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giovedì 18 settembre 2025

Goodbay Summer: concerto per le vittime del Bangla Desh il 18 settembre del 1971

Forse non tutti sanno che nel 1971, oltre al mega concerto per il Bangladesh organizzato da George Harrison (tenutosi al Madison Square Garden di New York), il 18 settembre dello stesso anno, nello stadio Ovale di Cricket a Kenninghton -Londra -, ci fu un altro evento più “modesto”.

18 th September 1971, Oval Cricket Ground (Kennington, London, England), Goodbye Summer, A Concert for Bangladesh

Sessantamila persone parteciparono al “Goodbay Summer Festival”, concerto per aiutare le vittime della carestia in Bangladesh, a cui parteciparono The Who, Mott The Hoople, Lindisfarne, Quintessence, Atomic Rooster, Eugene Wallace, America, Grease Band, Cochise & (comperes) Ricky Farr & Jeff Dexter.

Sembra che Paul McCartney abbia declinato l’invito, forse per non fare uno sgarbo all’amico George.

Di tutto un Pop!

Wazza








 

Ricordando Jimi Hendrix che ci lasciava il 18 settembre del 1970

Il 18 settembre 1970 moriva Jimi Hendrix, l’uomo che rivoluzionò il modo di suonare la chitarra. Un’icona del nostro secolo (sotto riportato un aneddoto della sua data romana)

 Per non dimenticare…

Wazza

Roma, 25 maggio 1968.

Jimi Hendrix ha appena jammato al Titan, dopo aver cantato e fatto impallidire tutti al Brancaccio, in un concerto aperto dal balletto di Franco Estill, con un giovanissimo Renato Zero.

Hendrix entra al Piper, va a sedersi vicino a Patty Pravo e Alberto Marozzi. Dopo un po’, chiede di andare a fare un giro per Roma.

I tre procedono verso la Fiat 500 bianca di Patty. Hendrix si mette dietro. Si accende un cannone così grande che la macchina si riempie di fumo. Girano per Roma, senza una meta. Ad un certo punto, polizia e posto di blocco. Stanno cercando Renato Vallanzasca. In alto la paletta. Chiaro: una 500 bianca avvolta da una gigantesca nube di fumo...

Patty Pravo, la ragazza del Piper, tira giù il finestrino, butta fuori la testa con il suo cappello di piume viola e, con aria serafica e innocente, chiede: “Ragazzi, è successo qualcosa?”.

I poliziotti, per fortuna, la riconoscono. È pur sempre Patty Pravo, la ragazza del Piper. Scambiano due parole, poi li fanno passare, senza controllare.

In tutto quel tempo, Hendrix non aveva mai smesso di fumare erba italiana. Seduto sul sedile posteriore di una Fiat 500, con le sue lunghissime gambe che a momenti uscivano dal finestrino.

 








martedì 16 settembre 2025

I Creedence Clearwater Revival nel settembre del 1969

Settembre del 1969 i CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL raggiungono la vetta della classifica UK con il singolo "Bad Moon Rising"

Nel settembre del 1969 i Creedence Clearwater Revival, dopo aver partecipato all’Ed Sullivan Show e dopo aver scalato le classifiche con “Proud Mary”, arrivano alla testa della classifica in UK con il singolo “Bad Moon Rising” confermando il loro momento d’oro.

Di tutto un Pop…

Wazza


Bad Moon Rising

John Fogerty era entusiasta della sua ES-175, con cui registrò Proud Mary, ma quando stavano per iniziare a registrare il loro nuovo album, gli rubarono la chitarra. Invece di comprarne un’altra, Fogerty decise che fosse arrivato il momento di acquistare una Les Paul. Così andò al negozio più vicino e comprò una Custom nera. Il primo pezzo che avrebbe registrato con quella chitarra sarebbe stato Bad Moon Rising, un'altra delle tante canzoni irresistibili della sua carriera, numero uno nelle classifiche britanniche e numero due negli Stati Uniti. Il suo lavoro sulla chitarra ricorda le canzoni di Elvis ai tempi della Sun mentre il resto della band lo segue con un groove perfetto.   

