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venerdì 22 novembre 2019

CIRO PERRINO, IL PRINCIPE DEL PROGRESSIVE ITALIANO



CIRO PERRINO, IL PRINCIPE DEL PROGRESSIVE ITALIANO
Di Andrea Pintelli
Articolo già pubblicato su MAT2020 di giugno

Parlare di Ciro Perrino è un onore. Parlare con Ciro Perrino è un piacere. Persona lieve, pacata, gentile. Genio creativo, oggettivamente. Ciò è rappresentato dalla sua lunga e corposa carriera, densa di lavori mai uguali a sé stessi, ma proiettati ogni volta verso lidi differenti e in grado di affrontare con notevole gusto diverse cifre stilistiche. Mai fermo, mai domo, non si è mai seduto sugli allori (a differenza di qualcun altro), ma ha sempre portato la sua arte ad affrontare nuove sfide, nel tempo e attraverso il tempo. Musicista polistrumentista, cantante, produttore, arrangiatore, e tanto altro, ha sempre riportato la sua indole nelle sue opere, mostrando agli ascoltatori, che di volta in volta di sono accostati a lui, un’innata carica d’umanità; basta leggerne i testi per carpire le sue molteplici sfumature. Il Sistema, Celeste, la Compagnia Digitale, i suoi tanti album solisti, St. Tropez, lo descrivono come un poliedrico artista, capace di scavare a fondo nella sua anima per portarcene le luci, i misteri, i suoni. Per tanti è il Principe del Prog italiano, siccome il suo lavoro più famoso e osannato in ogni guida che si rispetti è “Principe di un giorno”, dei suoi Celeste, creatura sublime e oltre il sensoriale. Disco del 1976, ha trovato il suo vero successore proprio quest’anno, a ben 47 anni dalla formazione del complesso, titolo già sulla bocca di tanti e già preso ad esempio come uno dei migliori lavori del 2019: “Il Risveglio del Principe”. Magniloquenza d’altri tempi, non collocabile (come il predecessore, d’altronde) in un’era ben definita, esercizio di stile che avevamo spesso avuto la speranza di poter rivivere, inizia con questo messaggio: “La notte volgeva al termine. Le prime luci del nuovo giorno filtravano attraverso le nuvole, ancora cariche di pioggia. Il minuscolo lago mostrava delicate increspature sulla sua superficie e piccoli gorghi formavano spirali proprio nel centro, dove l’acqua è più profonda. Tutta la Natura si stava risvegliando e le creature viventi stavano in silenzio come nell’attesa di un evento troppo aspettato. I profumi nell’aria erano dolci e sull’albero di mandorlo, cresciuto vicino alle rive del lago, il primo bianco fiore era ormai sbocciato”. Quindi onirico, leggiadro, pregno di profumi e colori, anche dopo pochi ascolti si insinua nell’indole di chi lo ascolta, per poter essere vissuto in prima persona. Quasi un ritorno a “casa”. “Qual Fior di Loto” ci riporta in fondo al lago alpino dove avevamo lasciato il Principe. La sensazione si fa fin da subito sublime, nel risentire le melodie che tanto abbiamo amato, nell’intesa con la Natura che dopo essersi scatenata, riporta tutto alla calma, alla Pace. Eleganza innata. “Bianca Vestale” è il primo brano a cui Ciro ha messo mano pensando al ritorno di Celeste. Il suo mellotron ci prende per mano, letteralmente, e ci introduce nel mondo dell’amalgama sonora che i vari componenti del gruppo sono riusciti ad interpretare, essendo maestri dello strumento suonato da ognuno di essi. Spazio per tutti, sensibilità d’altri tempi. “Statue di Sale” è aperta da una lussuosa chitarra acustica, in linea col messaggio d’emozione. Musica evocativa al suo massimo splendore, il consentito non attraversa solo i nostri lidi, ma si tuffa nella Spagna moresca. Questo continuo intersecarsi fra flauti, violini, violoncelli e mellotron ha un sapore ancestrale, profondamente riuscito. “Principessa Oscura”, ovvero colei che si affaccia dal balconcino nella copertina del disco, è una non volutamente palese sensazione che attraversa il Principe; felicità o pericolo? La traccia scorre tuttavia in una dimensione di sicura presa, che riporta alle atmosfere care al primo lavoro di Celeste. “Fonte perenne” prosegue nella maestosità del messaggio sonoro, in cui strumenti a corde e dolcissima sezione ritmica trovano qui il loro suggello. Incedere da grande arrangiamento, classe innata. Efficace sax nel finale. “Giardini di Pietra” è una composizione che è tratta dalle sessions del primo lavoro. Rimasto intatto come idea, è stato riportato a nuovo splendore, riarrangiato in chiave più attuale. Fa piacere che un gioiello simile possa essere arrivato fin qui, dopo anni di custodia nel cuore di chi lo creò. Ammaliante. “Falsi Piani Lontani” si apre con un pianoforte sincero che lascia spazio via via agli altri strumenti, per un intercedere perfetto che trova nel violino e nel flauto i protagonisti della canzone. Il tutto pervaso da questo sincero stupore che ha la forma e il viso della serenità. “Porpora e Giacinto”, ultimo capitolo di questo fenomenale disco, per resa, idee ed interpretazione, ha al proprio interno parti di improvvisazione quasi jazzistiche che lo elevano a percorso del domani del Principe, che ora vorremmo poterci rivelare il proprio futuro. Quale miglior occasione se non quella di parlarne col suo creatore o, se ce lo permette, colui che si nasconde dietro questo alter ego? A voi il nostro Principe, Ciro Perrino.


