Roma, 6 dicembre 2014, concerto del
Banco in ricordo di Francesco di Giacomo con molti ospiti sul palco. Un
"delitto" non aver pubblicato nulla in audio e video come
testimonianza di questo grande evento!
La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
Roma, 6 dicembre 2014, concerto del
Banco in ricordo di Francesco di Giacomo con molti ospiti sul palco. Un
"delitto" non aver pubblicato nulla in audio e video come
testimonianza di questo grande evento!
Exit - Dove va la tua strada?
(Black
Widow Records, 2025)
Un tesoro ritrovato del rock
triestino anni ’70 tra energia, ambizione e atmosfere autentiche
Dove va la tua strada? degli Exit
è un viaggio nel tempo, un ponte tra il rock triestino degli anni ’70 e l’oggi.
La vicenda di questo LP prende forma nell’estate del 2021, al festival Prog di
Trieste, quando Mauro Degrassi segnala il ritrovamento di un nastro
dimenticato del gruppo triestino del 1973. Il nome Exit riemerge come un
tassello importante della scena musicale locale di quegli anni, dando il via a
una ricerca di informazioni: pochi brani disponibili online e qualche
testimonianza lasciano subito intuire il potenziale inespresso della band,
composta da Euro Cristiani alla batteria, Goran Tavčar alle
chitarre, Paolo Bassi al basso e Ilario Sfecci alla voce.
La band nasce in una Trieste in fermento, tra festival locali
e concerti nei club della città, in un periodo in cui il rock italiano stava
vivendo una stagione di sperimentazione e contaminazioni tra prog, psichedelia
e hard blues. Il background dei musicisti conferisce spessore al suono del
gruppo: Tavčar porta l’esperienza maturata nei Kameleoni, ne "Il
mare" di Gino D’Eliso e nei Boomerang; Bassi, con radici jazz, oggi
continua a suonare alle Canarie; Cristiani ha alle spalle collaborazioni con
Adriano Pappalardo, Umberto Tozzi, Oscar Prudente e Ivano Fossati; Sfecci
completa il quartetto con la voce. Questa combinazione permette agli Exit di
spaziare tra atmosfere diverse, pur mantenendo un sound coerente, immediato e
riconoscibile.
Le tracce registrate nel 1973, in condizioni spartane ma con
grande energia, rivelano un sound che oscilla tra hard blues e rock
progressivo, mostrando una vitalità e una freschezza tipiche della scena
musicale dell’epoca.
Brani come "Ti risvegli" e "Grandi
regni" mostrano una struttura più ambiziosa, con composizioni a
più strati che suggeriscono quante potenzialità la band avrebbe potuto
esprimere con una produzione più attenta. La voce di Sfecci, semplice e
diretta, si integra perfettamente con la tecnica e la sicurezza degli altri
musicisti, contribuendo a un insieme che sprigiona freschezza e autenticità.
Il lavoro di Mauro Degrassi sui nastri è stato
certosino: pulizia, ricostruzione e ottimizzazione tecnica hanno restituito un
suono sorprendentemente nitido e dinamico, a cinquant’anni di distanza. Grazie
alla Black Widow Records, etichetta specializzata, anche, nel riportare
alla luce gruppi italiani degli anni ’70 rimasti inediti, il disco vede
finalmente la luce su vinile, permettendo di godere di sei brani intensi e
variegati che testimoniano la vitalità del prog e del rock triestino di quegli
anni.
Dove va la tua strada? non è solo un disco ritrovato: è una porta aperta su
un’epoca, sulle atmosfere vibranti di una scena musicale in fermento e sul
talento di musicisti che, pur lontani dai riflettori, hanno lasciato un segno
indelebile. Un ascolto che accompagna tra passione, energia e ambizione
compositiva, permettendo di riscoprire un piccolo tesoro nascosto del rock
italiano e di immergersi nelle sfumature di un sound autentico e senza tempo.
Il 4 dicembre 1993 se ne andava Frank Zappa, “genio”
della musica e non solo.
A seguire sono elencate le sue “massime” e le sue “minime”.