THIS DAY IN 1969 - Proud Mary climbs to number one on the Inter-Collegiate 50 Chart






lunedì 15 settembre 2025

AREA, il 15 settembre: usciva "Arbeit Macht Frei"


Non è colpa mia se la tua realtà, mi costringe a fare guerra all' umanità! 
(Demetrio Stratos)


Usciva il 15 settembre 1973 "Arbeit Macht Frei", primo album degli Area.
Il nome dell’album è preso in prestito dalla scritta che campeggiava sui campi di concentramento nazisti, "Il lavoro rende liberi".
Capolavoro assoluto, fusione tra rock progressivo, jazz-rock, elettronica, avanguardia e influenze medio-orientali (!!!).
Un disco dal grande valore storico e culturale, visto l'anno in cui è uscito, musicisti eccezionali, sopra tutti la straordinaria voce di Demetrio Stratos. “Luglio, agosto settembre nero” diverrà il "manifesto" del gruppo.
Oggi sono tutti filo Area-Stratos, ma non erano di facile fruizione, difficili a volte "capirli" dal vivo, e  furono anche fischiati come ricorda lo stesso Demetrio...


"Grazie veramente... grazie perchè... vi spieghiamo anche perchè GRAZIE... perchè sono due giorni che ci fischiano... a Roma, a Milano... abbiamo fatto Roma e Milano... e pensiamo che questa città forse è quella... che musicalmente è più AVANTI... GRAZIE!"
(Demetrio Stratos al pubblico di Vicenza dopo l'esecuzione del brano "Le labbra del tempo" (5.1.1973)

… di tutto un Pop
Wazza



Il movimentato ‘68 era passato da poco quando si stagliavano allorizzonte gli Anni di Piombo e nel pieno di quel periodo di incredibile fervore, non solo politico, ma anche musicale e artistico, nel 1973 venne alla luce uno dei più grandi capolavori che la musica italiana abbia prodotto: “Arbeit Macht Frei”, album desordio degli Area che, nati solo un anno prima con la formazione che li consacrerà, si apprestavano a diventare uno dei gruppi più significativi del periodo.
In piena corrente
 progressive, ma spaziando in più generi davanguardia, gli Area proposero un sound personale ed elaborato, mai banale e ripetitivo, rifuggendo il concetto di canzone come siamo abituati a concepirla, essenzialmente mettendo nei propri brani la musica come elemento centrale. Inoltre li distingueva la forte matrice politico-sociale presente nei testi, il loro costante tentativo di creare una rivoluzione che prendesse forma inizialmente in ambito culturale, inseguendo il sogno di un mondo nuovo tanto presente nelle menti di quei ragazzi che manifestavano giorno dopo giorno nelle piazze.
Prima ancora di uscire sugli scaffali, il disco fece scalpore per via della copertina su cui campeggiava unopera di Edoardo Sivelli rappresentante delle statuine incatenate con una chiave in mano, immagine di forte allusione politica a cui si aggiunse, oltre al titolo, la provocazione di collocare nel disco una pistola di cartone.

Il progetto si apre con “Luglio, agosto, settembre (nero)”, brano tra i più celebri del gruppo, che si scaglia contro la borghesia benpensante e falsa, figlia di un tempo intento a distruggere le singolarità in favore di una totale omologazione. Un testo in arabo schiude il brano, costituendo un incipit storico, a cui fa seguito la voce inconfondibile di Demetrio Stratos che danza su un sound spaziante dal prog alle canzoni popolari gitane. Ad impreziosire il brano già si aggiunge una sezione ispirata al free-jazz, con il sax di Busnello a fare da padrone sui continui cambi ritmici.

Il secondo brano, title track dell’album, lo apre un ispirato Giulio Capiozzo, batterista del gruppo, con poliritmie ricercate sempre più vicine al jazz che indicano la strada alla melodia principale, seguita nella seconda strofa da un riff di basso e chitarra degno di nota. La voce di Stratos si muove qui da potente a sinuosa
raggiungendo livelli eccezionali su di un brano in continua evoluzione arrestata solo dalla sua conclusione.