La chiacchierata…

Eccoci, finalmente. Mi sento di chiederti, in primis, come ti senti in questo periodo. Converrai con me che è importante, prima di tutto, partire dalla persona.

Grazie della delicatezza Andrea. Di questi tempi, non so se lo avrai notato, si è sempre meno inclini a chiedere a chi ci sta di fronte, sia fisicamente che durante una qualsiasi chat, appunto con un semplice “come stai?” o “come ti senti oggi?”, quale sia lo stato emotivo più che le condizioni di buona salute del nostro interlocutore. Ed io ti rispondo che mi “sento” bene, in quanto la soddisfazione che mi deriva dal vedere così apprezzata quest’ultima dolce fatica di CELESTE mi riempie di gioia e di nuova energia per continuare su questo percorso. Per contro mi auguro che anche tu ti senta bene in questo momento della tua vita.

Tracciare un percorso non è mai scelta facile, ma l’interesse è tanto. Per cui, il Ciro Perrino musicista da dove ha iniziato a formarsi artisticamente?

Possiamo partire da oltre mezzo secolo? Eh, sì perché oramai sono costretto a pensare in termini di decadi “pesanti”. Quando iniziai eravamo nei meravigliosi anni ’60 dove il beat la faceva da padrone e tutti coltivavano il sogno di suonare in un complesso – come si chiamavano allora – e magari di avere successo. Io ero senza dubbio fra quelli. Un volenteroso ed appassionato batterista. Creai diverse formazioni con il preciso intento di suonare nei night clubs, nei “dancing”, nelle sale da ballo o locali secondo le terminologie in voga in quegli anni. Il repertorio era costituito da covers. Artisti privilegiati i Bee Gees, i Camaleonti, i Dik Dik, Tommy James and the Shondells, 1910 Fruitgum Company, Ohio Express, Cream, Jimi Hendrix, Aphrodite’s Child con brani equamente suddivisi fra lenti e shake, come si definivano allora i brani ballabili.

“Il Sistema” fu più un tentativo oppure vero gruppo la cui personalità non fu espressa appieno?

