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martedì 23 dicembre 2025

Il compleanno di Anthony Phillips

Compie gli anni oggi, 23 dicembre, Anthony Phillips, chitarrista del primo nucleo dei Genesis, che lasciò nel 1970.

Ha pubblicato molti album solisti ed è stato coinvolto spesso in differenti progetti musicali, soprattutto colonne sonore.

Happy Birthday Anthony!

Wazza

Genesis, "Trespass" era, with guitarist Anthony Phillips, Peter Gabriel, and drummer John Mayhew! Surrey Free Festival, University Campus, June 27, 1970










lunedì 22 dicembre 2025

Ricordando Joe Cocker che ci lasciava il 22 dicembre del 2014


Il 22 dicembre del 2014 ci lasciava Joe Cocker per un cancro ai polmoni: aveva 70 anni.

È noto in particolar modo per le sue rivisitazioni di canzoni già famose e per le sue esibizioni dal vivo, nonché per il virtuoso utilizzo del falsettone unito a una voce graffiante e profonda.

Ma la sua fama prende il via al festival di Woodstock, nel 1969, quando propone la sua versione di “With a Little Help from My Friends”, cover beatlesiana tratta dall'album “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band”.

Nel 1983 vinse il Grammy Award come «miglior interpretazione pop di un duo o un gruppo» per Up Where We Belong, brano cantato con Jennifer Warnes. La rivista statunitense Rolling Stone nel 2008 lo collocò al 97º posto della classifica dei cento migliori cantanti di tutti i tempi.






domenica 21 dicembre 2025

Wazza ricorda Francesco Di Giacomo


21 dicembre

Ci sarai sempre.

Buon viaggio capitano!

Wazza

 

Vi ringrazio de core,brava gente

pe' sti' presepi che me preparate

ma che li fate a fa'?

Si poi v'odiate si de st'amore nun capite gnente

Pe' st'amore so nato e ce so morto

da secoli lo spargo da sta croce

ma la parola mia pare 'na voce sperduta

nel deserto senza ascolto

La gente fa er presepe e nun se sente

cerca sempre de fallo più sfarzoso

però cia' er core freddo e indifferente

e nun capisce che senza l'amore

è cinfrusaja che num cia' valore

Trilussa





Greg Lake e PFM, 20 dicembre 1972

 PFM e Greg Lake in occasione della presentazione live di "Per un Amico" al Palasport di Roma (EUR) il 20 Dicembre 1972. Foto tratta da SuperSound.


20 dicembre 1972. Concerto della PFM al Palasport di Roma, per la presentazione dell'album "Per un amico", Greg Lake è presente alla prima!
Di tutto un Pop...
Wazza







The Concert For Bangladesh



Usciva il 20 dicembre 1971  l'album triplo "The Concert For Bangladesh", registrazione live del concerto tenuto al Madison Square Garden di New York il 1 agosto 1971, per raccogliere i fondi da destinare alla popolazione asiatica flagellata da alluvioni e carestia.
Cast e disco monumentali. Poco dopo uscirà anche il film dell'evento.
Di tutto un Pop…
Wazza


Dalla rete...