“Consapevolezza” è l
emblema della fusione tra progressive e jazz-rock tanto ricercata dal gruppo, con un sound molto vicino agli anni ‘60 a fare da sfondo in un testo che incita sempre più chiaramente alla ribellione contro il sistema. Anche qui è chiara la fusione tra Occidente ed Oriente, soprattutto nellarpeggio crescente su cui si incastrano le improvvisazioni di Fariselli.
Il Lato B dellalbum è affidato al capolavoro “Le labbra del Tempo”, una melodia vocale accompagnata dal sax tiene le fila del brano nella prima parte, a cui si aggiunge una sezione ritmica che riesce a far convivere limprovvisazione di tutti gli strumenti in un continuo crescendo che, senza perdere coesione, ha il suo apice nellimperioso “IO HO” di Stratos, per poi viaggiare senza più freni in una conclusione da brividi.

250 Chilometri da Smirne”è senza dubbio il pezzo più tradizionale del progetto, ma non per questo inferiore agli altri brani in esso contenuti. Un pezzo interamente strumentale in cui, su una rete dal sound free-jazz, gli strumenti si alternano in singoli soli.

Chiude lalbum L’abbattimento dello Zeppelin”, brano di pura sperimentazione in cui Stratos dà degna prova di sè, con un canto a tratti nervoso e sincopato, su continue fughe  strumentali.



Tracce:
Lato A
Luglio, agosto, settembre (nero)
 4:27
Arbeit Macht Frei
 7:56
Consapevolezza
 6:06

Lato B
Le labbra del tempo
 6:00
240 chilometri da Smirne
 5:10
L
abbattimento dello Zeppelin  6:4

Formazione:
Demetrio Stratos - voce, organo Hammond, steel drum
Victor Edouard Busnello -
 sassofono, clarinetto basso
Giulio Capiozzo -
 batteria, percussioni
Yan Patrick Erard Djivas -
 basso elettrico, contrabbasso
Patrizio Fariselli -
 pianoforte, piano elettrico
Paolo Tofani -
 chitarra elettrica, EMS VCS3, flauto

articolo Ciao 2001 "agosto 1973"
1973"


Compie gli anni Gianni Leone

Compie gli anni oggi, 15 settembre… il “divino” Gianni Leone.

Happy birthday con besos Leo!

Wazza


Intervista di Claudio Rogai


Ciao Gianni, stasera avremo il piacere di veder il Balletto di Bronzo in azione. Tu sei l’unico membro della formazione originale, vuoi dirci qualcosa in merito?

Ho riformato il Balletto di Bronzo nel 1995, dopo che mi sono accorto che intorno al gruppo, e in particolare nei confronti dell’album “YS”, si era formato un vero e proprio culto, soprattutto in Giappone. Ho rintracciato gli altri musicisti ma nessuno di loro era interessato, così ho proseguito da solo, audizionando bassisti e batteristi per tutta Roma; non ero alla ricerca di nomi famosi o altisonanti, volevo solo musicisti tecnicamente preparati e allo stesso tempo energici, per tenere il mio passo ci vuole gente giovane! Abbiamo attraversato vari cambi di organico, ma la formazione attuale ritengo sia la migliore dal 1995.

LINO VAIRETTI & GIANNI LEONE Prog Exhibition-ROMA 06-11-2010Foto Enrico Rolandi

Dalla seconda metà degli anni ‘90 in poi abbiamo assistito ad una crescente rivalutazione della scena Rock-progressive, cosa ne pensi?

Personalmente non credo nelle “operazioni nostalgia”, preferisco essere giudicato per quello che faccio adesso, per come suonerò stasera e non quarant’anni fa… Se sei ancora in grado di suonare bene devi dimostrarlo. Ho accettato la sfida di suonare ancora come Balletto di Bronzo perché sapevo di poterla vincere, non per convenienze di moda o di recupero. Un nostro concerto include anche tanta musica che non è strettamente etichettabile come Prog-rock, genere dal quale ero già in fuga a metà anni ‘70, brani nuovi mai registrati in studio ma che suoniamo sempre dal vivo e che rendono l’idea di ciò che sono oggi. Naturalmente senza tradire l’intenzione originale, non stravolgerei mai un brano scritto nel 1973, per rispetto del pubblico che si aspetta “quella” versione.

