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lunedì 1 dicembre 2025

Nasceva il 1° dicembre del 1951 Jaco Pastorius


Nasceva il 1° dicembre del 1951 Jaco Pastorius: è stato un bassista, compositore e produttore discografico statunitense di jazz, fusion e funk, annoverato tra i più grandi bassisti di tutti i tempi e tra le figure simbolo del genere fusion.


Suonava generalmente un basso elettrico fretless, sul palco aveva anche un basso provvisto di tasti. Nonostante la brevità della sua carriera, ha determinato una rivoluzione totale per quanto riguarda il suo strumento: con il suo stile particolare è riuscito a caratterizzare il basso come solista e ridefinire il ruolo del basso elettrico nella musica, suonando simultaneamente melodie, accordi, armonici ed effetti percussivi. Per numerosi bassisti anche non inerenti al jazz (dal pop al rock) è un importante punto di riferimento.


La sera dell'11 settembre 1987 Pastorius si trovava al Sunrise Musical Theatre di Fort Lauderdale al concerto dell'amico Carlos Santana. Durante l'esibizione, dopo un assolo del suo collega Alphonso Johnson, Pastorius salì sul palco e sollevò la mano del bassista alla maniera degli arbitri di pugilato quando decretano il vincitore di un incontro. Fu però accompagnato all'uscita dagli addetti alla sicurezza, che non lo riconobbero. Pastorius si diresse quindi al Midnight Bottle Club, un locale nella periferia della città.



A causa del suo evidente stato di ebbrezza gli venne negato l'ingresso nel locale da parte del buttafuori esperto di arti marziali Luc Havan, un rifugiato vietnamita. Scoppiò una rissa e quando alle quattro del mattino arrivò la polizia, Jaco era steso a terra privo di sensi con il viso rivolto verso la pozza del suo stesso sangue. Havan, il buttafuori, sostenne di aver spinto Jaco, il quale era caduto battendo la testa. Il verbale della polizia riporta la perdita di conoscenza per un violento trauma cranico.

Fu immediatamente trasportato al Broward County General Medical Center, dove rimase in coma fino al 19 settembre, quando un importante vaso sanguigno del cervello si ruppe causandogli la morte cerebrale. Il 21 settembre i familiari decisero di interrompere il funzionamento dei macchinari che mantenevano il corpo in vita. Il battito durò per altre tre ore, fino alle 21:25, orario in cui venne dichiarato il decesso. Il funerale si tenne il 24 settembre a Fort Lauderdale. Havan venne accusato di percosse aggravate e pagando una cauzione di cinquantamila dollari venne rilasciato. (Wikipedia)



domenica 30 novembre 2025

Simon & Garfunkel: era il 30 novembre 1969

Il 30 novembre 1969, dopo il successo di “The Boxer” e “Bridge Over Troubled Water”, Paul Simon e Art Garfunkel registrano uno special TV, inserendo filmati del funerale di Robert Kennedy, della guerra in Vietnam, l‘inedita “Cuba sì, Nixon no”… troppo per i “bigotti” sponsor e funzionari TV. Morale della favola il programma fu censurato e non venne mandato in onda!

Di tutto un Pop…

Wazza


Simon & Garfunkel, East 58th Street, New York, 1969

Il 30 novembre 1969, Simon & Garfunkel appaiono nel loro primo speciale televisivo. Proiettano le riprese del funerale di Bobby Kennedy e della guerra del Vietnam; tutto questo porterà lo sponsor originale AT&T a dissociarsi dal programma…





"The Wall": era il 30 novembre 1979


Usciva il 30 novembre 1979 "The Wall", uno dei punti più alti raggiunti dai Pink Floyd e dalla musica progressive..
L'idea venne a Roger Waters, dopo una lite con alcuni spettatori durante un tour in Canada.
La voce del bambino che si sente in "Goodbay blue sky" è di Harry Waters, figlio di Roger.
Richard Wright appare in veste di ospite… all'inizio del progetto aveva abbandonato la band a causa dei continui litigi con Waters.
In Italia ha venduto più di un milione di copie.
…di tutto un Pop
Wazza 


Si prova la scena di "Mother" , dal film The Wall

Il 30 novembre 1979 esce  " The Wall ", doppio Lp dei   Pink Floyd . L'uscita discografica assume immediatamente i connotati di evento planetario ed epocale, certamente uno dei più importanti eventi della storia del rock. Il disco del muro, dei mattoni entra nella vita e nell'immaginario di milioni di persone. Un mito che si trasmetterà di generazione in generazione fino ai giorni nostri. A oltre 30 anni dall'uscita si contano circa 30 milioni di copie vendute, numero impressionant e per un disco doppio. I temi contenuti nell'album sono le vicende personali di Roger Waters. "The Wall" è soprattutto un disco dove Waters ha proiettato le numerose inquietudini e problematiche personali.

