"Alla fine degli anni '90 smisi di scrivere canzoni
perché da una parte mi sembrava avesse poco senso esprimermi in italiano
davanti ad un pubblico anglosassone, e dall’altra constatai in prima persona
che in Italia i pochi produttori interessati al tipo di musica che io scrivevo
non avrebbero potuto pubblicare miei lavori senza un impegno da parte mia a
promuovere le uscite discografiche con esibizioni dal vivo. Si sarebbe trattato
di un suicidio editoriale.
Dopo una collaborazione con Vinicio Capossela durante il suo
tour in California nel 2009, mi resi conto che cantare in italiano davanti ad
un pubblico straniero non sembrava fosse un così grande ostacolo, soprattutto
quando introduzioni in inglese ai brani ben fatte offrivano al pubblico quel
minimo di contesto utile per seguire il concerto ed emozionarsi. Scrivere
canzoni mi stava maledettamente mancando e Lapo Boschi di Skank Bloc Records è
stato il principale artefice: è stato lui, tentatore, a riattizzare quel
desiderio mai sopito. “Fu come soffiare sul fuoco”, e il fuoco si è riacceso".
Parte da lontano, il
rapporto con la canzone italiana di Luciano Chessa. Una canzone minimale,
scarna, scheletrica, ancora più sorprendente se pensiamo che proviene da un
compositore italiano che dialoga con l'estero e che nel corso degli ultimi anni
si è espresso - con apprezzamenti raccolti in tutto il mondo da importanti
critici e grossi musicisti - nel campo della musica colta contemporanea. Eppure
il nuovo album - anzi cassetta, si tratta pur sempre dell'originale Skank Bloc,
devota al nastro, altro che dischetti e vinili - Canti felice proviene da un
percorso mai interrotto, da frammenti e idee risalenti alla fine degli anni '90
e ripresi con intatta magia, come ricorda Chessa: "Mi ha molto sorpreso il
fatto che ho ripreso esattamente dal punto in cui avevo interrotto il lavoro in
quaderni: riaprirli mi riportava d’incanto al 30 agosto 1998, data in cui
abbandonai il campo e partii per la California per iniziare il dottorato. Una
sorta di Pompei dell’anima in cui tutti i miei sentimenti erano rimasti fissati
in quella data e perfettamente cristallizzati: insetti nell’ambra. Eppure in
questo processo di completamento non sento affatto uno iato".
Canti felice è una
musicassetta. Lato A e lato B, senza possibilità di sbagliarsi. All'insegna di
una sorta di "autarchia compositiva ed esecutiva" e di un blocco
sonoro creato da voce, chitarre ed elettronica (ottenuta con il sintetizzatore
Aardvark a differenza del violoncello rumorista dei precedenti lavori) inciso
su un registratore 4 piste anni '90, Canti felice contiene canzoni in italiano
che aprono uno spiraglio sorprendente sul mondo interiore di Chessa, sui suoi
ascolti, il suo cammino, il suo universo musicale e letterario nel quale
convivono Dalla e D'Annunzio, il Battisti dell'era Panella e Carducci. La prima
facciata, composta da brani i cui elementi originari risalgono ai famosi
quaderni pre-californiani, contiene ad esempio pezzi come Certe volte, legato a
una delle figure più enigmatiche della cultura popolare italiana, Pasquale
Panella: "Ho musicato D’Annunzio e l’amato Carducci, ma un poeta vivente
non l’avevo ancora musicato: e così l'ho fatto con Certe volte di Panella,
testo che lui ha scritto per me ed è a me scherzosamente diretto, ad iniziare
dal riferimento alla città in cui ho lavorato per vent’anni, San Francisco. In
un concerto luganese avevo deciso di rifare Vocazione di Enzo Carella, così scrissi
a Panella per avere lumi su alcuni termini, lui mi rispose con una missiva
alquanto dettagliata in cui non solo mi sciolse gli enigmi, ma mi analizzò
l’intero testo. Al mio ringraziamento, seguì questa risposta: «Si figuri: canti
felice» (con Pasquale ci diamo del lei, cosa che trovo deliziosamente
inattuale). E così nell’immaginare un titolo appropriato per queste 12 canzoni
– di cui tre su testi di Panella – lo scanzonato, sfacciato candore di quel
congiuntivo esortativo panelliano mi è parso perfetto".