Il pubblico stesso è diverso, ci sono molti giovani che erano bambini o forse neanche nati durante il periodo d’oro del Progressive…

Esatto, molti ragazzi vengono da me a fine concerto per farsi autografare il CD e mi dicono “che fortuna avete avuto a vivere gli anni ‘70!”. Non erano tutte rose e fiori ma sicuramente c’è del vero, all’epoca c’eravamo noi marziani, capelli lunghi e vestiti stravaganti, e la gente normale che ti guardava con sospetto. Il vantaggio era che se incontravi qualcuno come te lo riconoscevi, sapevi che il suo modo di porsi nei confronti della società era sincero, come il tuo, che portava avanti certe idee di rivoluzione culturale, sessuale, eccetera. Oggi è tutto più semplice, allo stesso tempo più banale.

Keyboardman Gianni Leone Balletto di Bronzo oil.on canvas 40x50 2020https://www.facebook.com/claudio.schirinzi.77

Parliamo del tuo strumento, la tastiera, quali sono stati i tuoi riferimenti in gioventù?

Keith Emerson e Brian Auger sono i più grandi tastieristi della storia. Punto. Ma io non cercavo di imitarli, all’epoca lo facevano tutti, volevo invece trovare una voce mia. E poi i miei miti musicali erano Jimi Hendrix e Frank Zappa! Tutti avevano qualcosa in comune che mi piace moltissimo, ovvero l’aggressività. Solo nell’arte, s’intende!





domenica 14 settembre 2025

I Genesis il 14 settembre del 1969

Genesis - 1969 (Top: Peter Gabriel. Middle-left to right: Tony Banks, Mike Rutherford. Bottom-left to right: Anthony Phillips, Chris Stewart)


La leggenda narra che il 14 settembre 1969 i Genesis tennero il loro primo concerto a pagamento in un cottage nel Surrey, di proprietà dell'insegnante di Peter Gabriel, della Sunday School.

Ormai non erano più solo la band del collage. A marzo dello stesso anno avevano firmato il contratto con la Decca, e fatto uscire il loro primo album "From Genesis to Revelation".

Qualche anno dopo, diventarono uno dei gruppi più innovativi della scena rock-progressive!

… di tutto un Pop…
Wazza

Mike Rutherford, Anthony Phillips, Tony Banks, Peter Gabriel & John Mayhew





sabato 13 settembre 2025

Giles, Giles & Fripp: accadde nel settembre del 1968


Usciva nel settembre del 1968 il primo album di Giles, Giles & Fripp, The Cheerful Insanity of Giles, Giles & Fripp”.

I fratelli Giles conobbero Robert Fripp attraverso la pubblicazione di un annuncio atto alla ricerca di un organista /cantante (!!). Dopo essersi trasferiti a Londra, ottennero un contratto discografico con la DERAM, sotto-etichetta della Decca… l’album vendette 600 copie.

La casa discografica decise di investire su questi tre musicisti, aggiungendo Ian Mc Donald e la sua fidanzata Judy Dyble, e il poeta Pete Sinfield. L'album ebbe all'epoca scarsissimo successo commerciale (stimato attorno alle 600 copie vendute), il che indusse poco dopo Pete Giles a lasciare la band; a rimpiazzarlo, Fripp, McDonald e Mike Giles chiamarono una vecchia conoscenza di Fripp, il bassista/cantante Greg Lakee, pochi mesi dopo, con l'ingresso in pianta stabile del poeta Pete Sinfield (già amico e collaboratore di McDonald) come paroliere e addetto a luci e suoni, nacquero i King Crimson.

Di tutto un Pop…
Wazza




venerdì 12 settembre 2025

Neil Peart: L'artista del ritmo nato il 12 settembre



Il 12 settembre segna una data speciale per i fan del rock progressivo e per tutti gli amanti della batteria: è il giorno in cui avrebbe compiuto gli anni Neil Peart, il leggendario batterista e paroliere dei Rush he ci ha lasciato nel 2020.

Neil Peart è stato un vero e proprio architetto del ritmo. La sua tecnica, una fusione di potenza, precisione e complessità, ha ridefinito il ruolo della batteria nel rock. I suoi assoli, vere e proprie suite musicali, erano capolavori di percussione, capaci di raccontare storie e di esplorare sonorità che andavano ben oltre il semplice accompagnamento. La sua "drum kit", un'enorme e complessa cattedrale di tamburi e piatti, era lo specchio della sua mente creativa, sempre alla ricerca di nuove soluzioni ritmiche.