Per non dimenticare…
Wazza
LE MASSIME E LE MINIME DI FRANK ZAPPA
MUSICA
I musicisti classici vanno al Conservatorio. Quelli rock, nei garage"
(al programma Nightflite della Radio Svedese, 1980)
INFORMAZIONE E MUSICA
“Informazione non è conoscenza, conoscenza non è saggezza, saggezza non è verità, verità non è bellezza, bellezza non è amore, amore non è musica. La musica è il meglio”. “Senza la musica per decorarlo, il tempo sarebbe solo una noiosa sequela di scadenze produttive e di date in cui pagare le bollette”.
SUL SERIO
È davvero una tragedia quando la gente prende le cose sul serio, è una tale assurdità farlo, in qualsiasi caso. Io ho fatto l'onesto tentativo di non prendere niente sul serio: sto lavorando su questo atteggiamento da quando ho diciott'anni".
(da "No Commercial Potential: The Saga of
Frank Zappa", di David Walley, 1972)
MUSICA CLASSICA
"Ve la spiego io la musica classica, nel caso non lo sappiate: la musica classica è musica scritta da un sacco di tizi morti tanto tempo fa. È un formato musicale, proprio come la musica da alta classifica. Perché un pezzo sia considerato di musica classica deve essere conforme agli standard accademici vigenti quando è stato scritto. Credo che la gente abbia il diritto di divertirsi: nel caso veda differenze rispetto agli standard classici, credo che sia solo un bene, per la sua sanità mentale".
(da "Cocaine Decisions", 1983)
LA VERDURA PREFERITA
"La mia verdura preferita? Il tabacco"
(al Today Show della
NBC, 1993)
NOSTALGIA
“Non è necessario immaginare che saranno il fuoco o il ghiaccio a por fine al mondo. Ci sono altre due possibilità: una è la burocrazia, l’altra la nostalgia”.
ARRANGIAMENTO
“Ogni stecca ripetuta due volte è l’inizio di
un arrangiamento”.
GIORNALISMO MUSICALE
Il giornalismo musicale?
“Buona parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere”. “Scrivere di musica è come ballare di architettura”.
(in un'intervista alla rivista inglese
Mojo,1993)
CATTIVI MAESTRI
“Se passi una vita noiosa e miserabile perché hai ascoltato tua madre, tuo padre, il tuo insegnante, il tuo prete o qualche tizio in TV che ti diceva come farti gli affari tuoi, allora te lo meriti”.
PROGRESSO
“Senza deviazione dalla norma, il progresso non è possibile”.
GOVERNI SOCIALISTI
"Qualsiasi tipo di governo socialista produce brutta arte, inerzia sociale, gente molto triste, ed è più repressivo di qualsiasi altra forma di governo".
(da "My Afternoon
with Frank Zappa", Larry Rogak, 1983)
IGNORANZA
Non siamo troppo severi nei confronti della nostra ignoranza: è quella che ha reso grande l'America!" (al Tonight Show, 1988)
MOTTO
“Il mio motto è: ‘Qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, per un motivo qualsiasi”.
DROGA
“La droga non è cattiva. La droga è un composto
chimico. Il problema è quando quelli che prendono droga la considerano una
licenza per comportarsi come teste di cazzo”.
APPLAUSI
“Sono stanco di suonare davanti a gente che
applaude per il motivo sbagliato”.
BIRRA
“Un Paese è veramente un Paese quando ha una compagnia aerea e una birra. E alla fine è di una bella birra che si ha più bisogno”.
JAZZ
“Il jazz non è morto, ha solo un odore un po’
curioso”.
MONDO
“Nella lotta tra te e il mondo, stai dalla
parte del mondo”.
STUPIDITA'
“Alcuni scienziati affermano che l’idrogeno, proprio perché così abbondante, è il mattone fondamentale dell’universo. Io dico che nell’universo c’è più stupidità che idrogeno, e ha una durata di vita maggiore”.
MAGGIORANZA SILENZIOSA
“A
tutti i fighetti del mondo e a quelli carini voglio dire una cosa: ci sono più
brutti figli di puttana come noi che persone come voi!”.
CIBO
“Dio abbia misericordia degli inglesi per il
cibo orribile che questa gente deve mangiare”.