Direi la seconda opzione. La finalità per noi de IL SISTEMA era ben chiara sin dall’inizio. Accanto alle ancora immancabili covers avevamo pianificato di attuare un recupero della musica classica in chiave rock. Molto ambiziose le mete ma avevamo tempo, buona volontà, un bellissimo posto prove in uno splendido paese dell’entroterra ligure di ponente e tante, tante idee. Però appunto avvenimenti non dipendenti dalla nostra volontà ci portarono dopo soli due anni dalla costituzione della band ad abbandonare i nostri propositi. Non giungemmo mai in sala di registrazione per un album ufficiale. Solo molti concerti e serate e Festival Pop. Ricordo che fummo i vincitori, di fronte al gotha delle band italiane di quel periodo, dell’ormai dimenticato ed unico “Primo Festival Pop Ligure” che mai si tenne in Liguria ai Pozzi di Loano il 26 luglio del 1971.     Le sole testimonianze che ancora oggi sono in circolazione su CD e Vinile sono frutto del meticoloso lavoro di registrazione ed archiviazione che effettuavo ogni giorno in sala prove. Peccato perché avevamo in serbo tante nuove composizioni da adattare in chiave rock. Oltre ad essere stati senza dubbio i primi nel 1970 a proporre “Una Notte sul Monte Calvo” di M. Musorgskji, stavamo preparando anche “Nelle Steppe dell’Asia Centrale” di Borodin. Ma andò così per cui chi può dirlo e chi lo saprà mai. Fortuna? Sfortuna? Senza dubbio nuove opportunità.

Celeste: meravigliosa creazione, geniale intuizione (voluta o non?) di ciò che mancava nel grande circo della musica dei seventies italiani. Raccontaci la genesi di quest’idea che portò alla realizzazione di “Principe di un Giorno”, considerato unanimemente uno dei migliori dischi di Prog di sempre.

CELESTE è stato ed è tuttora un progetto molto pensato. È nato da lunghe conversazioni fra Leonardo Lagorio e me all’indomani dello scioglimento di CELESTE. Noi due unici superstiti di quella formazione sentivamo forte l’esigenza di rinnovarci e di percorrere nuove strade sempre all’interno di quel movimento che ancora non veniva definito Prog Rock. L’idea primigenia era quella di fondere in maniera uniforme e fluida le varie esperienze vissute nel recente passato di entrambi. Si sarebbe trattato di proporre materiale completamente nuovo. Occorreva scriverlo. Quindi non più covers ma composizioni originali. E poi il dilemma della formazione dell’organico che nelle nostre intenzioni avrebbe dovuto avere più la connotazione di un ensemble classico che non di una vera e pura Rock band. Il Jazz avrebbe dovuto far sentire il suo profumo. Quindi la miscela si allargava nei suoi sapori. Per quanto mi riguardava desideravo affrancarmi dallo stereotipo del batterista “tout court”, cioè ritmo e basta – anche se con IL SISTEMA ricoprivo già ed interpretavo un ruolo più vicino al percussionista sinfonico che non a quello del Rock – per andare a scoprire nuove frontiere con colori ed interventi atipici e magari sperimentali. Per cui presi una decisione coraggiosa per quei tempi: via la cassa, via i toms e spazio solo a rullante, un timpano a terra, molti piatti ed una miriade di piccole percussioni che all’epoca ancora non si chiamavano etniche. Lagorio si sarebbe occupato dei sassofoni, del flauto del pianoforte acustico ed elettrico. Io, nei momenti ipotetici nei quali non sarei stato impegnato con le percussioni avrei dovuto dare un sostegno alle parti con un secondo flauto. Sono arrivato ad un passo dal diplomarmi, ma poi mi innamorai dell’oboe che studiai per due anni. Ma quella è un’altra storia. Mancavano però ancora diverse voci per costituire il nuovo organico. Nella nostra idea e nelle nostre visioni vi era un chitarrista acustico e poi, quale unica concessione alla vecchia maniera del Rock, un basso elettrico, ed ancora un violino ed un violoncello. Mi misi subito alla ricerca di musicisti e non tardai molto a trovare Mariano Schiavolini che oltre a suonare in maniera eccellente la chitarra acustica era pure uno studente di violino presso la Scuola di Musica di Sanremo e si dilettava nel suonare il clarinetto. Ma la cosa più importante era che aveva già abbozzato un buon numero di composizioni che, magicamente sembravano essere state scritte apposta per quell’organico che ancora non si chiamava CELESTE. Via via come per magia si affiancarono al piccolo trio il bassista Giorgio Battaglia che militava in una formazione di rock puro e di lì a poco due colleghi di studio alla scuola di musica di Mariano Schiavolini. Un violoncellista ed il di lui fratello violinista. Non ometto di ricordare la fugace collaborazione di Marco Tudini, allora quattordicenne, che lasciò un’impronta indelebile in alcuni camei che gli sopravvissero quando registrammo “Principe di un Giorno”. Il suo ruolo avrebbe spaziato da un secondo sassofono, al flauto traverso, alla cura di alcune piccole percussioni e ad alcuni interventi vocali di grande suggestione. Che dire ancora. Beh, sì. Che mancava ancora quella che avrebbe dovuto essere la voce al femminile della band. Nikki Berenice Barton che iniziò con noi e registrò i primi demo tapes, dei quali resta testimonianza nel quadruplo box prodotto nel 2010 da AMS. La sua voce era perfetta per le atmosfere delle composizioni di Mariano. In inglese poi il fascino aumentava. Era riuscita ad adattare le mie liriche originali in italiano lasciando intatto il significato dell’allora ancora embrionale storia del Principe Triste. Ma poco tempo passò che l’organico subì dei drastici ridimensionamenti. CELESTE rimase un quartetto. Prima Nikki rientrò in Gran Bretagna per proseguire la sua carriera solista laggiù avviata, prima il violinista e poi il violoncellista per motivi personali e professionali diedero forfait ed anche il piccolo Marco andò a cercar fortuna altrove. Serrammo i denti. Io mi ritrovai a dover cantare mio malgrado. Nel SISTEMA sì mi alternavo a volte a concedere una pausa a Luciano Cavanna, che oltre che bassista era anche il lead singer della band, ma cantavo tutt’altro genere. Ricordo che, opportunamente abbassate di tono, mi cimentavo in alcune canzoni dei Deep Purple. Qui dovevo anche adattarmi alle tonalità che erano state scritte apposta per una voce femminile. Gli impianti delle composizioni erano stabiliti e vi non vi era più né tempo né spazio per effettuare cambiamenti e le date delle registrazioni erano ormai stabilite. Dovetti far buon viso a cattivo gioco e usare la mia voce al meglio. Il resto è storia.