Ma Peart non si limitava a suonare. Era la "mente" dietro le parole dei Rush. Le sue liriche, spesso ispirate dalla letteratura, dalla filosofia e dalla fantascienza, hanno dato al trio canadese una profondità e un'identità uniche. Brani come "Tom Sawyer", "Limelight" e l'epica "2112" sono permeati dal suo stile narrativo, che affrontava temi universali come l'individualismo, la libertà, la tecnologia e il rapporto tra l'uomo e la società.

Soprannominato "The Professor" per la sua meticolosità e la sua vasta cultura, Neil Peart ha sempre spinto i confini del possibile. Non era solo un musicista, ma un esploratore, un autore di libri di viaggio e un pensatore. Dopo la tragica perdita della figlia e della moglie alla fine degli anni '90, ha intrapreso un lungo viaggio in motocicletta attraverso il Nord America, un'esperienza catartica che ha raccontato nel suo libro "Ghost Rider: Travels on the Healing Road". Questo percorso di dolore e guarigione ha mostrato il lato più umano e vulnerabile dell'uomo dietro il mito.

Buon compleanno, Neil Peart!




giovedì 11 settembre 2025

L’IMPERO DELLE OMBRE - “Oscurità” - Di Andrea Pintelli

 


L’IMPERO DELLE OMBRE - “Oscurità”

Di Andrea Pintelli


L’Impero Delle Ombre, ormai a tutti gli effetti fra i principali gruppi di doom metal a livello europeo (pur se il cantato è in italiano), ha rilasciato il quarto album dal titolo Oscurità. Pubblicato, ovviamente, dalla Black Widow Records (gloria sempre), si pregia di andare ancor più in profondità rispetto ai loro lavori precedenti, o meglio, verso l’abisso delle tenebre, alla ricerca di sonorità sofferte, ispirate, energiche, tetre, incisive. Un insieme di escursioni che i componenti del gruppo hanno effettuato nei meandri dei luoghi più proibiti e oscuri, appunto, della psiche umana per proiettare sé stessi nelle loro composizioni; a noi fruitori il compito di accettare la sfida di rivivere le storie raccontate, sostituendo idealmente i ragazzi della band, qui nella terra della finta luce.

Il Mio Ultimo Viaggio è posta come prima traccia, e titolo più appropriato non potevano partorire. Ambientazione doom “in purezza”, iconica, arcana: otto minuti di lento e inesorabile tragitto verso il riposo eterno, verso il luogo in cui tutti finiremo. Straziante nelle atmosfere, deprimente, ma atrocemente vera.

Si prosegue con Zulphus Et Mercurius, con clavicembalo e flauto ad introdurne i contenuti. Un breve incipit che lascia spazio ad atmosfere doom, ma contaminate da spunti hard rock e da un lirismo che lascia il segno. Il tappeto sonoro tastieristico aiuta moltissimo il risultato finale che il gruppo si è prefissato.

Lacrime nella Pioggia, annunciata da un temporale nefasto e da un inusuale sax, ha andamento maggiormente sostenuto rispetto alle canzoni precedenti, ha tiro ed è straniante quanto basta per solleticare la fantasia dell’ascoltatore. Un ottimo esempio di qualità compositiva mai fine a sé stessa. Sicuro e inquietante l’assolo di chitarra.

Dagon, ispirato dal racconto di H.P. Lovercraft, si avvale di un coro iniziale per definirne il contesto, con al centro la narrazione che, come scattante serpente si insinua nella nostra immaginazione, cercando di approntarla a tanta inattesa e granitica resa sonora. Le tastiere disegnano i profili dei protagonisti come fossero dei miraggi, lontani e impalpabili, ma in realtà vicinissimi.

Macara è doom metal fin dalla prima nota e rende omaggio al cinema horror italiano del secolo scorso, rendendo esplicito uno degli argomenti d’ispirazione de L’Impero Delle Ombre. Possessioni e follia si intersecano per regalare attimi di puro terrore, angoscia e inquietudine. Un film in musica.

