Il Segno del Comando – “L’Incanto dello Zero”
(Black Widow – 2018)
Di Fabio Rossi
Il Segno del Comando è una band genovese, in attività dal 1995, le
cui traversie hanno costellato di difficoltà un percorso artistico cui avrebbe
giovato una continuità nel tempo che, purtroppo, non c’è stata. Basti pensare
che della formazione originale è rimasto solo il bassista Diego Banchero (Malombra, Il Ballo delle
Castagne, Egida Aurea),
il vero deus ex machina di questo gruppo dedito al rock progressivo, un
musicista determinato che ha sempre creduto nel suo progetto musicale. Gli album
sinora realizzati, tutti a cura della Black Widow, possiedono una
caratteristica peculiare essendo legati a doppio filo alla letteratura
fantastica, un aspetto encomiabile in un mondo dove regna l’ignoranza e la
bieca presunzione di conoscere qualsivoglia argomento.
Il
disco d’esordio, risalente al 1996 e intitolato Il Segno del Comando, si ispira
all’omonimo romanzo di Giuseppe D’Agata e, ovviamente, al famoso sceneggiato
televisivo prodotto dalla RAI nel 1971 che entusiasmò e impaurì gli spettatori dell’epoca.
I concept album seguenti, Der Golem (2001) e Il Volto Verde (2013), sono stati influenzati
dalle opere dello scrittore austriaco Gustav Meyrink. L’ultima fatica
discografica, L’Incanto delle Zero, pubblicato nel 2018 anch’esso sotto l’egida
della Black Widow, spiazza tutti perché non soltanto reitera l’iter procedurale
intrapreso con oculatezza nel passato, ma lo fa in una maniera sorprendente e meritevole
di essere raccontata.
Diego è rimasto affascinato dai post pubblicati su Facebook da un certo Cristian Raimondi, un ragazzo timido e introverso che risiede in un paese montano sito tra Pistoia e Bologna. Decide di contattarlo e gli propone di scrivere un libro da cui Il Segno del Comando avrebbe tratto la linfa vitale per un nuovo disco. Cristian è titubante, sorpreso, lui non si definisce uno scrittore, è solo un giovane che riversa i suoi pensieri sul suo profilo, vorrebbe rifiutare, ma Diego è determinato. Nasce così Lo Zero Incantatore, un libro visionario e intimista di non semplice lettura. L’autore ha affermato di udire una voce, non sa da dove provenga, non sa chi sia, forse un’entità spirituale che chiama lo Zero Incantatore, ma poteva denominarlo anche Logos, Abisso o addirittura Dio.
Cristian non accettava inizialmente la presenza dentro di lui di questa voce
insistente, ma poi ha deciso di ascoltarla, di comprenderla e di riversare
tutto ciò che e poteva su Facebook prima e su questo libro autoprodotto poi,
voluto fortemente da Banchero per il suo concept. Forse l’autore è un folle o
forse possiede un dono, una via per un percorso irto di difficoltà che porta
alla luce. Cristian si mette a nudo, si apre agli altri, offre una possibilità
di intraprendere un viaggio nel tentativo di afferrare il senso stesso della
nostra esistenza attraverso l’introspezione e la fede nell’Assoluto.
Lo
Zero Incantatore ha diverse
chiavi di lettura e livelli di introspezione, chi lo legge attentamente può
trovare dei diamanti sepolti nella melma più fetida.
Torniamo
ora e Diego e alla sua band. Ha tra le sue mani il libro che desiderava e
trasforma in musica le parole di Cristian. Viene concepito l’Incanto dello
Zero, un disco di pregevole fattura compositiva che approccia un
progressive maturo e corposo, con riferimenti al primo Banco del Mutuo
Soccorso, Goblin, Balletto di Bronzo e Jacula. Non mancano inclinazioni che richiamano
l’heavy metal e conferiscono maggior pregio a talune composizioni. Ne
scaturisce un suono potente ed evocativo, come nel caso del valzer macabro posto
alla base de Il Calice dell’Oblio che porta l’ascoltatore a immaginare dei
morti viventi, in frac gli uomini e abito da sera le donne, che danzano
vertiginosamente guardandosi dalle orbite vuote dei loro teschi. Tutte i brani
sono ottimamente registrati e si presentano ben strutturati, eseguiti con
competenza strumentale e muniti di refrain che hanno la capacità di incastonarsi
nel cervello per non andare più via. Un esempio? “Dio e Mefistofele in
questa esistenza/Siedono alla medesima mensa” da “Il Mio Nome è Menzogna”.
I
suoni sono variegati e trascinanti sciorinati da Banchero al basso, dagli esperti
chitarristi Davide Bruzzi e Roberto Lucanato, dal tastierista Beppi Menozzi e dal
batterista Fernando Cherchi. La voce di Riccardo Morello, a tratti ricorda
quella di Demetrio Stratos, è profonda, ammaliatrice e le liriche sono un
prezioso ausilio per agevolare la comprensione dell’astruso mondo interiore di
Cristian Raimondi. In alcuni frangenti sono presenti le cantanti Maethelyiah (The Danse Society), nella luciferina Al
Cospetto dell’Inatteso e in Metamorfosi, e Marina Larcher (Egida Aurea/Zena Soundscape
Project) nell’inquietante La Grande Quercia che tinteggiano ancora di più un
quadro affascinante. Spero vivamente che la collaborazione de Il Segno del
Comando con Cristian Raimondii prosegua ancora in futuro, sarebbe un peccato
che non fosse così. Il gruppo sta
lavorando a un nuovo album che dovrebbe essere pubblicato entro la fine del
2021. Si tratta di un concept dedicato al romanzo di Gustav Meyrink Il
Domenicano Bianco e chiuderà la trilogia dedicata a questo autore iniziata con
Der Golem e proseguita con Il Volto Verde.
Tracklist:
1. Intro – Il Senza Ombra
2. Il Calice Dell’Oblio
3. La Grande Quercia
4. Sulla Via Della Veglia
5. Al Cospetto Dell’Inatteso
6. Lo Scontro
7. Nel Labirinto Spirituale
8. Le 4 A
9. Il Mio Nome È Menzogna
10. Metamorfosi
11. Outro – Aseità
Line-up:
Diego Banchero – Bass
Fernando Cherchi – Drums
Roberto Lucanato – Guitars
Riccardo Morello – Vocals
Davide Bruzzi – Guitar, Keyboards
Beppi Menozzi – Keyboards
Guests:
Paul Nash – Guitar (tracks: 5, 10)
Luca Scherani – Keyboards (track: 6)
Maethelyiah – Vocals (tracks: 5, 10)
Marina Larcher – Vocals (track: 3)
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