Il Concerto Per Il Bangladesh, il progetto più ambizioso della carriera solista di George Harrison, realizzato quasi un anno dopo lo scioglimento dei Beatles, il primo di agosto del 1971, fece supporre ad una reunion del quartetto di Liverpool vista la straordinarietà dellevento, ma (purtroppo) non fu così.
Ravi Shankar, maestro di sitar e di cultura indiana di George, sconvolto dai terribili eventi che accadevano nel Suo Paese, si rivolse  al suo allievo per trovare un modo di aiutare i profughi. La guerra civile in Pakistan, con il settore occidentale che lottava contro quello orientale, che si era proclamato nazione del Bangladesh, aveva provocato lesodo di dieci milioni di profughi in India; un milione di persone erano morte di malattie o di fame e cerano innumerevoli bambini orfani. Ravi aveva in mente un concerto di dimensioni modeste, con il quale aveva sperato di raccogliere una cifra intorno alle 25.000 sterline. George ancora una volta dimostrò le Sue capacità imprenditoriali, mirando ad un concerto ambizioso e brillante, che avrebbe prodotto un set di tre album ricordo, uno special televisivo ed un film. Lidea era di ricavare quasi 15 milioni di sterline per il tormentato paese del Bangladesh.
George cominciò subito a contattare gli amici musicisti e passò tutto giugno e parte di luglio 1971 facendo telefonate. Durante una visita a Disneyland con Peter Seller e Ravi Shankar, propose a Peter Seller di fare il presentatore dellevento. Tuttavia, dal momento che lattore era impegnato nella fase di post-produzione di Oltre Il Giardino , fu lo stesso George ad assumere questo compito. Mick Jagger si era appena stabilito in Francia e non riusciva ad ottenere in tempo un visto. George decise di tenere il concerto in un posto che gli consentisse la massima esposizione e scelse il Madison Square Garden di New York e la data fu domenica 1°  agosto 1971. I Beatles avevano suonato insieme per lultima volta in pubblico al Candlestick Park di San Francisco il 29 agosto 1966 ed era possibile che George tentasse di riunirli per il concerto. Ringo, che stava girando Blindman in Spagna, fu uno dei primi ad essere contattato da George ed accettò subito di partecipare. Anche John Lennon accettò di prendere parte al concerto, ma, quando arrivò, al suo fianco cera lonnipresente Yoko Ono. Quando George cercò di spiegargli tranquillamente che sul palco era richiesta solo la presenza di John e non la sua, lei si infuriò. Yoko fece una tale scenata a John che si scatenò un violento litigio. Gli occhiali di John si ruppero, lui la piantò in asso e corse allaeroporto a prendere il primo volo per lEuropa: andò a finire a Parigi. Yoko aveva sognato di partecipare al concerto e voleva che New York diventasse la loro nuova residenza. Dopo pochi giorni si erano entrambi calmati; si trovarono a Tittenhurst Park, ma solo per lasciare lInghilterra il mese dopo e stabilirsi stabilmente in U.S.A..
Paul riteneva che i Beatles si erano separati da troppo poco tempo e pensò che non aveva senso che una delle loro prime mosse fosse tornare insieme di nuovo. Disse che avrebbe accettato soltanto se gli altri tre avessero ritirato la causa intenta contro di lui, provocata dalla sua intenzione di giungere ad una dissoluzione legale dei Beatles. Da parte loro, in quel momento, una simile richiesta era inaccettabile.