La Taverna del Diavolo, ossia quel posto tristemente leggendario (realmente esistito) in cui si organizzavano atrocità e attività deprecabili. Le sonorità del pezzo sono più fosche e minacciose che mai, atte a rappresentare gli affreschi demoniaci apparsi all’interno dello sconvolgente locale.

Il Gatto Nero, chiaro omaggio a E.A. Poe il cui titolo è tratto da una sua narrazione, parte con marcata potenza e folle mistero, dipanandosi in un devoto omaggio all’autore americano. Lodevole il lavoro delle chitarre, che si incrociano, si attraversano, procedono insieme in un apprezzabile scontro/incontro.

Circolo Spiritus Navona 2000 chiude il lavoro ed è un trionfo esoterico di prim’ordine. Siamo ora in pieno italian dark sound, dove il doom si mischia col prog, in cui gli accenti metal si stringono a quelli rock, mentre le esposizioni di diversi cambi di tempo (davvero ben suonati) vanno di pari passo con le tante investigazioni interiori.

Personalmente seguo questa band dalla loro prima uscita discografica, omonima, risalente al 2004, cui fecero seguito “I Compagni di Baal” del 2011 e “Racconti macabri, vol. III” del 2020, e ora questo “Oscurità”, e in essi sono evidenti sia la crescita professionale della band, che l’evoluzione sonora della loro proposta, fermo restando che ognuno brilla di bagliori neri sempre differenti, portando volutamente ombre e raggi deprimenti, e sono da considerare una (importante) storia a sé. Cemetery rock, lo chiamano: io credo sia qualcosa (molto) di più. Abbracci diffusi.


Tracklist:

1)  Il Mio Ultimo Viaggio

2)  Zulphus Et Mercurius

3)  Lacrime nella Pioggia

4)  Dagon

5)  Macara

6)  La Taverna del Diavolo

7)  Il Gatto Nero

8)  Circolo Spiritus Navona 2000

 

Componenti:

GIOVANNI “John Goldfinch” CARDELLINO: VOCE, CORI, INVOCAZIONI

ANDREA CARDELLINO: CHITARRA RITMICA, SOLISTA E ACUSTICA

ROBERTO “Rob” URSINO: CHITARRA RITMICA

VINCENZO “Vinz” CERIOTTI: BASSO

DAVIDE “Dave” CRISTOFOLI: TASTIERE

MICHELE “DrumHead” ERCOLANO: BATTERIA e PERCUSSIONI

 

Ospiti:

Tommy “Sadist” Talamanca: solo di chitarra centrale in “Macara”

Giacomo Petrocchi: Sax tenore in “Lacrime nella pioggia”

Pietro Ragozzi: violino in “Dagon”

Daniela e Giorgia from Busto: cori femminili in “Dagon”

“Lovecraftian choruses of Dagon”: John, Andrea, Rob, Vinz

L’IMPERO DELLE OMBRE

Per contatto col sottoscritto: andrea.pintelli@gmail.com




Orme e Banco: accadeva l'11 settembre del 2011


Si concludeva L'11settembre 2011 il Progressivamente Festival, "creatura" di Guido Bellachioma, con lo straordinario concerto delle Orme + Banco del Mutuo Soccorso tenuto nella splendida location della "Casa del Jazz" a Roma (ex villa della banda della Magliana).

Una serata da "incorniciare", con una risposta di pubblico superiore alle attese, tant’è che poco dopo l'inizio del concerto dovettero aprire le porte, per motivi di ordine pubblico.

Allego la recensione di Damiano Fiamin, che fotografa alla perfezione le emozioni di quell'indimenticabile concerto

Wazza


Live report: Le Orme + Banco del Mutuo Soccorso @ Casa del Jazz - Roma 11/09/2011

articolo a cura di Damiano Fiamin


Le premesse erano ottime, le aspettative elevate: Le Orme e Banco del Mutuo Soccorso, due dei più grandi nomi del progressive rock italiano avrebbero calcato per la prima volta un palco capitolino in occasione della giornata conclusiva del "Progressivamente Festival 2011".  Nella bella cornice della Casa del Jazz di Roma, una villa confiscata a uno dei boss della banda della Magliana e divenuta una dei poli culturali della Capitale, per una settimana si sono susseguiti seminari, workshop e concerti tenuti dai più grandi nomi del progressive nostrano. Evidentemente, la manifestazione ha avuto successo: la giornata di chiusura ha registrato il tutto esaurito; nonostante gli sforzi degli organizzatori, la Questura non ha rilasciato il permesso per aumentare la capienza e non sono pochi coloro che sono stati costretti ad ascoltare il concerto fuori dai cancelli.