Quel lago di cui hai parlato nelle liner notes, lungo il confine tra Italia e Francia, dov’è? Vi hai magicamente trovato ciò che ti stava attendendo da tempo, ma nelle sue dolci onde c’era (c’è) il te stesso più profondo?

Sono certo che quella notte di 55 anni fa, sulle rive di quel minuscolo e cristallino laghetto alpino, iniziò la storia del Principe. Quel punto delle Alpi Marittime si trova giusto al di sopra di una profonda vallata che si sviluppa alle spalle di Nizza e del dipartimento delle Alpes Maritimes. Sono certo di avere vissuto quell’esperienza visionaria ma così carica di significati. Io il Principe sono sicuro di averlo incontrato e di avergli parlato… o meglio: lui ha parlato a me comunicandomi sensazioni e immagini di un altro Mondo. Penso che quanto affermi sia molto vicino se non addirittura conforme ad un mio atteggiamento nei confronti dell’esistenza. Da sempre. Il Mondo materiale e lo Spirito si compenetrano continuamente e noi ne siamo l’espressione più completa. Una parte di me è rimasta lassù sulle rive di quello specchio d’acqua a preservare e proteggere e forse conservare quella Magia.

Cosa portò all’interruzione del progetto Celeste?

Come al solito in tutte le formazioni in crescita giunge un momento nel quale occorre fare delle scelte. Ed anche CELESTE non si sottraeva nel 1977 a questa regola. Molto semplicemente ci fu offerta una grande opportunità. Si trattava di fare un considerevole salto di qualità accettando il quale avremmo guadagnato una visibilità enorme. Avremmo dovuto aprire i concerti di un artista italiano molto importante e questo ci avrebbe fatto conoscere in brevissimo tempo su tutto il territorio nazionale. Il tour era molto lungo e questo avrebbe obbligato alcuni dei componenti a lasciare il proprio lavoro fisso ed affrontare quella avventura. Chiaro i rischi c’erano. Ci sono sempre quando si intraprende una nuova strada. Ma se non si rischia... Non se la sentirono di lasciare il sicuro per l’insicuro e così io decisi che CELESTE era giunto al capolinea. Che senso aveva restare in sala prove a scrivere e non affrontare il pubblico? Fu doloroso ma inevitabile.