Ci sarebbero stati due concerti quella sera di agosto nello stadio da 20.000 posti ed i biglietti furono esauriti sei ore dopo lapertura dei botteghini. Il Concert For Bangladesh fu lunica apparizione di Eric Clapton in un lungo periodo di assenza dalle scene. Aveva smesso di suonare in pubblico lanno precedente e non si sarebbe esibito di nuovo prima del 1973. Il problema, come noto, era la sua dipendenza dalle droghe pesanti. Quando arrivò a New York mandò la sua ragazza, Alice Ormsby-Gore, figlia dellex-ambasciatore britannico, in giro per la strada a cercargli delleroina. Eric stava veramente male la sera prima del concerto e non partecipò alle prove che si svolsero sulla 57 th Street West. Cera Jesse Ed Davis pronto, come sostituto di Clapton. Allen Klein fece in modo che il dottor William Zahm lo curasse e per quel giorno riuscì a salire sul palco.
Il concerto cominciò quando George presentò Ravi Shankar, il quale iniziò un entusiasmante set di musica indiana: Ravi al Sitar, accompagnato da Ali Akbar al Sorod, Alla Rakha al Taba e Kamala Chakravarty al Tamboura. Poi un barbuto George entrò in scena vestito di bianco, con una camicia arancione e cominciò con Wah Wah. Con lui cerano Ringo Starr alla batteria, Eric Clapton alla chitarra solista, Leon Russel al pianoforte, Billy Preston alle tastiere, Jesse Ed Davis alle chitarre elettriche, Jim Horn che dirigeva un gruppo di ottoni, Jim Keltner alla batteria. Klaus Voorman al basso, Claudia Linnear che dirigeva un coro gospel di nove elementi e tre elementi dei Badfinger alle chitarre acustiche. Lensemble suonò: My Sweet Lord, Awaiting On You All,Beware Of Darkness, Thats The Way God Planned It (con esibizione di Billy Preston), It DonT Come Easy (esibizione di Ringo), Jumpin Jack Flash/Young Blood (esibizione di Leon Russel), While My Guitar Gently Weeps   (con geniale assolo di Eric Clapton), Something, Here Comes The Sun. Poi George presentò Bob Dylan  dicendo: Vorrei presentarvi un amico di tutti noi: Bob Dylan!. Anche Dylan portava la barba, indossava i jeans ed un giacchetto di velluto.  Cominciò con A Hard RainS Gonna Fall e proseguì con Mr Tambourine Man,Blowin In The Wind, It Takes A Lot To Laugh,It Takes A Train To Cry e Just Like A Woman. Nellultimo brano si unirono George alla chitarra slide, Ringo al tamburello e Russel al basso. George terminò il set con unesecuzione del brano Bangladesh.
Ci fu una festa dopo il concerto, tra gli ospiti cerano gli Who ed i Grand Funk Railroad. Il canale televisivo Cbs mandò in onda un filmato del concerto, dal quale venne tratto anche un film diretto da Saul Swimmer e distribuito dalla  20 thCentury Fox. La première  di quest’ultimo avvenne lanno successivo, il 23 marzo del 1972 a New York. George aveva lavorato con il regista del film mettendo insieme i pezzi più belli di entrambi i concerti e lo stesso Bob Dylan era stato coinvolto nel montaggio, mediante il quale da quattro ore di riprese vennero tratti i 90 minuti del film. Inizialmente venne trasmesso nelle maggiori 13 città degli U.S.A. con una pellicola da 70mm ed il sonoro registrato su 6 piste. Ci fu anche una versione in pellicola da 35 mm ed il sonoro a 4 piste, approntata per una distribuzione più capillare. Il film venne proiettato in antemprima al DeMile Theatre di New York e tra gli invitati famosi cerano John e Yoko, Jerry Rubin e Nino Tempo; John uscì dal teatro a metà dellesibizione di Dylan.
Quello che può essere considerato il primo dei leggendari concerti rock di beneficienza, venne rovinato dallintransigenza degli addetti alle tasse che insistettero per avere il loro tornaconto, nonostante il valore della causa. Le case discografiche avevano rinunciato alle loro royalty, ma sia il governo britannico che quello americano tassarono pesantemente levento. George commentò: i responsabili della legge e del fisco non ci aiutano.  Fanno in modo che valga la pena di fare nulla di decente. George fece pressioni in Gran Bretagna ed ebbe anche un incontro di due ore, organizzato per lui dal ministro Jeffrey Archer, con Patrick Jenkins, un sottosegretario alle Finanze del Governo. Nonostante la sincerità con cui George presentò la situazione degli innocenti che soffrivano in Bangladesh e lurgenza del loro bisogno di aiuto, le sue argomentazioni si scontrarono con lottusa burocrazia. Jenkins fu irremovibile e rifiutò di ritirare la richiesta dimposta. Forse preferite che me ne vada dallInghilterra, come praticamente tutte le altre importanti pop star britanniche, portando i miei soldi con me?disse George. Questo signore è, naturalmente, a sua totale discrezione rispose Jenkins. Naturalmente amareggiato da questo  atteggiamento ostinato, George pagò personalmente un assegno di un milione di sterline alle autorità fiscali.
Nacquero delle difficoltà anche con lalbum triplo, perché i commercianti di dischi lo facevano pagare di più ed intascavano il denaro. LUnicef riuscì a ricevere un primo assegno di 243.418,50 sterline, i proventi del concerto stesso, ma ci vollero quasi dieci anni per raccogliere il resto dei soldi, che sarebbero stati necessari con urgenza; furono anche mosse delle accuse ad Allen Klein per la sua gestione finanziaria delloperazione, accuse contro le quali avviò una causa che poi ritirò.