FRANCIA
“Non esiste l’inferno. Esiste la Francia”.
ROCK AND ROLL
“Il rock’n’roll era quell’orribile specie di hillbilly suonato da Elvis Presley. A me piacevano Howlin’ Wolf e Jimmy Reed e tutto quel genere di roba”
DISCO MUSIC
“La disco music è adatta allo scopo per il
quale è stata progettata. Fornire un accompagnamento ritmico alle attività
delle persone che desiderano avere accesso agli altri per una potenziale futura
attività riproduttiva”.
GROUPIES
“Sono l’avvocato del diavolo. Noi abbiamo le nostre adoratrici che vengono chiamate ‘groupies’. Ragazze che offrono i loro corpi alle rockstar, come si offrirebbe un sacrificio ad un dio”.
CRISTIANESIMO
“L’essenza del cristianesimo ci è illustrata dalla storia del Giardino dell’Eden. Il frutto che era proibito raccogliere si trovava sull’albero della Conoscenza. Il significato è che tutte le sofferenze sono dovute al tuo desiderio di capire com’è che vanno le cose. Saresti potuto rimanere nel Giardino dell’Eden se solo avessi tenuto chiusa quella cazzo di bocca e non avessi fatto alcuna domanda”.
(da un'intervista a Playboy, 1993)
IL ROCK AND ROLL E LA MUSICA SERIA
"Il mondo del rock and roll è del tutto
assurdo, ma quello della musica seria è decisamente peggio" (intervista a
"London Plus", 1984)
NECROLOGIO
Frank Zappa: 'Non me ne frega un cazzo se si ricorderanno di me'.
(intervista a Nationwide,1983)
Il 28 novembre 1978 a Roma un’auto travolge e uccide il trentenne cantante, chitarrista, polistrumentista e autore Federico D’Andrea, uno dei personaggi più interessanti del rock progressivo italiano degli anni Settanta.
La sua esperienza artistica inizia quando, diciottenne di belle speranze lascia la Toscana e se ne va nella capitale. Qui, dopo aver fatto parte degli Ancients di Manuel De Sica, forma il duo dei Myosotis con Stefano Marcucci. Nel 1972 diventa il cantante e chitarrista dei Logan Dwight, una band che, nonostante la sua breve vita, verrà ricordata negli anni successivi come uno snodo importante nello sviluppo della scuola romana di rock progressivo. Dopo lo scioglimento del gruppo inizia a prendere forma l’esperienza, per molti versi straordinaria, dei Libra. Ne sono protagonisti, oltre a lui, il tastierista Sandro Centofanti, già suo fedele compagno nei Logan Dwight, il chitarrista Nicola Di Staso, il bassista Dino Cappa e il batterista David Walter. L’esordio discografico del gruppo avviene nel 1975 con Musica e parole un album particolare perché, in un periodo in cui quasi tutti i gruppi del progressive italiano si rifanno al pop sinfonico inglese, guarda al funky nero d’oltreoceano e al jazz. La band, che poco dopo l’uscita del suo primo disco ha sostituito David Walter con l’ex batterista dei Goblin Walter Martino, ottiene consensi dalla critica e, soprattutto, attira l’attenzione del mercato statunitense.
Federico D’Andrea e i suoi compagni partono, quindi, per una lunga e fortunata tournée negli Stati Uniti al fianco di monumenti del rock di quel periodo come gli Steppenwolf, i Tubes e Frank Zappa. Il momento felice è sottolineato anche da un contratto discografico con la leggendaria etichetta nera Tamla Motown che pubblica, nel 1976, il secondo album del gruppo Winter day’s nightmare.
L’esperienza statunitense non porta fortuna ai Libra che,
quando tornano in Italia, sono già attraversati dalla crisi che sfocerà nello
scioglimento. Federico D’Andrea si dedica sempre più intensamente a progetti
solistici che mettono in evidenza, oltre alla sua voce duttile, un gusto
particolare per le armonizzazioni di taglio jazzistico. La sua morte interrompe
una ricerca appena iniziata. È difficile capire quale sarebbe stata la sua
evoluzione negli anni Ottanta, quel che è certo, però, è che con lui il rock
italiano perde uno dei suoi migliori, anche se meno appariscenti, protagonisti.