Molti anni dopo uscirono “Celeste II” nel 1991 e “I Suoni in una Sfera” (1992) per la gloriosa e fondamentale etichetta Mellow Records, fondata da te e Mauro Moroni, che diede un’immensa spinta al ritorno del Prog durante gli anni 90. Essendo registrazioni che si discostano dallo stile Celeste, ad oggi le faresti uscire ancora per lo stesso gruppo o useresti una denominazione diversa?

La raccolta di provini (io li chiamo ancora così) che andarono a costituire il CD che fu definito CELESTE II erano la testimonianza di un cambio per quella che sino ad allora era stata la guida musicale della band. Infatti, mentre in “Principe di un Giorno” era stato Mariano Schiavolini il Maestro Concertatore con le sue atmosfere serene, aperte, medioevaleggianti e sognanti, adesso le redini musicali erano passate nelle mani di Leonardo Lagorio che notoriamente aveva più vocazione, formazione, inclinazione e tradizione jazzistica alle sue spalle. Per cui, anche grazie al fatto che nella formazione stabilmente era entrato a far parte un batterista a tutti gli effetti, Francesco “Bat” Dimasi, le strutture dei nuovi brani erano molto meno evanescenti e sognanti e molto più corpose e sanguigne. Più ritmo ma non a scapito della melodia che restava sempre e comunque la caratteristica di CELESTE. Quindi canti e controcanti che si intersecavano secondo il nostro stile classico. Io potevo finalmente dedicarmi solo alle tastiere ed ai sintetizzatori. Rispondendo al cuore della tua domanda direi che no, non farei uscire quelle composizioni a nome di un altro gruppo. Sono state pur sempre una promanazione del nostro spirito compositivo. Direi che fu una digressione. Infatti, tengo a precisare, e non solo a detta mia, che “Il Risveglio del Principe” costituisce il secondo vero album di CELESTE discendente in linea diretta da “Principe di un Giorno”. E la strada che proseguirà con altri capitoli di CELESTE seguirà questo solco magari concedendo alcune piccole novità che spero saranno apprezzate dai sostenitori del Principe.

La tua carriera è densa di episodi, lavori, fatiche, soddisfazioni ed eventuali delusioni, cammini sotto vari pseudonimi. Hai fatto parte de “La Compagnia Digitale”, “St. Tropez”, “SNC” e da solista hai rilasciato dischi stracolmi di idee (alcune avanti per i tempi in cui uscirono). Sarebbe interessante se tu potessi spiegare e raccontare ai lettori di MAT2020 questo te stesso oltre i “Celeste”.

Certo oltre CELESTE, per quanto riguarda me, vi sono varie anime ma tutte riconducibili ad una stessa matrice. Dopo lo scioglimento di CELESTE mi diedi subito da fare. La mia grande passione per i sintetizzatori maturata già ai tempi de IL SISTEMA adesso era più forte. Liberato dal ruolo che ricoprivo in CELESTE potevo esprimermi molto più liberamente. Potevo creare nuovi schemi, più aperti, più spazio allo strumentale che è sempre stato il mio dominio preferito. SNC è stato un divertente esperimento durato lo “spazio di un mattino” ma fu indispensabile per stigmatizzare e creare un linguaggio che poi sarebbe sfociato nel lavoro di band tipo appunto ST. TROPEZ e successivamente LA COMPAGNIA DIGITALE. ST. TROPEZ ad esempio aveva un nucleo base al quale via via dovevano aggiungersi ogni volta musicisti nuovi. Infatti, la raccolta di provini dell’album, non ufficiale “Icarus”, vede ogni formazione spesso popolata di differenti artisti e tutto ciò, nonostante le differenti estrazioni di ognuno di loro, conferisce alle composizioni un senso di unità di stile che ancora oggi mi stupisce. Io avevo lì l’opportunità di sperimentare i miei synths. L’ EMS/AKS, il MINI MOOG in particolare. Lì stavo già creando una parte del mio linguaggio personale che poi sfocierà in SOLARE, mio primo album solista nel 1980. Ma anche l’esperienza con ST. TROPEZ era destinata ad avere vita breve. Un tour organizzato malamente che doveva portarci prevalentemente in Francia fallì per incompetenze a noi estranee ma la delusione fu profonda al punto tale che emersero incomprensioni all’interno della band che ci portò a ridimensionare per l’ennesima volta la formazione che di lì a poco si tramutò in LA COMPAGNIA DIGITALE. Con l’aggiunta di un nuovo bassista e un batterista e l’arrivo nel mio parco sintetizzatori di un ARP 2600 con tre ARP Sequencers ripartimmo alla grande con nuove composizioni e tanto entusiasmo. Ma dopo un unico e favoloso concerto (di cui resta la testimonianza della registrazione in un cd pubblicato da Mellow Records e che presto verrà ristampato con una nuova masterizzazione) anche LA COMPAGNIA DIGITALE chiuse i battenti e, era l’agosto del 1979, io mi preparavo ad entrare in studio per iniziare a registrare SOLARE, che sarebbe stato pubblicato l’anno successivo.