CURIOSITA'
Essendo stato messo al corrente dallamico Ravi Shankar a proposito della gravità delle condizioni  delle popolazioni del Bangladesh, George Harrison organizzò in fretta un evento senza precedenti: un concerto di beneficenza con la partecipazione di varie rock star. L’impegno profuso da Harrison nellorganizzazione in prima persona dellevento fu enorme e frenetico;
Il concerto, lalbum e il film ricavato, furono un enorme successo. Bob Geldof ha dichiarato che il concerto per il Bangladesh fu il pioniere dei concerti di beneficenza, compreso il Live Aid da lui organizzato;
Nel tempo molti altri personaggi hanno elogiato il ruolo di George Harrison in questo progetto umanitario, primo tra tutti Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite;
Il Triplo Album, pubblicato il 20 dicembre 1971 (dalla durata di  1 h : 42 min : 57 s), vinse un Grammy Award  nel 1973 come miglior album dellanno.

Il Madison Square Garden di New York sede dellevento il 1° agosto 1971 nello stesso anno  (8 marzo) fu sede dello storico incontro di Boxe fra Joe Frazier  e Muhammad Ali (Cassius Clay) in quello che viene ricordato come lincontro del secolo. Negli anni seguenti ospitò leggendari concerti come quello di Elvis del 10  giugno 1972 e lultimo concerto di John Lennon (con Elton John) il 30 agosto 1974.

TRACCE DEL TRIPLO ALBUM
Il triplo album Concert For Bangladesh, composto da 19 tracce, dalla durata di 1 h 42 57, prodotto da George Harrison e Phil Spector per le etichette Apple Records/Sony Musica fu pubblicato il 20 dicembre 1971. (Tutte le canzoni sono interpretate da George Harrison, tranne dove indicato.)
LP 1
LATO A
1.      George Harrison/Ravi Shankar introduction  5:19
2.      Bangla Dhun (Ravi Shankar) 16:40
LATO B
1.      Wah-Wah  3:30
2.      My Sweet Lord  4:36
3.      Awaiting on You All  3:00
4.      Thats      The Way God Planned It (Billy      Preston) 4:20
LP 2
LATO C
1.      It Dont Come Easy (Ringo Starr) 2:38
2.      Beware Of Darkness  3:26
3.      Band introduction  2:39
4.      While My Guitar Gently Weeps  4:53
LATO D
1.      Medley: Jumpin Jack flash / Young Blood (Leon Russell / Leon Russell and Don Preston)- 9:27
2.      Here Comes The Sun  2:59
LP 3
LATO E
1.      A Hard Rains A-Gonna Fall (Bob Dylan) 5:44
2.      It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry (Bob Dylan) 3:07
3.      Blowin In The Wind (Bob Dylan) 4:07
4.      Mr. Tambourine Man (Bob Dylan) 4:45
5.      Just Like a Woman (Bob Dylan) 4:49
LATO F
1.      Something  3:42
2.      Bangla-Desh  4:55





venerdì 19 dicembre 2025

“Hey Gian”: sessant’anni di Disco Club tra musica, storie e comunità



Al Teatro Ivo Chiesa di Genova una serata corale per celebrare uno dei luoghi simbolo della cultura dell’ascolto.

Di Angelo De Negri


Gli scatti, di Roberta e Paola Balduzzi, sono inseriti in modo casuale


Per molti è stato il primo vinile comprato, per altri una scoperta casuale, per altri ancora un rifugio. Disco Club compie sessant’anni e Genova risponde con una festa che è molto più di un concerto: una celebrazione corale in cui musicisti, racconti e ricordi si intrecciano, restituendo il senso profondo di un luogo che ha attraversato generazioni senza mai perdere la propria anima.

Lo scorso lunedì 8 dicembre, il Teatro Nazionale Ivo Chiesa ha ospitato l’evento conclusivo di quelli che sono stati ribattezzati “I tre giorni del Condor di Disco Club”, iniziati con due giornate di Street Party dentro e fuori lo storico negozio: il sabato con i dj set di Black Moses, Beatshaker, The Tuesday Tapes e Luca De Gennaro e la domenica con il grande talk show con interviste a clienti storici, ex commessi e ‘local heroes’ con Antonio Vivaldi e Isabella Rizzitano.