Per favore, non devastate la Casa Bianca…
Con questa scherzosa frase il presidente
americano Barack Obama riceve i Led Zeppelin il 2 dicembre 2012 alla Casa Bianca,
per conferire loro il “Kennedy Center Honors” per meriti
artistici.
Quando il gruppo delle Hearts - con Jason Bonham alla batteria - esegue “Starway to Heaven”, Robert Plant non riesce a trattenere le lacrime.
Di tutto un Pop
Wazza
Il 2 dicembre del 2012, l’allora Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ospitò i Led Zeppelin alla Casa Bianca in occasione della trentacinquesima cerimonia dei Kennedy Center Honors. Cinema, televisione, musica e danza furono i protagonisti dell’evento; atto a premiare i massimi esponenti dell’arte dello spettacolo. Tra i premiati di quell’edizione ci furono: il presentatore David Letterman, l’attore Dustin Hoffman, Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones, la ballerina russa Natalia Makarova ed il leggendario bluesman Buddy Guy.
La cerimonia si sviluppò nel corso di
quel week end. I vincitori presero parte ad una cena di gala presieduta da
Barack Obama alla Casa Bianca, alla quale vennero invitati anche il segretario
di Stato Hillary Clinton ed il marito Bill. Il giorno seguente, i
festeggiamenti vennero spostati al Kennedy Center; dove i premiati vennero
omaggiati da star dello spettacolo come: Meryl Streep, Robert De Niro, Morgan
Freeman, Lenny Kravitz, Foo Fighters, Kid Rock, Heart ed altri grandi artisti.
Nel corso della serata, il presidente
degli Stati Uniti, non si è riservato dal fare qualche battuta sugli invitati;
sottolineando la bellezza del momento e, quanto fosse stato per lui importante
riunire persone fondamentali per la storia, non solo del paese, ma soprattutto
della cultura moderna, sullo stesso palco, senza un apparente motivo che li
accomunasse.
LE PAROLE DI BARACK OBAMA PER I LED ZEPPELIN
“Quando i Led Zeppelin hanno
calcato la soglia dei primi palchi al tramonto degli anni ’60, il mondo
dimostrò di non essere ancora pronto a tutta quella potenza. C’era un cantante
che riuscì a far innamorare le platee come nessun altro con il suo carisma e la
sua poderosa voce. Un prodigio della chitarra che mandava il pubblico in visibilio,
un bassista versatile che si sentiva a casa con qualsiasi strumento e un
batterista che suonava come se la sua vita dipendesse solo dalla forza della
sua musica”.
“Sappiamo che la musica dei Led
Zeppelin ha salvato un’intera generazione dalla tirannia dei propri avi; ma ciò
che più mi sconvolge e mi rende orgoglioso, è il fatto che, nonostante John
Bonham sia ormai tragicamente scomparso da molti anni, lo spirito dei Led
Zeppelin continui ad ardere indomito. Ognuno di noi – aggiunge – ricorderà
sicuramente, almeno un momento in cui queste persone hanno toccato la nostra
vita. Questi artisti ci hanno permesso di vedere le cose in modo diverso,
ascoltare in modo differente ed apprezzare tutta la bellezza che la vita offre”.
Il presidente concluse il suo discorso in maniera scherzosa, ringraziando la band per aver reso la serata magnifica con la sua presenza e pregando gli Zeppelin di non distruggere le camere della Casa Bianca come il gruppo era solito fare negli alberghi in cui erano ospiti nel corso dei loro tour all’insegna degli eccessi e della dissolutezza.
Terminato il tour mondiale come “supporter” dei Jethro Tull (con visita alle cascate del Niagara...) i Gentle Giant, il 1° dicembre 1972 pubblicano l’ennesimo capolavoro, “Octopus”.