Contenuti che verranno successivamente rappresentati nella versione cinematografica del film di Alan Parker "The Wall". La storia è di Pink che è una rockstar che durante un massacrante tour sta consumando il rapporto con la moglie. Nelle lunghe giornate passate in solitudine in una anonima stanza di albergo tra un concerto e l'altro, Pink, nel vano tentativo di mettersi in contatto con la moglie, rievoca i fantasmi della sua esistenza, la morte del padre in guerra, l'infanzia difficile stretta tra l'atteggiamento iper-protettivo della madre e l'indottrinamento da parte di professori psicopatici. Simbolicamente le difficoltà e i traumi esistenziali diPink vengono rappresentati come mattoni che vanno a costruire un muro di isolamento che lo allontanano dalla realtà, fino a un completo isolamento. Pink capisce che potrà vincere la propria solitudine in un solo modo: deve analizzare la propria vita. Così si apre un processo mentale che lo porta ad abbattere il muro, eliminando le proprie difese ed esponendosi - nudo - ai propri simili. L'album si chiude con la ballata "Outside The Wall", poesia delicata, dal tono introspettivo, in cui Waters spiega come sia difficile rimanere sempre sani di mente: "Da soli, o in coppia, gli unici che realmente ti amano passeggiano su e giù fuori dal muro.
Alcuni mano nella mano e altri radunati insieme in comitive.
I cuori teneri e gli artisti oppongono resistenza.
E quando ti avranno dato tutto alcuni barcolleranno e cadranno, dopo tutto non è facile, sbattere il tuo cuore contro un muro di pazzi... »
Il brano "Comfortably Numb" è senz'altro il brano dell'album che più di tutti gli altri suscita emozioni profonde.



sabato 29 novembre 2025

Vesuvius - “Twisted tales from warped minds”-Commento di Alberto Sgarlato

 


Vesuvius - “Twisted tales from warped minds”

(ristampa Black Widow Records, 2025) 

di Alberto Sgarlato

 

Nel variegato mondo del “classic rock” in tutte le sue sfumature e sottogeneri, l’etichetta genovese Black Widow Records ha saputo, nei suoi gloriosi 35 anni di attività, conquistare l’attenzione del pubblico focalizzandosi su una nicchia ben precisa: l’anima più cupa, dark, tormentata delle varie correnti prese in esame, che si tratti di prog-rock, psichedelia o del mondo hard rock ed heavy metal. Tutto ciò attraverso un sapiente mix tra produzione e distribuzione di nuove band, pubblicazioni di nuovi lavori firmati da artisti sulla breccia da decenni e preziose riscoperte di “perle” rarissime che diversamente, senza questo certosino lavoro di ricerca filologica, avrebbero rischiato di andare irrimediabilmente perdute.

Ma la band qui presa in esame esce un po’ da questo schema, grazie alla capacità di innestare, sulla base dark-prog/psych facente parte, come detto, del marchio di fabbrica della label, gustose sfumature virtuosistiche di prog barocco, momenti di sanguigno hard-rock, fiabesche rarefazioni acustiche di folk psichedelico e persino un certo istrionismo enfatico e teatrale tipico del glam.

Loro si chiamano Vesuvius, e già il nome potrebbe indurre a equivoci: non stiamo parlando, infatti, né della band canadese dell’Ontario attiva da una dozzina di anni, né di una band statunitense di AOR (rock melodico radiofonico) che ha dato alle stampe solo un paio di titoli tra il 1988 e il 1990, né dei death-metaller californiani prossimi al loro venticinquennale di carriera, né della band di fantasia (di fatto mai esistita) protagonista del film comico “The rocker”.