Una serata speciale, quella di lunedì, capace di riempire ogni ordine di posti e di mescolare, in platea, storici clienti, giovani appassionati e addetti ai lavori. Un pubblico eterogeneo, specchio fedele della storia di Disco Club, chiamato a partecipare non solo a un evento musicale, ma a un racconto dal vivo in cui sul palco si sono alternati musicisti, storie e telefonate, componendo un omaggio collettivo alla musica e alla cultura dell’ascolto.

Fondato a metà degli anni Sessanta, Disco Club non è soltanto il negozio di dischi più longevo di Genova, ma un vero e proprio presidio culturale. Tra i suoi scaffali si sono incrociati gusti, generazioni e linguaggi diversi, facendo del negozio un punto di riferimento per chi cercava non solo un disco, ma un confronto, un consiglio, una visione. In un’epoca in cui l’ascolto tende sempre più a diventare solitario e smaterializzato, la sua storia racconta invece di una comunità costruita attorno alla musica, giorno dopo giorno, per sessant’anni.

Al centro di questa storia c’è Giancarlo Balduzzi, per tutti semplicemente Gian. Proprietario di Disco Club e figura ormai inseparabile dal negozio stesso, Gian non è mai stato un semplice commerciante: piuttosto un mediatore culturale, un ascoltatore esigente, a volte ruvido, spesso ironico, sempre autentico. Il suo modo diretto di stare dietro al bancone, fatto di consigli illuminanti quanto di prese di posizione nette, comprese le celebri “espulsioni” di clienti, ha contribuito a costruire nel tempo un’identità forte e riconoscibile, trasformando Disco Club in un luogo dove la musica non si consuma, ma si discute, si difende e si vive.

La serata si è aperta nel segno della musica, ma non prima di aver riportato idealmente il pubblico là dove tutto ha avuto origine. Poco prima dell’ingresso dei musicisti, sul palco è stato proiettato un breve video dentro il mondo di Disco Club: una sequenza di testimonianze, citazioni e frammenti di quotidianità capaci di restituire l’atmosfera unica del negozio, fatta di relazioni autentiche. Tra i momenti più emblematici, anche una delle celebri “espulsioni” di un cliente da parte di Gian, episodio accolto con sorrisi e complicità, come si fa con le storie che fanno parte di una mitologia collettiva.


Subito dopo, la musica ha preso la parola. Ad aprire ufficialmente i festeggiamenti è stato Disco Club, brano composto da Beppe Gambetta durante il lock down del 2020 sulle note di Abilene, adattamento che già nel titolo porta con sé una nota di ironia tutta locale: a Genova, la pronuncia di Abilene ha un’inevitabile assonanza con “belin”. Gambetta ha eseguito il brano insieme a Paolo Bonfanti, dando il via all’evento con un momento che è stato insieme omaggio, dichiarazione d’amore e perfetto biglietto da visita per una celebrazione pensata fin dall’inizio come racconto condiviso.

Il palco è rimasto nelle mani di Paolo Bonfanti, che ha proseguito inizialmente in solitaria, confermando ancora una volta la sua cifra fatta di misura, esperienza e profonda conoscenza delle radici musicali. A poco a poco, la sua esibizione si è trasformata in un momento corale con l’ingresso di parte dei Red Wine, fino a lasciare poi spazio alla band al completo.