In perfetto orario, dopo i rituali discorsi introduttivi da parte dei promotori, salgono sul palco Le Orme. La formazione è quella che ha realizzato “La via della seta”, lultimo album del gruppo, uscito proprio allinizio di questanno. Lo storico batterista del gruppo, Michi dei Rossi, è affiancato da musicisti di tutto rispetto come Jimmy Spitaleri, già cantante dei Metamorfosi, Michele Bon, alle tastiere, Fabio Trentini, basso e chitarra acustica, William Dotto chitarra elettrica e acustica, e Federico Gava al pianoforte. Proprio come accadde per lalbum da studio, è bello notare come la coesistenza di musicisti di generazione diversa riesca in qualche modo a dare una marcia in più al gruppo che si propone al suo pubblico con vigore ed energia. Senza dilungarsi troppo in chiacchiere, Le Orme infilano un pezzo dopo laltro, alternando brani tratti dalla loro ultima fatica a grandi classici, per la gioia dei fan che gli siedono davanti. Dopo una settimana di concerti, lamplificazione della Casa del Jazz è abbondantemente collaudata e non ci sono sbavature degne di nota per quanto riguarda la strumentazione; nei momenti di maggiore concitazione, Gava e il suo pianoforte finiscono leggermente al di sotto degli altri musicisti ma non si arriva mai a una sopraffazione completa di nessuno dei partecipanti. Michi dei Rossi realizza una performance eccellente: nel suo regno di piatti e pelli, governa senza esitazioni, scandisce il tempo e condisce le frasi musicali dei suoi colleghi con brio e professionalità; quando emerge e si avvicina al pubblico, riesce ad accattivarsene la simpatia grazie alla sua auto-ironia, manifestando un genuino piacere per le reazioni del pubblico. Eccellente anche Spitaleri, vero e proprio rocker d'annata, invecchiato nel fisico ma indomito nello spirito e nella voce; nonostante gli anni, riesce a mantenere unottima estensione vocale e calca il palcoscenico con decisione. Meno evidenti per presenza scenica ma comunque di gran livello le esibizioni di Dotto e Trentini: i due chitarristi si profondono in assoli di qualità, arpeggi intricati e accompagnamenti tecnicamente convincenti; saranno pure nuovi acquisti nella formazione de Le Orme ma hanno certo un curriculum di tutto rispetto alle spalle! Il giovane Gava, al pianoforte, è relegato un po’ in disparte su un palcoscenico che, effettivamente, non permette grandi manovre da parte dei musicisti; bravo, comunque, gran simbolo della nuova corrente intrapresa dalla band, in grado di mescolare senza timore vecchio e moderno per ottenere nuove, incredibili, alchimie sonore. Dopo unora abbondante di concerto, Le Orme si accingono al commiato, lasciando la scena al Banco del Mutuo Soccorso.