I cinque brani della
facciata B? Classici/anti classici come Il tuffatore (Flavio Giurato), Tra il
canneto e il fiume (traduzione di Lord Of The Reedy River di Donovan Leitch),
Gabbianone (Battisti-Panella, il famoso inedito), Opel (Syd Barrett) e Vocazione
(Enzo Carella). Al di là della figura ricorrente di Panella, autore del testo
di Certe volte ma anche di Gabbianone e Vocazione, il filo conduttore di Canti
felice è una sorta di dialogo interno al materiale, valorizzato anche dallo
spirito "artigianale" che ha spinto Chessa a cimentarsi con la
canzone lo-fi. A differenza di Petrolio, prodotto interamente nei Fantasy
Studios di Berkeley, lo studio dei Creedence Clearwater Revival, Chessa è
tornato al passato anche nei luoghi e nei metodi di registrazione, con una
scommessa che funge da "concept" dell'intera operazione. Dichiara
l'autore: "La scommessa era questa: registrare Canti felice utilizzando lo
stesso identico setup che negli anni ’90 usai per registrare il mio primo
disco, Humus: stesso registratore 4 piste a cassetta (riparato per
l’occasione), stessa chitarra, stesso microfono. È facile nascondersi dietro
effetti e produzioni. Ora come allora ho pensato: se questi brani valgono
qualcosa, lo si potrà verificare soltanto se si azzerano i valori voluttuari di
disturbo: solo questo potrà darci la misura di quanto si è effettivamente
cresciuti. Ora come allora quindi, il fruscìo del nastro, la fragilità della
voce, l’imprecisione delle esecuzioni non sono semplicemente una “feature”:
diventano bandiera".
Chitarre,
Voci, Sonomatics Aardvark Synthesizer, Sonagli: Luciano Chessa
CANTI FELICE: una conversazione con
Luciano Chessa
Com'è strano che per un disco così minimale – voce, chitarre
e elettronica ridotte all’osso – ci sia così tanto da dire, ma quando l'autore
è una personalità come Luciano Chessa, tutto torna. E torna all’insegna
dell’italiano, che non hai dimenticato nonostante tu viva in America da tanti
anni.
Peyrano, il disco di canzoni che precede Canti felice, fu
registrato a fine anni ’90: prima del mio trasferimento in California. Come ho
spiegato già in altre occasioni [vedi The new noise: https://www.thenewnoise.it/luciano-chessa],
smisi di scrivere canzoni perché da una parte mi sembrava avesse poco senso
esprimermi in italiano davanti ad un pubblico anglosassone, e dall’altra
constatai in prima persona che in Italia i pochi produttori interessati al tipo
di musica che io scrivevo non avrebbero potuto pubblicare miei lavori senza un
impegno da parte mia a promuovere le uscite discografiche con esibizioni dal
vivo. Si sarebbe trattato di un suicidio editoriale, cosa che John Vignola in
buona sostanza mi disse per far retromarcia, dopo che aveva espresso il
desiderio di pubblicare il mio Peyrano.
In seguito ho riconsiderato queste posizioni. Un primo
ripensamento avvenne in occasione di una
collaborazione tra me e Vinicio Capossela durante il suo tour in California nel
2009. Per lui feci una revisione dei testi in inglese che lui usava per
presentare i vari brani, oltre che la traduzione in inglese della sua
Santissima dei Naufragati che poi su suo invito cantammo a due voci (lui in
italiano e io in inglese, in eco) al Bimbo’s 365 di San Francisco, lo storico
club in cui iniziò la carriera Rita Hayworth (Rita Cansino) e in cui ora
cantano Adele e Jill Scott. Cantare in italiano davanti ad un pubblico
straniero non sembrava fosse un così grande ostacolo, soprattutto quando
introduzioni in inglese ai brani ben fatte (modestia a parte) offrivano al
pubblico quel minimo di contesto utile per seguire il concerto ed emozionarsi.