Ebbene sì, Vesuvius è un nome evidentemente diffuso nel rock e purtroppo ciò può essere motivo di confusione. Questi Vesuvius di cui andiamo a parlare oggi sono una band dal passato veramente oscuro e misterioso: della loro storia si sa soltanto che sono stati fondati nel Nord-Ovest dell’Indiana e che hanno prodotto pochissimo materiale attorno alla metà degli anni ‘70. Nei vari brani i componenti si avvicendavano nel ruolo di cantante solista e ciò contribuiva a dare una variegata e affascinante coloritura timbrica alle singole tracce. La formazione comprendeva Tom Havens (chitarre elettriche e acustiche, voce solista e cori), Kevin Lazar (flauto, sax alto & soprano, voce solista e cori), Joe Shingler (tastiere, voce solista e cori), Roger Hutchins (basso, voce solista e cori) e Greg Shaginaw (batteria e percussioni).

Black Widow Records ristampa oggi il loro unico album dal titolo “Twisted tales from warped minds”, arricchito da svariate bonus tracks e rarità, alcune delle quali contano dei cambi di formazione soprattutto tra i bassisti (a Hutchins subentrano Dominic Povlinsky e poi Joe Maxin) e i chitarristi (Donny Augistino e Rick Scobey, quest’ultimo anche cantante).

E ora strappiamo il sigillo della splendida, orrorifica copertina dallo stile fumettistico (ve li ricordate gli albi firmati da Stan Lee che in Italia uscivano come “I racconti di Zio Tibia”? Ecco, la grafica potrebbe ricordarli parecchio) e sveliamo il contenuto musicale.

Logic of the lunatic” per il sapiente intreccio di chitarre, il cantato di gusto folksy e il flauto “saltellante” potrebbe richiamare alla memoria un cocktail di Jethro Tull e Strawbs, con qualche momento più distorto verso il finale.

Con la brevissima “Miss Mary” ci spostiamo su territori hard-rock nei quali la chitarra, il sax e il Moog incrociano i loro riff costruendo un pauroso muro di suono, sul quale riecheggiano eccellenti armonie vocali.

Ancora un brano breve, sui 3 minuti, “Gazing at reality”, fortemente debitore nei confronti di The Who nel suono della chitarra ad accordi pieni, ma impreziosito da spettacolari virtuosismi di Minimoog e di Hammond che potrebbero richiamare alla mente gli Styx dei primissimi album, quando ancora sperimentavano e flirtavano col prog, prima della graduale deriva verso il pomp-rock da stadio e l’AOR.

Edward the mad grave digger” (letteralmente “il becchino pazzo”), introdotta da un preambolo di una ventina di secondi di rumori tenebrosi, ci riporta al godurioso folk-rock del brano introduttivo, tra chitarre marziali e orchestrazioni tastieristiche molto ricche.

Tales from the lamplight” è invece una traccia che regala prove di grande perizia chitarristica ma, più in generale, di tutta la band, nei giochi di stacchi e di riprese all’unisono gestiti con millimetrica precisione.

Unknown wonder” è una ballad che vede le atmosfere della band farsi più leggiadre e giocose, ma con un retrogusto malinconico. Grandissima, toccante prova di folk-prog psichedelico; quasi una summa dei molti linguaggi ben dominati dalla band.

Cambia tutto con “On the prowl”, al contrario uno degli episodi più hard-rock, tra poderosi riff di chitarra, un cantato rabbioso e un Minimoog letteralmente “urlante”.

In “Shipping through time” i virtuosismi della sezione ritmica, che si prodigano in notevoli cambi di tempo e stop all’unisono, e i ricami del flauto, riportano tutto su territori prog, mentre chitarra e Moog (sempre ben presente) contribuiscono a costruire una solida base per questa traccia che rappresenta uno degli episodi più lunghi di questo disco, con i suoi 6 minuti circa; e infatti attorno alla metà cambia tutto e si trasforma in una fiabesca traccia di prog pastorale, tra chitarre pulite e arpeggiate, soavi armonie vocali e tappeti di “string-machines” (sintetizzatori che emulano suoni di archi orchestrali). Chiude il tutto uno splendido intervento solista di piano elettrico.

Chitarre acustiche, flauti, tappeti, delicati sintetizzatori dal suono squillante sono gli ingredienti di “Dream of youth”, altro brano che spinge verso i territori del folksy-prog pastorale.

Con una solenne introduzione tastieristica la band ci guida per mano verso il “Tristo Mietitore”: si intitola proprio “Grim Reaper” la traccia conclusiva del disco, nella quale i solenni tappeti di tastiere orchestrali sorreggono un gran lavoro di chitarra a tinte decisamente più hard-psych rispetto alle tracce immediatamente precedenti.

