21
febbraio 2018
"Meglio inseguire un
sogno tutta la vita che rimpiangerlo sempre".
(Francesco
di Giacomo)
Ci
sarai sempre... Buon viaggio Capitano
Wazza
Il terzo giorno...la zingarite! Faccia a faccia con…
Francesco Di Giacomo, del
Banco del Mutuo Soccorso
Ad una
manciata di minuti dall' inizio del concerto de Le Orme e del Banco del Mutuo
Soccorso al Viper di Firenze, Di Giacomo il 14 Aprile si è concesso per 60 minuti alle
nostre domande: i ricordi di una lunga carriera dal 1970 ad oggi.
Una intervista ed un concerto favoloso!
Giancarlo
Passarella:-Dario, hai davanti la
storia del rock italiano…
Francesco
Di Giacomo:-
beh, anche la geografia!
Quest’intervista
inizia col sorriso, e non nascondo che in quel momento rompere il ghiaccio sia
stato un sollievo. Daltro canto Francesco Di Giacomo è la voce del Banco dal 1971, un grande artista oltre che un simbolo. Per motivi di brevitas
ho dovuto operare qualche taglio, dunque non perdiamo altro tempo. Ecco
riproposto per voi il nostro dialogo!
Francesco, fra poco più di unora sarai con il Banco sul palco del Viper insieme a Le Orme. Ma dove nasce l’idea di affiancare due nomi così grandi in un solo tour?
L’idea è venuta a Giancarlo Amendola, il nostro manager. Venivamo da una data particolare in cui il Banco e Le Orme avevano condiviso lo stesso palco, con una bellissima risposta del pubblico. Perché non unirci, di questi tempi, in un tour che ci rendesse più fruibili e meno invasivi economicamente sul pubblico? Non è stata una passeggiata, perché per spartirsi un palco ci vuole affiatamento, e organizzazione. A chi non piacerebbe suonare con la New York Philharmonic!
Per voi questo è anche un compleanno!
Beh
sì, non siamo artisti maledetti, però abbiamo la presunzione di dire di aver
vissuto con attenzione quello che ci accadeva intorno. Un concerto viene da
300000 note, 300000 frasi scritte, cose bellissime che accadono e altre cose
che hai dimenticato. Abbiamo cercato di riassumere questi anni in momenti
musicali. Tante soddisfazioni, ma anche tante difficoltà. Cito sempre l’intervista
ad un ragazzo che aveva assistito al concerto del nostro trentennale. Il
ragazzo disse: -Per me era un giorno
bellissimo, lo aspettavo da tanto. Arrivato là, grande delusione. Il gruppo è
stanco, il cantante affaticato, non ce la fanno più... Non mi sono detto,
guarda che stronzo questo! C’è un equivoco di fondo: the show must go
on. Assolutamente no. Io non
sono un medico che deve far di tutto per non sbagliare la diagnosi. Io porto
avanti delle emozioni, e le emozioni non possono essere ripetute all’infinito.
Cantando dei brani, per centomila volte ho avuto la pelle d’oca, qualche volta
no! Questa società ci priva del senso critico. Io devo essere inattaccabile,
bellissimo, forte: ho sessantacinque anni. Sul palco non può passare un nastro
emotivo che ha sempre la stessa altezza, lo stesso colore. Quel ragazzo poi
però ha detto: “Che bello però il concerto è
sempre diverso. Il Banco non dice mai le stesse cose: mi piace sentire l’odore
del pubblico che ho davanti, e cambiare il canovaccio.
Recentemente Musicalnews ha incontrato i dirigenti SIAE, ponendo domande scomode e sfatando alcune leggende. Anche in relazione alla lettera di Tony Pagliuca a Celentano durante il Festival di Sanremo, nella quale si denuncia la soppressione del sussidio mensile di 615 euro, che ne pensi delle recenti novità nella gestione dei diritti d’autore?
Sarò breve, perché non sono molto ferrato sull’argomento. Io sono andato in pensione due mesi fa, ed ho il mio assegno mensile. Fino al 1996 c’era una legge che prevedeva di dover fare 900 versamenti all’E.N.P.A.L.S.; io ero a 1400 versamenti - quindi ben oltre - e tuttavia ci sono stati alcuni problemi. Preferisco non pronunciarmi sul caso Pagliuca, però è risaputo, siamo in un momento critico. Per fortuna ogni tanto faccio altri lavori. Bisogna sforzarsi di capire cosa significa essere artisti in Italia. Se sei artista in Francia e non hai lavoro, ti danno 300 al mese, una casa dove paghi molto poco ed hai diritto ad andare a vedere tutti gli spettacoli artistici ad un prezzo irrisorio. Sei artista tutto l’anno. E il concetto di fondo ad essere diverso. Qui in Italia vale ancora quella frase che mi disse il mio ex suocero:- sì, lei suona, ma che lavoro fa? In effetti io facevo un non lavoro, senza orari e stabilità: ho precorso il precariato con 40 anni d’anticipo. (ride)
5 anni fa vi abbiamo seguito nel vostro tour in Giappone, con un reportage che iniziava a Fiumicino e vi seguiva fra Tokyo e Kyoto. Qualche aneddoto particolare?