Rimasti soli sul palco, i Red Wine hanno costruito uno dei passaggi più riconoscibili della serata, proponendo tre cover in versione bluegrass che hanno attraversato epoche e immaginari diversi: Tom Petty, Bob Dylan e Woodstock, brano firmato da Joni Mitchell ma entrato nella memoria collettiva nella versione di Crosby, Stills, Nash & Young. Un omaggio che è stato anche una dichiarazione di poetica, arricchito dai virtuosismi strumentali di Martino Coppo al mandolino e Silvio Ferretti al banjo, capaci di catturare l’attenzione del pubblico con precisione e naturalezza.
Il clima è poi cambiato con l’ingresso dei Motus Laevus, duo formato da Tina Omerzo (tastiere e voce) ed Edmondo Romano (fiati), che ha portato sul palco una world music dalle forti influenze balcaniche. Il tradizionale macedone Brala Jana kapini si è trasformato gradualmente in Hairless Heart dei Genesis, in una fusione sorprendente e intensa che ha rappresentato uno dei momenti emotivamente più forti dell’intera serata.

A tenere insieme i diversi momenti della serata, alternando musica e parole, sono stati Antonio Vivaldi e Danilo Di Termini, chiamati a condurre uno spettacolo costruito come un racconto collettivo. Con interventi misurati e puntuali, i due hanno accompagnato il pubblico attraverso le varie esibizioni, introducendo artisti e letture senza mai sovrapporsi alla musica, ma contribuendo a dare ritmo e coerenza a una scaletta ricca e articolata.

A scandire ulteriormente il ritmo della serata, intervallandosi alle diverse fasi musicali, sono state le letture affidate alla voce dell’attrice Barbara Moselli. Tre passaggi scritti dagli stessi Antonio Vivaldi e Danilo Di Termini, insieme a Marco Sideri, hanno dato forma a una galleria di ritratti e situazioni che chiunque abbia frequentato Disco Club ha potuto riconoscere con immediata complicità.

Dal compratore compulsivo, figura quasi epica nella sua frenesia di accumulo, al jazzofilo, presenza colta e un po’ laterale, raccontato con affettuosa ironia come leggermente emarginato nel microcosmo del negozio, fino ad arrivare alla costruzione del “mito di Gian”, collocato nella storia di Genova in un tempo quasi leggendario, anteriore persino alla costruzione del grattacielo della SIP. Interpretati con misura e intelligenza da Moselli, questi testi hanno funzionato non come semplici intermezzi, ma come vere e proprie chiavi di lettura dell’universo Disco Club, rafforzando il dialogo continuo tra parola, musica e memoria.

Accanto ai testi più strutturati, non sono mancati momenti di puro divertimento legati alle fedeli trasposizioni delle telefonate più strampalate ricevute da Gian nel corso degli anni. Episodi tutti rigorosamente veri, anche quando sembrano sfiorare l’inverosimile, rievocati con precisione e gusto per il dettaglio: dall’inconfondibile apertura con il prolungato «Discocluuuuub…» fino all’inevitabile epilogo, quasi sempre segnato dal secco click della cornetta riagganciata da Gian.
Questi inserti, accolti con risate e riconoscimenti immediati da parte del pubblico, hanno funzionato come brevi sketch teatrali capaci di restituire uno degli aspetti più umani e irresistibili del negozio: quel confine sottile tra pazienza, ironia e insofferenza che ha contribuito, nel tempo, a costruire una cifra stilistica unica e profondamente genovese.

Con l’ingresso sul palco di Federico Sirianni e Max Manfredi, la serata ha trovato uno dei suoi nuclei più riconoscibili: quello della canzone d’autore. Due voci diverse ma complementari, accomunate da un’idea di scrittura esigente e profondamente legata alla parola, presto raggiunte da Edmondo Romano ai fiati e, successivamente, da Aldo De Scalzi alle tastiere, in un crescendo che ha arricchito ulteriormente l’intensità del momento.
Tra i brani eseguiti, hanno lasciato il segno “Il Santo” di Sirianni e “Il treno per Kukuwok” di Manfredi, capaci di catturare l’attenzione del pubblico con la forza delle immagini e la precisione del racconto. Non è mancato anche un omaggio sentito a Leonard Cohen, riferimento dichiarato e naturale per chi concepisce la canzone come spazio di profondità e visione.

Il testimone è poi passato a Roberta Barabino, che con la sua voce vellutata ha portato sul palco un momento di intima delicatezza. Accompagnata da Tristan Martinelli, ha proposto il suo brano “Uovo in bilico”, seguito da un tributo ai Velvet Underground affidato a “Candy Says” e “After Hours”, chiudendo questo segmento con una scelta che ha saputo unire fragilità, eleganza e memoria musicale.