Il sapiente e scrupoloso lavoro di ricerca ci consegna, al termine dell’album originale, ben altre 7 bonus-tracks, per un totale così di 18 titoli (comprendenti sia materiale inedito sia versioni differenti o mixaggi alternativi di alcune delle tracce già summenzionate). Lo stile di queste rarities non si discosta molto da quello dell’album, tra sfuriate acide che mostrano grande perizia tecnica di tutti i musicisti coinvolti e momenti più dilatati e pastorali.

Un album che, per le sue molteplici sfaccettature, potrà appagare il gusto di vari ascoltatori di “vintage rock” ma soprattutto un ennesimo, pregevole lavoro di riscoperta da parte di una label attenta alle rarità come Black Widow.




venerdì 28 novembre 2025

Nel ricordo di Joe Vescovi, scomparso il 28 novembre 2014


Un ricordo per Joe Vescovi, che se ne andava il 28 novembre 2014.
Grande musicista con i Trip, Acqua Fragile, Dik Dik, Umberto Tozzi... 
RIP Joe!
Wazza









28 novembre 1974: ultima apparizione live di John Lennon al Madison Square Garden di New York


28 novembre 1974: ultima apparizione live di John Lennon al Madison Square Garden di New York 

Immagini fornite da Wazza



Chi lo avrebbe mai pensato che una scommessa persa con Elton John sarebbe stato il pretesto che avrebbe determinato l’ultima apparizione di John Lennon su di un palco dinanzi ad un pubblico pagante?



I primi mesi del 1974, come del resto gli ultimi del 1973, continuano ad essere vissuti da parte di John Lennon nello sbando più totale: lontano da Yoko Ono, “impegnato” sentimentalmente con la segretaria e collaboratrice May Pang, John continua a trascorrere il suo tempo ubriacandosi nel caos più totale con i compagni di avventura Ringo Starr, Harry Nilsson e Kehit Moon in quello che lo stesso John defìnì “The Lost Weekend”. L’ apice del delirio più assurdo fu raggiunto nella notte del 12 marzo 1974 quando John e Harry Nilsson furono cacciati dal Trobadour Club di Los Angeles per aver interrotto, ubriachi, l’esibizione dei Smothers Brothers.


Non soddisfatto dell’esito delle session di registrazione che avrebbero dato origine all’album “Rock’ n’ Roll” (con la famosa fuga con i nastri registrati da parte del produttore Phil Spector) John si impegna a produrre il decimo album dell’amico Nelsson, “Pussy Cat”. Le session di registrazione di questo album passarono alla storia poiché, per la prima ed ultima volta dallo scioglimento dei Beatles, in ben due occasioni (il 28 ed il 31 marzo 1974) ci fu il ricongiungimento fra John Lennon e Paul McCartney che furono coinvolti un due storiche jam session, per nulla interessanti dal punto di vista musicale, ma che sanciranno il riavvicinamento tra Paul e John dopo i dissidi che seguirono lo scioglimento dei Beatles. Così come per le session di “Rock ‘ n’ Roll” anche le session di “Pussy Cat” sono caratterizzate dal caos più totale, tanto che per portare a termine il progetto John deve abbandonare Los Angeles e tornare a New York. Lo spostamento di residenza determinava anche il ritorno all’ordine nella vita di John: una volta terminata la produzione dell’album di Harry Nelsson, a giugno, Lennon si dedica alla realizzazione di un suo nuovo album, il primo ad essere concepito in assenza di Yoko Ono, a partire dal 1968!!!


La lavorazione al disco parte con un impegno ed una serietà sicuramente maggiori rispetto a quanto fatto registrare nei mesi precedenti. Per una decina di giorni, nel mese di luglio, John si dedica ad un lavoro di pre-produzione negli studi di registrazione dove prova e riprova a suonare, per prendere maggiore confidenza con le canzoni che andranno a costituire il nuovo album. Le registrazioni vere e proprie si svolgeranno nel successivo mese di luglio negli studi Record Plant East con i seguenti musicisti: Klaus Voorman al basso, Jim Keltner alla batteria, Jesse Ed Davis alla chitarra, Arthur Jenkins alle percussioni, Ken Ascher al clarinetto, Nick Hopkins, Bobby Keys al sassofono ed Eddie Mottau alla chitarra acustica. Partecipò alla registrazione di “Whatever Gets You Throu The Night”, suonando il pianoforte ed ai cori, l’amico Elton John. 