Negli anni mi sono poi reso conto che stavo rientrando in Europa per concerti
spesso anche tre volte all’anno (ora che mi sto trasferendo a New York queste
visite sono destinate ad aumentare); inoltre – questa è forse la ragione più
importante – scrivere canzoni mi stava maledettamente mancando.
In questo processo Lapo Boschi di Skank Bloc Records è stato
decisamente il principale artefice: è stato lui, tentatore, a riattizzare quel
desiderio mai sopito. “Fu come soffiare sul fuoco”: e così dopo avermi prima
chiesto di aggiungere almeno un brano originale alla raccolta di outtakes o
brani dal vivo del 2014 che è Entomologia (il brano in questione si intitola
Sul Viale delle Olimpiadi), e poi suggerito di preparare un altro disco, il
fuoco si è riacceso.
Un fuoco riacceso che ti ha consentito di ripartire,
evidentemente con familiarità, da un preciso punto.
Mi ha molto sorpreso il fatto che ho ripreso esattamente dal
punto in cui avevo interrotto il lavoro in quaderni: testi pronti e mai
musicati sono stati musicati (Vedutisti sbiaditi, Se spirasse), testi appena
iniziati sono stati stesi integralmente (de Il velo avevo solo il primo
endecasillabo, oltre che ovviamente l’idea del brano). Riaprire quei quaderni
mi riportava d’incanto alla fine degli anni ’90: al 30 Agosto del 1998, per
esattezza: data in cui abbandonai il campo e partii per la California per
iniziare il dottorato. Una sorta di Pompei dell’anima in cui tutti i miei
sentimenti erano rimasti fissati in quella data e perfettamente cristallizzati:
insetti nell’ambra. Eppure in questo processo di completamento (almeno a quanto
posso dire), non sento affatto uno iato.
Che differenze ci sono tra i precedenti lavori Peyrano ed
Entomologia e il nuovo Canti felice?
Il grosso dei brani di Peyrano e di Entomologia sono stati
scritti in una fase in cui mi piaceva lavorare con altri musicisti e avevo un
gruppo, e sono stati scritti per il gruppo e con in mente concerti dal vivo.
Includono poi le prime canzoni che ho scritto (un esempio è Dubbio). Questa
fase costituiva un’antitesi al mondo della musica classico-contemporanea dal
quale di fatto provenivo. Si tratta di un percorso non lineare, il mio, come si
può notare dando un’occhiata alle date di composizione di alcuni brani (in
Petrolio ne trovi scritti nel 1983 e 1987: e quindi brani che precedono le mie
prime canzoni, scritte verso la fine degli anni ’80).
Dopo gli anni di Peyrano, e una volta arrivato negli Stati
Uniti, l’attività è ritornata sulla composizione sperimentale. E se pure questa
attività ha incluso arrangiamenti di
alcune mie canzoni in un contesto da camera o orchestrale (Il pedone dell’aria,
Strelitzie…), in questo periodo il lavoro sul contemporaneo ha preso il
sopravvento (ho scritto due opere, ho iniziato il lavoro con l’Orchestra of
Futurist Noise Intoners, eccetera…).
In un brano di Entomologia – Sul Viale delle Olimpiadi – c’è
una sorta di anticipazione del clima di Canti felice. E in linea di massima è
possibile rinvenire una continuità tra i lavori.
Sul Viale delle Olimpiadi, il brano istigato da Lapo,
rappresentava allora una sintesi delle mie esperienze dei 20 anni precedenti:
canzoni in italiano + musica sperimentale/contemporanea/ noise. È una sorta di
prova generale di quello che sarà il mondo di Canti felice: voci, chitarra e
una linea di noise. Unica differenza è che in Canti felice ho deciso di
utilizzare un filo di suono elettronico (principalmente sinusoidi e rumore
bianco) invece che il violoncello rumorista.
