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lunedì 5 marzo 2018

Pierpaolo Bibbò - "Via Lattea", di Max Rock Polis


Pierpaolo Bibbò - Via Lattea
Di Max Rock Polis

Non c'è bisogno di avere una laurea in astrofisica o aver fatto un corso presso l'Istituto geografico militare per riconoscere in un battito di ciglia cosa campeggia sulla cover del CD di Pierpaolo Bibbò. Non è la “Via lattea”, bensì una fotografia filtrata della sua Sardegna, quasi a voler simboleggiare in una volta il punto di partenza, il nuraghe come da prima traccia, e il punto di arrivo, appunto la parte più luminosa della nostra galassia.
È questo il primo lavoro scelto per la pubblicazione nel gennaio 2018 da Zanella di M. P. & Records, e per chi ne conosce la filosofia e l'impegno, oltre che la competenza, il nome stesso è già un commento fatto al disco: musica particolare.

Senza avere la pretesa di sostituirsi a un ascolto accurato di questo disco, di volerlo rinchiudere in poche parole, potremmo definirlo una sorta di Progressive con forte chiave Cantautoriale e Folk. In sostanza parliamo di una piacevole e riuscita commistione, contaminazione di stili, unendo una tradizione italiana a delle sonorità più nord europee.
Tutti gli arrangiamenti e i testi sono di Pierpaolo, come quasi tutti gli strumenti suonati: tastiere chitarre acustiche ed elettriche, basso, ma sopratutto la voce. Simone Spano suona batteria e percussioni.

Il CD parte solenne ed elettrico, proponendo proprio il tema del viaggio “Dal nuraghe alla Via Lattea”, un pezzo molto vario nelle sonorità, sostenuto da ottime tastiere e batteria spesso robusta e ritmica.
Il pezzo più forte dell'album, quello più sentito, denso e carico di storia e significati, è la seguente cavalcata di ben 13 minuti: “17 febbraio 1943”, dove Bibbò si mette nei panni di un ragazzo di Cagliari quel giorno alle ore 15, quando vi fu il primo terribile bombardamento “alleato”, cioè dei supposti amici liberatori, sulla sua città. Ne seguirono altri due i giorni seguenti “lasciandosi alle spalle una città fantasma”, come dicono le note interne della cover. È dramma in musica e parole, ma senza voler spingere in ormai inutili pensieri di pietà, senza lacrime. Il destino “ineludibile, incomprensibile ed inspiegabile” del ragazzo e le parole di rabbia sono ben scandite da una batteria quasi Hard rock. Poi viene il tempo dei ricordi e il pezzo si dilata in un'altra attesa musicale, finché tutto a un tratto le ombre nere arrivano sulla città a incendiare l'aria e riempirla di schegge. Il dopo è vissuto solo tra urla del silenzio. È chiaro tutto il sentire che ha l'autore di questo dramma, figurato nel ragazzo di quasi 11 anni la cui vita cambia per sempre, come continuano a cambiare le atmosfere proposte dal duo di musicisti. Abbiamo Prog, sinfonia, Rock duro, elettronica.
Dopo questa massiccia prova d'autore e di musicista, gli altri brani devono essere all'altezza, per non fare da semplice corollario. “Nient'altro” è una poesia d'amore pianoforte e voce, si apre alle melodie nel finale, poi ancora atmosfere elettroniche ed evocative in “Corso Vittorio Emanuele II (1962)” dove Pierpaolo ci racconta un pezzo della sua infanzia, quando d'estate loro bambini si divertivano a far esplodere cartucce, facendole schiacciare dai tram sui binari. È sempre Cagliari, ma in situazione e ambientazione ben diversa da 19 anni prima, in “quei '60” comunque “indelebili”, con un bell'assolo di elettrica a chiudere il ricordo.
Poi arriva “Il matto del villaggio”, che può essere visto come il singolo di questo “Via Lattea”, dove ci si trova da soli a viaggiare con l'immaginazione, e allora ecco che si diventa folli nella propria libertà e solitudine, a rincorrere miraggi. “Quando rinascerò” è la tavola colorata in musica di ognuno di noi, che vorrebbe avere la possibilità di rifare quello che abbiamo sbagliato nella nostra vita. C'è ancora intensità e varietà stilistica, seppur immersa tuta in tastiere, effetti e chitarre elettriche di contorno.
È ancora l'ultima poesia, malinconica, amara confessione in “Ho quasi smesso di sognare”, dove si fanno i conti con le proprie ambizioni e prospettive non realizzate.


La bella voce di Bibbò è sempre fondamentale nella struttura delle sue canzoni, dove il messaggio dei suoi testi si integra sempre nell'atmosfera delle musiche, il senso ne diventa parte integrante e colpisce per intensità e corpo. Pur con ampio uso di tastiere ed elettronica, l'album diventa vivo e vitale grazie all'interpretazione vocale, accompagnata e sottolineata comunque da tutti gli accenti musicali che vi si trovano. Canzoni mai banali, mai piatte, sempre diverse e variopinte, tanto che chi ascolta è indotto a farsi il proprio film mentale per rivedere le scene di vita qui raccontate.

Alla fine dei 45 minuti del CD, anche se fisicamente non siamo riusciti a viaggiare dal nuraghe al cielo stellato, perlomeno abbiamo immerso la testa nelle immagini suggerite da Pierpaolo e Simone. Se ci pensate, non è certo cosa da poco avere un pezzo d'arte che riesce ad aprirci la mente. 




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