Il pubblico ha certamente apprezzato l'esibizione delle Orme ma è evidente che l'attesa maggiore è riservata al gruppo di Nocenzi e di Giacomo; non appena i musicisti si affacciano sul palco, scoppia unovazione rumorosa, unacclamazione di gioia per un gruppo che, oltre ad avere il vantaggio di giocare in casa, ha certamente segnato la storia del progressive del nostro paese in maniera indelebile. Nonostante fosse stato annunciato nella presentazione iniziale, è con un certo rammarico che viene registrata lassenza di Rodolfo Maltese; il chitarrista non sale sul palco insieme ai suoi colleghi per motivi di salute. È un Banco in gran spolvero, nonostante tutto, quello che si presenta al pubblico della Casa del Jazz: di Giacomo è in forma straordinaria, la sua voce ha ritrovato tutta lenergia che, nelle recenti esibizioni, pareva essersi affievolita. Nocenzi, come dabitudine, siede tra tastiera e organo, dirigendo il gruppo con impeto quando si tratta di pigiare i tasti neri e bianchi e pacatezza quando, invece, si abbandona a digressioni nostalgiche e riflessioni poetiche; il tastierista, in effetti, prende la parola in più occasioni per raccontare aneddoti e impressioni sul concerto, prendendo spunto dai pezzi appena suonati per lasciarsi andare a considerazioni ad alto rischio di retorica che, grazie alla sua abilità, riescono ad arrivare allo spettatore senza appesantimenti di vacua utilità. Nel periodo di silenzio richiesto al pubblico per commemorare lanniversario dellattacco terroristico subito dagli Stati Uniti dieci anni fa, non c’è alcuna considerazione facile, solo una condanna, sentita e vera, verso qualunque estremismo, qualunque sia la sua natura e la sua motivazione. Il Banco infiamma il pubblico di fan che, ormai, cercano di avvicinarsi quanto più possibile al palco, sedendosi anche a terra pur di stabilire un legame ancora più forte con la band. La scaletta proposta non riserva molte sorprese: la quasi totalità dei brani proviene dai primi tre capolavori del gruppo. Stranamente, non viene suonato uno dei brani che, da sempre, hanno più successo dal vivo: Metamorfosi; lassenza viene ampiamente compensata dallallungamento degli altri brani, tra i virtuosismi vocali del cantante e gli assoli degli strumentisti, si ha limpressione che il gruppo voglia omaggiare la sede del concerto con una deriva jazz che, certamente, ha il potere di esaltare gli astanti. Il basso di Ricci, come sempre, si inerpica in geometrie sonore complesse che ben si accompagnano alla prestazione di Masi alla batteria; la sezione ritmica, che in un gruppo come il Banco rischia di passare in secondo piano, svolge il suo compito in maniera precisa e convincente. Bravi anche Papotto, ai fiati, suoni di sottofondo e rumori vari e Marcheggiani che, con la sua chitarra, si lascia infervorare dallo spirito del rock & roll, producendosi in assoli lanciatissimi e muovendosi sul palco più di tutti gli altri musicisti messi insieme. Graditissima sorpresa verso il finale del concerto: durante la presentazione dei componenti del gruppo, sale sul palco Rodolfo Maltese. Sebbene visibilmente provato, il chitarrista accompagna i suoi compagni nell’esecuzione degli ultimi pezzi, prima che le luci si spengano e il gruppo scompaia dietro le quinte.



Ma le sorprese non sono finite: a dar corpo a una speranza che aleggiava nell’aria, il Banco torna sulla scena accompagnato da Le Orme. I due gruppi al gran completo saturano il palco in una jam session progressive in cui ben tredici musicisti si sono affiancati per la gioia del pubblico, suonando insieme due dei brani più famosi delle discografie dei due gruppi: Uno sguardo verso il cielo e Non mi rompete.

Divertenti e coinvolgenti fino alla fine, entrambi i gruppi hanno riempito, anche fisicamente, la scena in un omaggio agli astanti che non poteva esaurirsi in maniera migliore con il sigillo della cavalcata di chiusura di Non mi rompete.

Il pubblico, ormai, valica qualunque confine ipotetico e si assiepa fino a ridosso della struttura metallica su cui stanno suonando i musicisti, riempiendo ogni spazio utile, quasi a voler abbattere fisicamente il confine che li separa dai musicisti, confine che, a livello spirituale, è già crollato da tempo.

Applausi in piedi da parte di tutti i presenti, vicini e lontani dal palcoscenico, che incitano e gloriano entrambi i gruppi che, sentitamente, ringraziano. Davvero un bel concerto, ottime dimostrazioni di bravura da parte di entrambe le band che hanno saputo dimostrare come sia possibile essere un gruppo di spessore senza per questo perdere il rapporto con i fan. Auto-ironia e capacità di svecchiarsi hanno permesso a questi artisti di passare i quarant’anni di attività e rimanere ancora sulla cresta dell’onda; vista la loro prolificità per quanto riguarda i concerti, consiglio a tutti di andare a vedere il prossimo.