Moon
Safari - “Himlabacken, Vol. 2” (2023)
di
Alberto Sgarlato
Può esistere “il disco perfetto”?
Forse sì. Come si potrebbe definire un concetto archetipico di “disco
perfetto”?
Un disco è perfetto quando è
prodotto divinamente, quando suona divinamente, quando è cantato divinamente.
Ma, al di sopra di ogni altra cosa, quando pone la scrittura al primo posto.
Si può parlare di “bella
scrittura” quando una canzone arriva direttamente al cuore ma non è banale,
quando cattura l’attenzione ma non è mai “facilona”, quando senti che la mente
e il cuore hanno raggiunto un loro equilibrio, tanto delicato ed impalpabile,
quanto ineccepibile.
Un disco è bello quando ogni sua
canzone ti regala l’emozione di un “ritorno a casa”, eppure al tempo stesso non
sa di già sentito; quando, appena uscito, ti fa venire la tentazione di
ascoltarlo tre volte di fila, nonostante una importante durata di circa 70
minuti, e non ti stanca. Questo grazie anche a una sapiente alternanza di brani
lunghi, finanche lunghissimi, e canzoni più brevi e immediate.
Anzi, quando finisce sei un po’
triste; ti viene voglia di farlo ripartire da capo, perché ti ha lasciato
quelle sensazioni nel cuore che sono un misto di commozione, di euforia, di
entusiasmo, di malinconia, di gioia e di amarezza. Senti tremendamente “tuoi”
tutti quei suoni.
E allora lo rimetti da capo e a
ogni ascolto ti sembra di scoprire dei dettagli che la volta prima non avevi
notato. Ma non cambiano solamente i dettagli, cambiano anche le emozioni. Ogni
ascolto è un’esperienza diversa e tutta nuova.
I Moon
Safari sono svedesi, ma in questo “Himlabacken,
Vol. 2” non lo dimostrano affatto. La produzione sonora, così
“grossa”, solenne, magniloquente, fa pensare al nuovo prog americano. E infatti
non è un caso che il mixaggio finale sia avvenuto ad opera di Rich Mouser
presso la sua “Mouse House” di Los Angeles, in California, colui che ha
lavorato con nomi del calibro di Spock’s Beard, Dream Theater e Transatlantic.
I Moon Safari celebrano in questo
2023 il ventennale di carriera, essendosi formati appunto nel 2003. Ma in
questo lasso di tempo hanno sfornato solo cinque album e, in particolare, son
passati ben dieci anni esatti dalla pubblicazione del “Vol. 1” con lo stesso
titolo, datato 2013.
Che siano maniacali nel curare
ogni dettaglio si sente. E con questo “Himlabacken, Vol. 2” non hanno
lasciato proprio niente al caso. Tutto è ineccepibile.
Il sound fa pensare, per prima cosa, agli Yes. Ciò avviene sia per il grandissimo amalgama tra le voci e per gli abbondanti interventi corali (quasi tutti i componenti sono anche cantanti solisti), ma anche per un certo modo di far “ruggire” l’organo e “urlare” il Minimoog. Ma i Moon Safari sono tutt’altro che derivativi. Al contrario: il loro “cocktail”, complice anche questo suddetto songwriting azzeccatissimo in ogni canzone, senza cali di tensione e senza riempitivi, si rivela a dir poco eterogeneo. A partire dall’esplosione di “198X (Heaven Hill)”, brano dichiaratamente AOR che nei riff di synth e chitarra fa pensare a Van Halen (sempre “condito” di Yes nelle parti vocali); i circa 11 minuti di “Between the devil and me” alternano momenti di puro metal-prog con altri più intimisti e malinconici i cui giri piano/chitarra e le melodie vocali ci riportano agli anni d’oro dell’Alan Parsons Project, con un pizzico della “radiofonia” di Journey e Foreigner.
Nei tre minuti del singolo “Emma, come on” la band condensa cori e virtuosismi tastieristici degni degli Yes periodo “Going for the one” ma anche delle tracce più ispirate degli Styx guidati da Dennis Deyoung, ancora in un saporito incontro tra prog e arena-rock.
“A lifetime to learn how to love” è la classica
“ballad”, più romantica ed intimista, ma con un “monumentale” epico finale che
deflagra come una esplosione; c’è qualcosa di mistico, quasi di sacrale, nei
due minuti di “Beyond the blue”, che in fondo servono quasi
soltanto a introdurre nel miglior modo possibile la successiva “Blood
Moon”. Questa traccia rientra di nuovo nei titoli “cantabili”, un vero
“inno” agli anni ‘80 tra arpeggiatori di tastiere, bass-synth, tamburi filtrati
elettronicamente, chitarre con l’octaver che sembrano sfornate direttamente da
Brian May dei Queen e melodie cantate che evocano Supertramp ed Electric Light
Orchestra.
Tutto ciò è solo un “aperitivo”
che ci porta verso gli oltre venti minuti della suite “Teen Angels meets
the Apocalypse”. E qui c’è dentro tutto: un tema introduttivo di rara
bellezza giocato tra pianoforte, tastiere orchestrali e chitarre, un
indurimento con unisoni di basso e chitarre prog-metal, organi liturgici che
“duellano” con Hammond più rock, dal quinto minuto una coralità vocale
squisitamente “radiofonica” anni ‘80, dagli Eagles ai Chicago, melodie cantate
che richiamano il più nobile cantautorato, quello di Al Stewart, di James
Taylor, di Christopher Cross, preziosismi di chitarra acustica, ma attorno al
nono minuto il pianoforte ossessivo sulle note basse offre la sensazione che
Keith Emerson abbia appena incontrato i Dream Theater sul suo cammino (complice
il gran lavoro della chitarra e della sezione ritmica); e dal tredicesimo
minuto… Arrivano i Beatles! Proprio loro! Potevano mancare a sì ricco
banchetto? Clavicembali psichedelici, coretti cosmici, organi sontuosi, ottoni
barocchi verso un finale orchestrale che mozza letteralmente il respiro in
gola.
Credete che a questo punto i Moon
Safari abbiano dato tutto? Abbiano dato il massimo? Ancora no. I 10 minuti di “Forever,
for you” commuovono fino alle lacrime. Chitarre acustiche e pianoforti
si rincorrono nel costruire melodie meravigliose, ancora un pizzico di Beatles
nelle voci, fino ai crescendo corali che profumano quasi di musical di
Broadway, e persino un inatteso sax “scippato” ai Supertramp, mentre il
Minimoog e l’Hammond regalano sonorità care a Rick Wakeman.
Fino a giungere così al finale di
“Epilog”, unica traccia in lingua svedese di tutto il disco:
pochissimi tocchi di chitarra classica e di pianoforte giusto per fare da
contorno a un organo da cattedrale e, ancora una volta, a un pazzesco lavoro
corale.
Esistono i dischi perfetti? Questo
lo è.
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