Dopo tanti anni, tornano i “Celeste”, e lo fanno in maniera mirabile con uno stupendo disco dal titolo (azzeccatissimo, tra l’altro) “Il Risveglio del Principe”, che ha rapidamente riportato questo nome nel vivo panorama Prog. È il vero prosecutore di “Principe di un Giorno”, sia nei suoni, sia nei testi. Raccontacene genesi e realizzazione.

Erano anni che da più parti mi giungevano inviti a rimettere mano alla ricostituzione di CELESTE. A più riprese ho tentato di ricostituire l’organico originale ma ho sempre ricevuto tiepidi consensi, indifferenza e scarsa o nulla volontà a riprendere il discorso interrotto 40 anni fa. Per molto tempo, anche perché molto occupato con i miei progetti solisti, anche io non sentivo così impellente il desiderio di rituffarmi nell’esperienza CELESTE. Solo che tre anni fa, dopo l’ennesima richiesta, decisi di dare un’occhiata nei miei archivi di composizioni che non avevano trovato spazio nei miei progetti solisti, perché giudicate da me inadatte allo spirito o non conformi allo stile che perseguivo in quel momento. Erano però spunti, con mia grande sorpresa, adattissimi per CELESTE. Si trattava di incipit o arpeggi pensati per chitarre acustiche, melodie per flauti, maestose entrate di Mellotron. Ma si trattava solo di idee per lo più esili ed inconcludenti. Ma mi armai di pazienza e sorretto dalla buona volontà e dall’entusiasmo misi mano a composizioni completamente nuove e come per magia in meno di anno avevo tutto il materiale pronto. Si trattava solo di renderlo molto più “CELESTE” di quanto già non fosse. Ho lavorato di fino ricreando l’organico originale con i virtual instruments, ripescando nella scrittura anche quel violoncello e quel violino che avevamo perso per strada ai tempi di “Principe di un Giorno”. Volevo restare fedele al massimo allo Spirito di CELESTE, non tradirlo ma cercando di offrire, a me in primis, quelle atmosfere e magie che avevano reso famoso “Principe di un Giorno”. Ma soprattutto non volevo, una volta dato alle stampe e pubblicato un nuovo episodio della saga del Principe, che provassero una delusione tutti coloro che avevamo tanto amato ed apprezzato il primo CELESTE. Una volta ultimata la scrittura restavano da trovare gli esecutori. A parte alcuni miei amici musicisti con i quali nel tempo avevo già collaborato non mi fu difficile raggiungerne altri dei quali conoscevo la fama e l’affidabilità umana e tecnica. Feci davvero in fretta a coagulare un organico che seppur numeroso si sarebbe dimostrato preparato, entusiasta e cosciente dell’importanza del progetto. Stesso discorso per lo studio di registrazione che sapevo in mano ad un professionista di talento. Per non parlare del Sound Designer, Marco Canepa, con il quale lavoro ininterrottamente dal 1994. Uno staff veramente poderoso costituito da professionisti e amici fidati. Seguirono quindi le prime sessioni di prove per appurare che quanto scritto e arrangiato avesse un senso nel momento in cui le parti sarebbero state suonate da musicisti in “carne ed ossa”. Ma tutto filò liscio sin dal primo incontro. Poi giorno dopo giorno nell’arco di una Primavera, un’Estate ed un Autunno le registrazioni ed i missaggi posero fine a questo primo ritorno del Principe. Il resto è storia di questi giorni. “Il Risveglio del Principe” quindi a ragione deve essere considerato il vero secondo album di CELESTE perché riprende l’eredità e sviluppa le trame lasciate aperte e non concluse da “Principe di un Giorno”. Da adesso il Futuro è in pieno divenire.