A seguire è stato il turno di Aldo De Scalzi e Pivio, protagonisti di un segmento dedicato alle loro musiche per il cinema, premiate e riconosciute ben oltre i confini cittadini. Sul palco, insieme a loro, una band di quattro musicisti, arricchita dall’apporto di Edmondo Romano ai fiati, ha dato corpo a una serie di brani capaci di restituire tutta la forza evocativa del loro lavoro per le colonne sonore.

Accanto a loro, anche le voci di Armanda De Scalzi, figlia di Vittorio e in dolce attesa, che si è esibita in un brano in spagnolo e di Matteo Merli, impegnato in un brano in genovese che ha rafforzato ulteriormente il legame tra musica, territorio e memoria. Ma il momento emotivamente più intenso è arrivato con l’esecuzione di “Sullo stesso piano”, il brano che Aldo De Scalzi ha dedicato al fratello Vittorio. Un passaggio di grande commozione, condivisa dal pubblico e amplificata dalla partecipazione di Paolo Bonfanti alla chitarra, che ha trasformato l’omaggio in uno dei vertici emotivi dell’intera serata.

Non poteva mancare, nel corso della serata, anche uno spazio dedicato al gioco serio delle classifiche, con la proclamazione del “Disco dei dischi di Disco Club!” votato dai clienti del negozio con tanto di schede elettorali ed urna. Un momento accolto con partecipazione e, com’era prevedibile, anche con qualche sonora contestazione dal pubblico, segno inequivocabile di quanto le passioni musicali restino materia viva e tutt’altro che pacificata. A spuntarla è stato “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, incoronato davanti a “In the Court of the Crimson King” dei King Crimson e a “The Velvet Underground & Nico”. Un verdetto che ha diviso la platea, tra applausi convinti e mugugni ironici, trasformando la classifica in un altro momento di confronto collettivo, perfettamente in linea con lo spirito di Disco Club.

A chiudere il cerchio delle esibizioni è tornato sul palco Beppe Gambetta, presenza chiave della serata e figura capace, da sempre, di muoversi con naturalezza tra mondi diversi. Più che una semplice scaletta, il suo intervento è stato un racconto musicale sospeso tra ironia e consapevolezza, in cui lingue e tradizioni si sono intrecciate senza soluzione di continuità.

Emblematico in questo senso “Un Panino”, brano che nella versione inglese fa dialogare dal paradiso Woody Guthrie e Pete Seeger, mentre in quella italiana affida la voce a Fabrizio De André, intento a osservare e commentare il mondo di oggi dalla sua nuvola. Un gioco di prospettive solo in apparenza leggero, che racchiude invece uno sguardo critico sul presente. Gambetta ha chiuso la serata nel segno di quell’equilibrio tra apertura internazionale e radicamento locale che attraversa tanto la sua musica quanto la storia di Disco Club.

Il gran finale ha richiamato sul palco tutti gli artisti, i presentatori e Giancarlo Balduzzi, per una dedica collettiva che ha sintetizzato alla perfezione lo spirito della serata. “Hey Gian”, versione targata Disco Club di Hey Jude dei Beatles, è diventata un abbraccio musicale condiviso, più che una semplice cover: un momento leggero, ironico e profondamente sentito.

Il coinvolgimento del pubblico, chiamato a partecipare al ritornello in modo spontaneo e corale, ha trasformato la conclusione in una festa vera e propria, chiudendo l’evento nel segno dell’allegria e della complicità.

Uscendo dal teatro, più che la memoria dei singoli brani resta la sensazione di aver assistito a qualcosa di raro: una comunità emozionata che si riconosce attorno alla musica. Disco Club compie sessant’anni restando fedele a un’idea semplice e radicale: ascoltare, discutere, scegliere. È forse questo il segreto della sua longevità, ed è il motivo per cui, ancora oggi, quel bancone continua a essere un punto di incontro e non un confine.