A parte le molte differenze, secondo me vale la pena
sottolineare la continuità d’idee. Carpe, per esempio, il brano-manifesto che
apriva Humus, o Insetti nell’ambra, o il brano di chiusura Stelleradio, erano
già registrati con voci, chitarra e noise (in questo caso realizzato con una chitarra
elettrica distorta da fischiare). Sia Humus che Canti felice sono nati in una
fase in cui ho preferito suonare da solo, e sono stati registrati nello stesso
modo; ciò nonostante, lo sviluppo di idee e temi ha continuato anche in album
principalmente registrati in studio con un gruppo, come Peyrano ed Entomologia.
Inoltre Peyrano, composto e registrato negli anni ’90 (e
quindi in tempi in cui mostrare un’apertura nei confronti della canzone
d’autore italiana veniva – da parte dalle figure più “hard-edge” della scena –
considerato alto tradimento) includeva la cover di Ulisse coperto di sale.
Brano del periodo d’oro di Lucio Dalla, quello con i formidabili testi di
Roberto Roversi, iniziai a suonarlo dal vivo con il mio gruppo dopo aver
incontrato Dalla durante i miei anni di Università a Bologna. Le cover di
Giurato e Battisti in Canti felice e altre (di Tenco, Bertè (Fossati), Mannoia
(Cavallo), eccetera) non incluse nella tracklist finale di Canti felice
testimoniano lo svilupparsi di questa mia passione per la canzone d’autore
italiana.
Canzone d’autore, ma anche letteratura, penso a La Spendula
che evoca elementi dannunziani…
Ho ricomposto Fiori di Plastica, un brano scritto a quattro
mani con Marco Pinna, amico e collaboratore dai tempi del liceo, alla luce del
mio primo viaggio in Brasile, e ho chiesto sempre a Marco, ora docente di
latino, di partecipare alla mia fantasiosa missione: forgiare il “Sassarese
illustre” con una traduzione in sassarese di La Spendula. Si tratta del sonetto
che Gabriele D’Annunzio stese quando visitò la cascata della Spendula, nei
pressi di Villacidro, durante il noto viaggio in Sardegna con Edoardo
Scarfoglio (questo ben prima del duello tra i due, in cui Scarfoglio ferì il
Vate offeso della parodia della sua Isaotta Guttadauro, che nel Corriere di
Roma veniva ferocemente trasformata in Risaotta al pomodauro).
La scelta di D’Annunzio non dovrebbe sorprendere, se si
considera che già in Peyrano avevo musicato l’amato Carducci. Ma un poeta
vivente non l’avevo ancora musicato: e così la vera novità è per me l’aver
musicato Certe volte di Pasquale Panella, testo che lui ha scritto per me ed è
a me scherzosamente diretto, ad iniziare dal riferimento alla città in cui ho
lavorato per vent’anni, San Francisco.
Eccoci arrivati al titolo, che proviene proprio da Panella!
Nell’anno che ha
preceduto le registrazioni, Lapo Boschi mi ha organizzato dei concerti dal
vivo. In occasione di un concerto luganese, ho deciso di includere la cover di
Vocazione di Enzo Carella. Carella ha un’ottima dizione, ma alcuni termini
proprio non riuscivo a decifrarli. E così ho scritto a Pasquale Panella, con
cui sono in contatto da oltre una decina d’anni, per chiedere lumi. Pasquale mi
manda una missiva alquanto dettagliata in cui non solo mi scioglie gli enigmi,
ma mi analizza l’intero testo. Al che io ringrazio e lui replica con un
one-liner che recita: «Si figuri: canti felice» (con Pasquale ci diamo del lei,
cosa che trovo deliziosamente inattuale). E così nell’immaginare un titolo
appropriato per queste 12 canzoni – di cui tre su testi di Panella – lo
scanzonato, sfacciato candore di quel congiuntivo esortativo panelliano mi è
parso perfetto.