Durante le sedute di registrazione i due amici scherzando fecero una scommessa: se “Whatever Gets You Throu The Night” fosse arrivata in vetta alla classifica di vendita dei 45 giri, allora John l’avrebbe dovuta eseguire dal vivo assieme ad Elton John. John accettò di buon gusto la scommessa, pensando che mai e poi mai quel brano avesse potuto conquistare il numero uno delle classifiche di vendita dei 45 di Billboard. Invece contro le più rosee aspettative il disco “Whatever Gets You Throu The Night”/”Beef Jerky” (Apple Records,  uscito in U.S.A. il 23 settembre 1974 su Apple 1874 ed in Inghilterra il 4 ottobre 1974 su Apple R5998) arrivò a conquistare la vetta delle classifiche di vendita dei singoli in U.S.A. per cui il 28 novembre 1974, per mantenere fede alla promessa fatta, un John Lennon nervosissimo salì sul palco assieme alla band di Elton John per quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione dal vivo.


Nel pomeriggio dello stesso giorno, prima del concerto, i musicisti avevano provato il set con una versione molto rauca e tagliente di “I Saw Her Standing There” che fu registrata su nastro. Nello spettacolo serale John eseguì tre canzoni con la Band di Elton John. Iniziò con la sua hit del momento “Whatever Gets You Throu The Night” a cui fece subito seguito il più recente successo di Elton John che altro non era che “Lucy In The Sky Whit Diamonds” scritta a suo tempo da Lennon per l’abum “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles e che Elton John aveva inciso nel 1974 su 45 giri con “One Day At A Time” (sempre di Lennon) come lato B. La breve apparizione di Lennon sul palco del Madison Square Garden si concluse con la canzone “I Saw Her Standing There”, che John presentò in modo curioso: “Voglio ringraziare Elton e i ragazzi per questa serata. Abbiamo provato a pensare ad un numero col quale finire e andarcene, e abbiamo pensato di fare un numero di un mio vecchio fidanzato chiamato Paul. Questa è una canzone che non ho mai cantato, è un vecchio numero dei Beatles e lo conosciamo appena”. Il pubblico impazzì letteralmente. John per tutta la durata della sua breve comparsa masticò gomma americana, cercando di apparire calmo e distaccato. In mezzo al pubblico vi era anche Yoko Ono che potè osservare e constatare la solitudine del suo uomo. Nel backstage dello Show i due s’incontrarono e, se dobbiamo credere alle loro interviste del 1980 (poco prima della morte di John) gettarono il seme della loro riconciliazione.



John era veramente convinto che “Whatever Gets You Throu The Night” non avrebbe mai ottenuto tale successo, e questo viene anche confermato dallo stesso John in una intervista del 1980: “È stato il mio primo numero uno in U.S.A. “Imagine” non era diventata numero 1 (in U.S.A. n° 3 della Billboard Hot 100 chart  nell’ottobre del 1971; n° 6 in Inghilterra nell’ottobre 1975), “Istant karma!” nemmeno  (in U.S.A. n ° 3 della Billboard Hot 100 chart nel febbraio del 1970; in Inghilterra n° 5 della U.K. Singles Chart), tutti dischi che reputo migliori di “Whatever Gets You Throu The Night”.”;

Di fatto “Whatever Gets You Throu The Night” costituisce l’unico brano di John Lennon a raggiungere la vetta delle classifiche americane di vendita dei 45 giri da quando i Beatles si sciolsero nell’aprile del 1970.


Paradossalmente John fu, in ordine cronologico di tempo, l’ultimo dei quattro ex Beatles a raggiungere la vetta delle classifiche di vendita in U.S.A.

Infatti, in precedenza l’avevano già raggiunta George Harrison con “My Sweet Lord” (pubblicata in U.S.A. il 23 novembre 1970 con “Isn’T It A Pitty” come lato B) e con “Give Me Love (Give Me Peace on Earth)”  (pubblicata in U.S.A. su singolo il 7 maggio 1973 con  “Miss O’Dell” come lato B), Paul McCartney con “My Love” (pubblicata in U.S.A. come singolo il 9 aprile  1973 con “The Mess (Live at The Hague)”  come lato B) e con “Band On The Run” (pubblicata in U.S.A. come singolo l’ 8 aprile 1974 con “Nineteen Hundred And Eighty-Five”  come lato B) e Ringo Starr , addirittura con due diverse canzoni: “Photograph” (composta con Harrison e pubblicata come singolo in U.S.A il 24 settembre  1973 con “Down And Out” come lato B) e con “You’ re Sixteen” (composta dagli Sherman Brothers e pubblicata  il 3  dicembre 1973 con “A Devil Woman” come lato B).