E’ una situazione sicuramente preoccupante: loro cantano i nostri pezzi a memoria senza sapere cosa dicono. Però il pubblico è molto appassionato, e se si parla di giapponesi non è cosa da poco. Diventano un pò pensanti a fine concerto, quando mille persone vogliono farsi una foto con te!
Quanto cambia il Banco davanti ad un popolo così diverso?
L’ultima cosa che voglio è snaturarmi. Ho passato il pomeriggio ad imparare a memoria a dire “Benvenuti, spero che quello che facciamo possa piacervi, possa toccarvi in qualche modo, possiate gradirlo”. Cerchiamo di dare sempre il meglio perché se eseguire una hit famosa è un doping che chiama da sola metà dell’applauso, l’altra metà dell’eccitazione deve venire da noi. L’affetto del pubblico è qualcosa di unico. Negli States c’era anche un ragazzo con la maglia della Roma, e non eravamo a Little Italy! Ognuno di noi ha una vanità. Ti viene da pensare di aver dato qualcosa, di averlo fatto nel modo giusto.
Adesso una curiosità da musicista: che aria si respirava nei Settanta e quanto sono cambiati i rapporti fra musicisti dai Settanta ad oggi?
Ho
dei ricordi vaghi. Innanzitutto a vent’anni si ha diritto all’imbecillità: ne
ho avuto diritto anche io e l’ho usato. C’era chi misurava lo stare sul palco
dalla lunghezza del camion o dalla grandezza delamplificatore. Una prova di muscoli,
anche fra chi non ne aveva bisogno. Ricordo che nel 1970 quel che ci mancava era il
rispetto economico. Eravamo giovani e si suonava spesso senza essere
pagati, con grandissima fatica nel montare e smontare tutti gli strumenti. Allo
storico Piper Club ci offrirono 25.000 lire per suonare sabato e domenica, da
dividere in 6. Ci fu come unassemblea di musicisti e nessuno suonò quel
sabato al Piper. Ma la domenica c’era già un’altra band decisa a suonare,
pagata 20000 lire. Glielo dissi: “se facciamo così è finita, siamo
comprabili”. L’altro aspetto era il tutto è possibile. Si
facevano cose meravigliose. Ricordo un viaggio col furgone FIAT 238, col
pianoforte sopra. C’era anche Stefano
D’Orazio dei Pooh, per suonare a Milano. A concerto terminato annunciammo
che non avevamo un’etichetta, e a fine serata eravamo sistemati. Erano altri
tempi. C’era un vuoto musicale enorme. Un pò quel vuoto musicale che c’è anche
oggi, solo che adesso se non appari non esisti. I talent show dell’assurdo e
della crudeltà sono fabbriche d’ipocrisia.
Dopo il libro di Vittorio (Nocenzi) a fine anno uscirà la biografia del Banco di Francesco Villari. Inoltre stiamo lavorando ad un album molto particolare, Sacro Massacro: saremo ospiti dei nostri brani, reinterpretati per l’occasione da musicisti che stimiamo. L’album conterrà anche 3 pezzi nuovi, di cui uno con Battiato. Che poi è sempre inutile concentrarsi troppo sul futuro, le occasioni verranno da sole. Il progetto è arrivare in salute al gran finale, come diceva il grande Lucio.
Chiudo chiedendoti: che ne pensi della decisione di Ivano Fossati di ritirarsi dalla scena musicale?
La trovo una cosa molto bella. Si tratta di una scelta difficile e matura. C’è gente che sta in tour tutto l’anno, che ha la sindrome da palco e che non lo lascia mai. Sono vicende personali. Sarà triste non vederlo più in concerto, ma se lo voglio ascoltare metto su un bel disco, ed è un gran disco. E ti dirò, quando sono fuori non vedo l’ora di tornare a casa, perché sono stanco. Quando sono a casa, dopo tre giorni arriva questa zingarite che mi dice…oh, ma quando se riparte? E’ un virus reale, non solo una condizione mentale. Ti accorgi un giorno di non poter più fare a meno di quel rumore nelle orecchie
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