Il lato B di Canti Felice – perchè stiamo sempre ragionando
in termini di facciate di una cassetta – è composto da pezzi non tuoi…
Cover collezionate negli anni sono state selezionate:
Carella, Battisti, Giurato e due traduzioni dall’inglese (Donovan e Syd
Barrett) che mi hanno portato via molto tempo perché mi ero risoluto a rendere
non solo il significato, ma anche l’esatta prosodia e perfino i suoni degli
originali (con Opel in particolare, il conto era aperto da anni, e credo di
averlo finalmente chiuso.)
Nel registrare il materiale, decisi di fare un disco diviso
in due lati: uno di brani originali e uno di cover, ma in cui la rigidità di
questo schema si stemperasse in echo e rimandi, grazie ad un dialogo tra il
materiale stesso (Panella per esempio ricorre in Certe volte, Gabbianone e
Vocazione). La scarna semplicità degli arrangiamenti fatti solo di voci,
chitarre e sintetizzatore Aardvark disegnato dall’amico Matt Ingalls per
iPhone, dona all’insieme l’ulteriore collante.
Gabbianone firmato Battisti/Panella, storico inedito,
risalente al 1986. Perchè lo hai scelto?
Perchè è un brano stupefacente eppure a mio avviso non è noto
quanto meriterebbe. Purtroppo è relegato nel sottoscala del sottoscala della
produzione battistiana. Se il materiale Battisti/Panella è di nicchia,
Gabbianone è di nicchia al quadrato. Questo mi intristiva.
La fase "bianca" di Battisti, quella dei cinque
dischi con Panella, è ancora oggi oggetto di culto, tu sei uno di quei
musicisti che ama in modo particolare i lavori della maturità battistiana.
Secondo te quali sono le peculiarità di dischi come Don Giovanni e Hegel?
Come Panella ha notato in un’intervista recente a proposito
della copertina, Don Giovanni è separato dai dischi bianchi perché nel disegno
di copertina c’è un punto di rosso. Forse è per questo che il discorso di Don
Giovanni si sviluppa nel disco stesso, mentre i quattro successivi sembrano
fare un discorso loro proprio… Ma mentre scrivo queste parole ripenso alla
continuità tra Don Giovanni e l’Apparenza: la centralità della tastiera e le
molte parentele, somiglianze… (Equivoci Amici/Per altri motivi), eccetera. E la
teoria cede il posto alla vertigine.
Questi dischi sfuggono. Restano in testa, e nel cuore, e ti
sfuggono al tempo stesso. Li ascolti e li riascolti all’infinito: una
mise-an-abîme. Si sa: gli specchi opposti non si esauriscono mai. E allora
perché non immergersi nel piacere di ascoltare questa musica e questi testi
accoppiarsi? Mi fa godere quanta cura c’è nel loro lavoro. Un argine che ci
ripara dalla sciatteria.
Scrivo e mi viene in mente il nuovo libro di Daniela
Cascella, Singed: libro in cui l’autrice cerca di ricordare una canzone tra
mille canzoni spazzate via da un incendio che ha bruciato il suo appartamento
londinese, riducendo in brandelli centinaia di libri e dischi. La ricerca di
questa canzone, presente in maniera ossessionante nella memoria, diventa nel
libro un pretesto per mettere in movimento una fascinosa spirale di risonanze e
vibrazioni sonico-testuali. La canzone in questione è una delle canzoni chiave
di Hegel.
Così accade: si ascoltano queste canzoni, magari anche
superficialmente. Ma di colpo ci rendiamo conto che sono parte di noi, e
iniziano a mancarci.
C'è anche Il tuffatore di Flavio Giurato...