Il brano non era assolutamente la prima scelta di Lennon per essere il singolo di lancio dell’album “Walls And Bridges”.  Fu scelto infatti dal vicepresidente della Capitol Records Al Coury, che aveva recentemente collaborato con Paul McCartney.

La fonte di ispirazione per la composizione di questo brano fu uno show televisivo che stava guardando in una tarda notte. May Pang, ex segretaria ed amante di John, dichiarò a Radio Times nel dicembre del 2005: “A John piaceva fare zapping di notte, e prendeva nota di qualsiasi cosa curiosa che ascoltasse in televisione. Una notte stava guardando in TV il celebre pastore evangelista di colore Reverendo Ike, che stava dicendo: “Lasciate che ve lo dica ragazzi, non ha alcuna importanza, Lui vi prenderà comunque durante la notte!”. John si innamorò al primo ascolto di questa frase e se la annotò sul suo taccuino che teneva a portata di mano vicino al letto. Questa fu la genesi di “Whatever Gets You Throu The Night”. 



In precedenza, all’ incisione di “Whatever Gets You Throu The Night” Elton John e John Lennon avevano già collaborato alla registrazione di altro materiale. Sempre nel 1974 Elton John incise “Lucy In The Sky Whit Diamond” (composta da Lennon nel 1967) in cui John compare alla chitarra ed ai cori, sotto lo pseudonimo di Dr. Winston O’Boogie. Questa versione raggiunse il primo posto nella classifica americana di Billbord Hot 100 per due settimane ed il decimo in quella inglese. La canzone fu pubblicata su singolo con lato B “One Day at a Time” che è un altro brano di Lennon (facente parte dell’album “Mind Games”): anche in questo brano John suona la chitarra.


Salendo sul palco del Madison Square Garden annunciato da Elton John la sera del 28 novembre 1974, prima di eseguire la canzone “Whatever Gets You Throu The Night” John lennon prova l’accordatura ed i volumi della sua chitarra accennando il riff di “I Feel Fine” successo dei Beatles del 1964 da lui composto;

Le tre canzoni incise in questo storico evento furono pubblicate in Inghilterra su DJM DJS 10965 nel marzo 198, senza seguire l’ordine esatto di esecuzione durante il concerto. Sul disco, infatti, l’ordine delle tre tracce era il seguente: “I Saw Her Standing There”, “Whatever Gets You Throu The Night” e “Lucy In The Sky Whit Diamonds”.

Paradossalmente l’ultima canzone interpretata dal vivo da John Lennon, “I Saw Her Standing There” fu la prima canzone del Lato A del Long Playing di esordio dei Beatles “Please Please Me” pubblicato in Inghilterra nel 1963.




giovedì 27 novembre 2025

UGO GANGHERI feat. Ernesto Nobili: “Cordofonie di Pace” - Commento di Andrea Pintelli

 


UGO GANGHERI

feat. Ernesto Nobili
“Cordofonie di Pace”

Commento di Andrea Pintelli


E così rimanendo, andiamo. Sì, perché il viaggio non è solo fisicità, ma anche (e soprattutto) interiorità. Esistono opere che permettono, che richiamano, che prevedono tutto ciò, quindi, riescono nell’intento di (tras)portare il fruitore laddove non è mai stato, oppure non è stato in quelle modalità previste dai messaggi in esse contenute. “Cordofonie di Pace” è una di queste. Trattasi dell’ultimo disco di Ugo Gangheri, chitarrista napoletano, anzi profondamente e intimamente napoletano, che ha pensato, composto e suonato le dieci canzoni coinvolte insieme a Ernesto Nobili (anch’esso chitarrista, compositore, oltre che arrangiatore e produttore), con, in aggiunta, un importante parco ospiti di assoluto rilievo ad impreziosirne i messaggi (tra cui il grande Edmondo Romano, anche collaboratore del nostro MAT2020). Ugo è un esploratore delle autenticità, un artigiano dei suoni, un musicista in continua evoluzione; basta dare un’occhiata al suo percorso artistico per rendersene conto: nel 2009 pubblica il suo primo album “Cca' Nun Ce Stanno Liune”, un’opera intensa e profonda che affronta temi sociali e interiori con lirismo e forza narrativa; nel 2012 segue “L'Ammore & l'Arraggia”, un disco che alterna dolcezza e rabbia, restituendo il contrasto emotivo tipico della sua terra e del suo stile; nel 2016 con “’A Via D’O Tiempo” (2016), continua a scavare nei solchi della memoria, firmando un lavoro maturo e introspettivo; nel 2019 sorprende con “Un Biplano a Sei Corde”, il suo primo album interamente strumentale, che apre a una dimensione più visiva, quasi cinematografica, anticipando la sensibilità che troverà piena espressione in questo “Cordofonie di Pace”. Già al fianco di Giobbe Covatta da oltre venticinque anni, ha curato tra l’altro le musiche degli spettacoli teatrali di E. Iacchetti, di S. Sarcinelli, di F. Paolantoni, di S. Friscia e altri.