Siccome non sopporto la sigla “pastorale” che da più parti vi hanno appiccicato addosso per troppo tempo, preferirei definirvi onirici, fiabeschi, lievi. Sei d’accordo?

Anche io Andrea ho una sorta di avversione per le sigle, le definizioni che altro non fanno che creare steccati. Peraltro, spesso sono utili per fornire indicazioni ed aiutare a comprendere prima ancora di lasciarsi andare ad un ascolto di che cosa si stia parlando. Quindi direi che, riferendosi a CELESTE sì, fiabeschi, onirici, lievi e morbidi sono appellativi che possono andare veramente bene. Non sono fuorvianti e prendono per mano con delicatezza chi si prepara a porre un vinile sul piatto o a far scivolare un CD nell’oscuro antro del lettore.

Ci sarà un nuovo capitolo legato al “Principe”? Quale futuro ci state preparando?

Ebbene sì. Sull’onda dei consensi che CELESTE sta raccogliendo ho subito messo mano al capitolo seguente di questo “Il Risveglio del Principe”. Ho già diverse idee, soprattutto per quanto riguarda le atmosfere. Vi saranno delle piccole sorprese che comunque non deluderanno gli affezionati estimatori. Resteremo fedeli alla linea musicale del Principe con qualche concessione a soluzioni più rock. Vorrei dare più spazio a chitarra elettrica, basso e batteria. Impercettibili mutamenti di rotta senza scossoni. La navigazione sarà sempre all’insegna delle delicatezze e della ricerca della Bellezza. L’organico sarà probabilmente ridimensionato nel senso che sarà ridotto ad un sestetto però sempre con ospiti di tutto rispetto invitati a partecipare. Tutto già mi “frulla” in petto.

Un mio, e credo di tanti altri, desiderio sarebbe quello di rivedervi live: ci sono già un dove e un quando?

Su questo versante stiamo lavorando già da quando iniziammo le prove per consolidare la coesione del trio classico costituito da batteria, basso e chitarra acustica ed elettrica. È una strada impervia. I musicisti che mi accompagnano in questa avventura sono tutti di grande caratura ed esperienza. Tutti hanno una notevole esperienza “live”, padroni dei loro strumenti e dotati di una tecnica ineccepibile, il che li rende sicuri ed affidabili in situazioni di esibizioni in concerto. A tempo debito sarò più preciso. Sono già giunte, prevalentemente dall’estero, delle richieste che stiamo vagliando.

Infine, vorrei che tu ci parlassi proprio della creatura Mellow Records e del vostro percorso, che indubbiamente vi ha portato ad essere conosciuti ovunque nel mondo e riconosciuti come una delle fondamentali e importanti etichette discografiche in campo Prog e non solo.

Mellow Records! È stata un’esperienza galeotta. A raccontarla tutta occorrerebbe non dico un libro ma un pamphlet dove raccogliere notizie, argomenti, curiosità, interviste e aneddoti sicuramente interessanti e particolari. So che da anni in molti fanno pressioni su Mauro Moroni affinchè vi metta mano. Sarebbe la persona adatta. Io in fondo manco da Mellow ormai da venti anni. Potrei dire molto degli inizi che furono pionieristici e ricchi di pathos e di splendidi incontri. Con MR credo di essermi arricchito e riavvicinato al Progressive ripercorrendo quegli anni che indubbiamente furono formativi e mi permisero di creare un linguaggio personale che è poi quello che è presente nei miei progetti solisti. Mi sento figlio di CELESTE così come de IL SISTEMA. Anche nei miei lavori di pianoforte solo si sentono gli echi di quegli anni e di quelle esperienze.

Lasciamoci così, sulle sue parole, per non lasciarci. Vorrei soltanto aggiungere che persone così, come artisti così, sono una rarità assoluta. Imprescindibile. Amabile. Elegante. Pace d’ognuno di noi.

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