Scoprii Giurato proprio con Il Tuffatore. Da ragazzino i
tuffi erano il mio sport. Mi allenai per competere. Tentavo e fallivo: ma li
adoravo. Nel 2007 ho scritto quello che considero uno dei miei più importanti
brani pianistici, Louganis, che include il video di Terry Berlier e che ho
eseguito in Australia, Argentina, Brasile, allo Stone di New York, per Monday
Evening Concerts a Los Angeles… (in occasione del concerto di Los Angeles e
della successiva ottima recensione nel LA Times, Greg Louganis – il più grande
tuffatore di tutti i tempi e mio idolo negli anni 80 – mi scrisse un affettuoso
messaggio di ringraziamento).
Nella nota che ho scritto per accompagnare l’esecuzione di
Louganis, sostenevo che i tuffi sono fra le espressioni più belle e più alte che
l’umanità abbia prodotto, e che sono perfetta metafora di un ciclo vitale.
Tuffandosi si nasce, si muore e si rinasce. Un paio di anni dopo m’imbatto in
un brano in cui Giurato scrive «Voglio essere un tuffatore per rinascere ogni
volta dall’acqua all’aria». Come poteva NON essere amore a prima vista?
È facile parlare di “lo-fi”, ma qui hai messo in campo una
vera e propria “filosofia sonora” che valorizza l’integrità dei brani, ed è
stato decisivo per te il luogo dove sono avvenute le registrazioni.
Molto ha giocato l’aver deciso di non registrare questo disco
in studio come il mio precedente Petrolio, prodotto interamente nei Fantasy
Studios di Berkeley, lo studio dei Creedence Clearwater Revival, e in cui
registravano Bill Evans, McCoy Tyner, Isaac Hayes (ma che ha ospitato numerose
produzioni italiane di Corrado Rustici degli anni ’80, tra Zucchero e Loredana
Bertè).
La scommessa era questa: registrare Canti felice utilizzando
lo stesso identico setup che negli anni ’90 usai per registrare il mio primo
disco, Humus: stesso registratore 4 piste a cassetta (riparato per
l’occasione), stessa chitarra, stesso microfono. È facile nascondersi dietro
effetti, e produzioni. Ora come allora ho pensato: se questi brani valgono
qualcosa, lo si potrà verificare soltanto se si azzerano i valori voluttuari di
disturbo: solo questo potrà darci la misura di quanto si è effettivamente
cresciuti. Ora come allora quindi, il fruscìo del nastro, la fragilità della
voce, l’imprecisione delle esecuzioni non sono semplicemente una “feature”:
diventano bandiera.
Decisivo è stato l’incanto dei luoghi in cui ho registrato:
metà dei brani sono stati incisi a Joshua Tree, nel lato Californiano del
deserto del Mojave, in un periodo in residenza alla Harrison House; il resto è
stato registrato nei boschi di sequoie di Saratoga, sempre in California, in
residenza a Villa Montalvo.
Anche Canti felice esce con Skank Bloc Records, ovviamente in
cassetta.
Ci dai un tuo parere sulla "scuderia" di cui fai
parte e sul supporto cassetta?
Mi piace lo spirito Skank Bloc e mi piacciono le varie
produzioni: Insetti nell’ambra, Griselda Masalagiken, DJ Balli…
Nonostante l’etichetta sia parigina, la relazione con Bologna
– città natale di Lapo e mia città italiana d’adozione – è centrale, a iniziare
dal riferimento degli Scritti Politti. Poi mi piace come lavora Lapo: abbiamo
fatto assieme il missaggio di Canti felice e trovo che il metodo di lavoro
sviluppato e ora ben collaudato sia ottimo. Abbiamo lavorato in grande
sintonia, e a questo punto non vedo l’ora di lavorare ancora ad altri progetti.
Quanto al discorso “cassetta”: il disco è stato registrato in
cassetta con un 4 piste della Vestax che possiedo da metà anni ’90. Rimettere
queste tracce masterizzate su supporto cassetta concettualmente chiude un
ciclo. È stata questa un’idea di Lapo che non mi ha visto per niente opposto.