Il tragitto parte con O’ Scuro: inizia il cammino e si è fin da subito immersi in un mondo altro, dove i sentori mediterranei si possono quasi toccare, talmente intensi riescono ad essere rappresentati e trasmessi. Magia. 0504 è pervasa da ritmi e andamenti onirici, ove le percussioni dettano il passo; un momento di quasi quattro minuti per fluttuare nella parte più nascosta dell’io, per ricevere in dono il sigillo della progressione. Aiem e lo scenario cambia di nuovo: si è al cospetto dell’energia positiva, quella, proprio quella, che permette all’agognata, e sempre più rara, serenità di emergere in tutta la sua importanza. Un abbraccio di luce. Aspettando La Prossima Luna Salire, spirito e nascondiglio del segreto dell’attesa, è pazienza e fiducia, sogno e confessione. Nel mentre la mente vaga e si fa strada fra i colori del presente, tutti i colori, alla ricerca nemmeno troppo implicita della miglioria, ch’è molto più vicina di quel che si possa pensare. Colli Del Tronto, quindi un insieme di luoghi ben definito, si fa non luogo, un tutt’uno, durante il suo sorvolo. Cinematografia fatta a musica, assai emotivamente raffinata. Craco è uno dei picchi evocativi del lotto, grazie anche alla sua originalità. Difficilmente si ha la fortuna di capitare in un giardino tanto ricco di suoni, movenze, profumi, sfumature, in cui ogni angolo si fa sorpresa, in una fusione pressoché unica fra natura, spiritualità e arte. Intensa. Isla Morada è più giocosa, quasi a recuperare la dimensione realistica dell’esistenza, ch’è anche sorriso. Piacevole, rilassata, sostanziale. Un gioiellino dell’oggi. Nadir è contemporaneità nella sua essenza più ricercata, in cui la parola non serve per esprimere quel che si può udire col cuore. In essa si capta il nobile animo di chi l’ha voluta e pensata. Un ritratto ben riuscito di chi esiste senza prevaricare il prossimo, ma, anzi, all’inseguimento della reciproca comprensione. Il Viandante è colui che percorre a piedi le vie, per raggiungere posti anche lontani, spesso con una sottintesa idea di disagio. I suoni che Ugo ed Ernesto hanno pensato e prodotto per tale concetto sono pressoché perfetti per il suo sentire: hanno in sé le difficoltà che la strada devolve, le gioie che gli incontri dedicano, la missione del mai fermarsi per andare e andare e ancora andare. Taco chiude con grazia quanto iniziato nel segno della poesia. Sono gli sguardi di chi possiede il miracolo della trasmissione delle emozioni, negli occhi di chi ne vuole ricevere i racconti, i ricordi e il garbo. Un autentico ritrovo di anime affini. Ugo Gangheri è un mondo, da cercare, trovare, assaporare, fare proprio. Insieme ad Ernesto Nobili, in serendipità, vive tanto desiderio di bellezza quotidiana e “Cordofonie di Pace” ne è il loro testimone.

Abbracci diffusi.


Tracklist:

1.   O’ Scuro

2.   0504

3.   Aiem

4.   Aspettando La Prossima Luna Salire

5.   Colli Del Tronto

6.   Craco

7.   Isla Morada

8.   Nadir

9.   Il Viandante

10.                 Taco

 

Ugo Gangheri – chitarre acustiche, elettriche, classiche, chindolino, chindolone

Ernesto Nobili – chitarre elettriche e acustiche, chitarra baritona, bouzuki, tastiere, basso, programmino, arrangiamenti, produzione artistica

 

Ospiti:

Michele Signore - lira pontiaca, violino

Mario Crispi - duduk

Carletto Di Gennaro - tamburi

Francesco Di Cristofaro - bansuri

Massimo D’Avanzo - kemenche

Edmondo Romano – chalumeau, bansuri, flauti

Giosi Cincotti - pianoforte

Antonio Fraioli – violino

 

Silvia Benelli – cover art

 

https://www.ugogangheri.com


Per contatti col sottoscritto: andrea.pintelli@gmail.com



mercoledì 26 novembre 2025

Gentle Giant: 25 novembre 1973


Su Ciao 2001 del 25 novembre 1973, articolo sui Gentle Giant: si parla del nuovo album uscito ad ottobre, "In A Glass House".
Wazza


In a Glass House dei Gentle Giant è un album che segna un punto di svolta nella carriera di questa band leggendaria del rock progressivo.