L’umiltà del supporto mi sembra del tutto in sintonia con questa filosofia
dell’azzeramento lo-fi quasi francescana: se i brani valgono qualcosa, il
valore non dipenderà dalla vanità della veste.
Esistono tanti Luciano Chessa o ti senti sempre lo stesso,
sia nel dirigere Lee Ranaldo e la New World Symphony, sia nel suonare chitarra
e voce davanti a un microfono?
Io mi sento lo stesso Luciano Chessa. Da un certo punto di vista,
tutti i palchi del mondo sono uguali.
LUCIANO CHESSA
Nato a Sassari nel
1971, dalla fine degli anni '90 residente in USA, Luciano Chessa è un
compositore, direttore d'orchestra, pianista, saggista, solista di musical saw
e di dan bau vietnamita, chitarrista e suonatore di banjo.
Tra le sue
composizioni spiccano l'opera sperimentale Cena oltranzista nel castelletto al
lago, realizzata per il TRANSART Festival di Bolzano: un lavoro di oltre
sessanta ore eseguito interamente via streaming live. Chessa ha eseguito anche
su commissione numerosi progetti per il Performa di New York che per il San
Francisco Museum of Modern Art; al Teatro Colón di Buenos Aires ha presentato
una serie di eventi per le celebrazioni del centenario dell'Arte dei Rumori, ha
partecipato al PSI International alla Stanford University, con Ellen Fullman e
Theresa Wong si è esibito alla CAMH di Houston. Nel 2014 ha tenuto tre concerti
al Guggenheim a New York in una retrospettiva sul Futurismo italiano, leggendo
il Manifesto di Marinetti insieme a video di Jen Sachs. Con la videomaker
californiana ha partecipato a due video per la mostra WWI: War of Images-Images
of War al Getty Museum a Los Angeles.
La sua OFNI (Orchestra
of Futurist Noise Intoners) è stata accolta dal New York Times come
protagonista di uno dei più importanti eventi artistici del 2009 e ha girato il
mondo: pensiamo al sold-out al Museum Of Arts di Cleveland, allo Art Science
Museum di Singapore nel 2015, al Berliner Festspiele-Maerzmusik Festival
(2011). Nello stesso anno Chessa ha diretto la New World Symphony insieme a Lee
Ranaldo nella Biennial of the Performance Arts Performa a New York, per
celebrare i dieci anni dell'Art Basel|Miami Beach. Sub Rosa ha pubblicato un
doppio LP dedicato all'attività della OFNI.
Presenza intrigante,
intervistata nel corso degli anni su testate come Artforum, Flash Art, Art in
America, Frieze, Marie Claire, Vogue Italia e in BBC, è stato oggetto di due
documentari, il primo prodotto dalla Rai nel 2014, il secondo dalla VTV1, Tv di
Stato vietnamita, in occasione del suo primo viaggio in Viet Nam (2015). Chessa
ha scritto Luigi Russolo Futurist. Noise, Visual Arts, and the Occult, la prima
monografia in assoluto ad essere dedicata a Russolo (edita da University of
California Press). Docente al Conservatorio di San Francisco, fa parte del
comitato consultivo di TACET, pubblicazione dell'Université Paris 1 - Panthéon-Sorbonne dedicata alla Musica
Sperimentale , è membro della Steering Committee del San Francisco Electronic
Music Festival.
La sua musica è edita
da Edizioni Carrara e Rai Trade. Parallelamente alla sua attività in campo
colto e sperimentale, Luciano Chessa pubblica anche canzoni con Skank Bloc
Records, l'etichetta italiana con sede a Parigi, il cui catalogo è
esclusivamente su nastro. Nel 2012 Skank Bloc ha ristampato il disco Peyrano
(2011), nel 2014 è seguito Entomologia, l'11 maggio 2018 arriva Canti felice:
lato A con brani di Chessa, lato B con cover di Lucio Battisti e Pasquale
Panella, Enzo Carella, Flavio Giurato, Donovan e Syd Barrett.
Canti felice:
Skank Bloc
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Skank Bloc
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