È il primo disco registrato dopo l'abbandono di Philip Shulman, uno dei fratelli fondatori. Nonostante questa perdita, la band dimostra una grande capacità di adattamento e di rinnovamento, mantenendo inalterato il suo sound caratteristico. 

Pur mantenendo la complessità e l'originalità che li contraddistinguono, i Gentle Giant mostrano in questo album una maggiore maturità compositiva, con brani più strutturati e meno sperimentali rispetto ai lavori precedenti.

L'album ha un'atmosfera più intima e riflessiva rispetto ai precedenti, con testi che affrontano tematiche più personali e introspettive.

È un ottimo punto di partenza per chi vuole avvicinarsi a questa band, in quanto rappresenta un buon compromesso tra la loro produzione più sperimentale e quella più accessibile.

Le opinioni su questo album sono piuttosto discordanti. Alcuni lo considerano un capolavoro, altri un passo falso rispetto ai precedenti lavori. In ogni caso, è un disco che non lascia indifferenti e che merita di essere ascoltato con attenzione.

La copertina dell'album è molto particolare e rappresenta il mitico gigante ridotto a una maschera da ritagliare e indossare, un'immagine che ben si adatta all'atmosfera introspettiva del disco.



martedì 25 novembre 2025

"Fusion": il debutto meravigliosamente irregolare di Pat and Co

 


Fusion, del duo francese Pat and Co (appena uscito su etichetta La Stanza Nascosta Records) potrebbe a buon diritto, per l’indiscutibile qualità e per le sue caratteristiche, essere una pubblicazione della leggendaria Motown Records, specializzata nel crossover di generi musical e pioniera del c.d. "Motown Sound”.

La fusion di Pat and Co, lontanissima da quella mancanza di vissuto e ambiguità di fondo sia a livello culturale sia a livello sociale, denunciata dal musicologo Renzo Cresti nel saggio Fare musica oggi (Del Bucchia, Viareggio 2011) muove dall’importante consapevolezza che l’umano è un métissage, senza cadute di stile o tonfi nel commerciale.

Claude Lai, diplomato in Pianoforte e sperimentatore dell’arte del campionamento o sampling, è un artista autentico, elegante e anticonformista nella scelta delle soluzioni sonore.

La vocalità e la personalità di Patricia si presterebbero ad una serie infinita di paragoni lusinghieri. Ascoltandola ci viene in mente una frase di Billie Holiday: «Sappiate che questa mia vecchia voce non può salire o scendere più di tanto. È una voce irregolare. Non ho una voce regolare. La mia voce è un casino, chi suona con me deve sapere bene quello che fa».

Ecco, quella di Patricia è una voce meravigliosamente irregolare: il suo portamento vocale, l’emissione improvvisamente troncata, un fraseggio autonomo rispetto alla melodia ne fanno la perfetta sintesi del suono del jazz. 

Nel più genuino spirito della jam-session Patricia riesce a trascendere la dimensione della mera esecuzione, in una continua rielaborazione dei brani.

Uno dei brani più potenti è, a nostro avviso, La dechirure, un pezzo serratissimo, nel quale Patricia crea una stupefacente tensione nell’ascolto.

Di grande impatto anche Power, che sembra uscita da un album dei Portishead (scusate se è poco), mentre l’inarrivabile I am standing- capolavoro di pathos e suggestione- ci induce a pensare che Patricia potrebbe, a suo modo, interpretare anche le ardite parti vocali di Clare Torry in The Great Gig in the Sky.

La sua è infatti una voce che trasforma il limite in possibilità, capace di dispiegare una forza emotiva e una drammaticità che travolgono, letteralmente, l’ascoltatore.

Il “CO” nel nome del duo riflette l’apertura alle collaborazioni artistiche e la potenziale versatilità della line up; il che ci fa ben sperare in merito a future collaborazioni di livello.

Nel frattempo, ci godiamo questo, pregevole, album di debutto.