Di tutto un Pop…
Wazza
Quarto degli undici album di studio pubblicati dal Gigante Gentile, tutti entro la decade 1970/1980, “Octopus” è l’opera più nota, diffusa, celebrata e ricordata qui in Italia, a simbolo del loro momento magico presso di noi, quando se la giocavano alla pari con Pink Floyd, Yes, Emerson Lake & Palmer e Genesis da una parte (tutti in procinto di diventare ricchi e famosi) e Van Der Graaf Generator e King Crimson dall’altra (invece con un futuro, similmente a loro, circoscritto a semplice culto per appassionati e palati fini). Il progressive al tempo tirava da matti e quest’album stava dunque in cima alle classifiche italiane di vendita accanto a quelli, che so, di Lucio Battisti e Deep Purple, mentre la migliore formazione italiana dell’epoca, la Premiata Forneria Marconi, era in sostanza una devota combinazione fra loro ed i King Crimson…
Tempi irripetibili, ma “Octopus” riesce ad avvincere ancor oggi buona parte dell’ala più sofisticata e colta dei consumatori di musica. L’incontro e l’adattamento reciproco fra i sei musicisti che costituiscono la formazione ha dell’incredibile e dell’irripetuto, costituendo la peculiarità indubbia del suono Gentle Giant: avvenne a fine anni sessanta che tre fratelli dediti al rhythm&blues (Phil, Derek e Ray Shulman), ai quali si erano aggregati un chitarrista blues ed un batterista jazz (rispettivamente Gary Green e Martin Smith) sostanzialmente si misero nelle mani di un talentuosissimo compositore e multistrumentista di stretta educazione classica (Kerry Minnear), ben addentro anche alle cose del jazz ma piuttosto a digiuno di pop, rock e simili. Soprattutto, in possesso di preparazione ed inclinazione smisurate per il contrappunto, la poliritmia e la polifonia, applicati indifferentemente a strumenti, percussioni e voci.
Il fenomenale Kerry (in verità aiutato da Ray Shulman, in possesso a sua volta di ottimo talento compositivo) era una fucina di articolate e colte partiture melodiche, armoniche e ritmiche, di buon grado assimilate dai compagni, pur provenienti da contesti assai più popolari e “grezzi”. Questo grazie innanzitutto alla condivisa, generale apertura mentale ma non secondariamente a indispensabili, copiose doti di “orecchio”, fluidità e precisione esecutiva.
La proposta dei Gentle Giant prevedeva la piena azione di ben quattro voci e decine di strumenti (veri strumenti a corda, ad ancia, a tastiera e a percussione, in tempi in cui coi sintetizzatori si era ancora agli inizi e ci si tiravano fuori pochi suoni). Il solo Minnear era in grado di allungare le mani su pianoforte elettrico e acustico, organo, vibrafono e xilofono, mellotron, sintetizzatore, clavicembalo e clavinet, violoncello, flauto, oboe, percussioni… ma in concerto non si faceva scrupoli ad imbracciare anche una Fender Stratocaster, od a sostituire sporadicamente Ray Shulman al basso quando quest’ultimo era alle prese con violino, chitarra o tromba…
Del tutto peculiare anche il discorso sulle voci: arrangiate spesso e volentieri in contrappunto né più né meno come gli strumenti, costituiscono una caratteristica pressoché unica nella storia della popular music occidentale, che ci ha abituati da sempre a parti corali armonizzate grosso modo per terze e quinte, quasi sempre all’unisono o al più organizzate a botta e risposta. Non può che stupire, oggi più che mai, l’immersione nel lussureggiante canto contrappuntistico del Gigante Gentile, dove i cosiddetti “cori” sono spesso e volentieri un trafficato guazzabuglio di temi ad incastro con melodia, accento e divisione in battute autonomi, ciclicamente a convergere in improvvisi “nodi” per poi subito di nuovo divergere, per un effetto finale di sublime dinamica, vero cibo per le orecchie dell’appassionato.
Chiunque si sia limitato a considerare l’inserto operistico architettato da Freddie Mercury nel celebre brano dei Queen “Bohemian Rapsody” come il massimo del virtuosismo corale applicato al rock, dovrebbe rivedere i suoi convincimenti anche solo dopo l’ascolto di “Knots”, quarta traccia di quest’album e ottimo esempio dell’estro e dell’eccellenza vocale della formazione: quattro voci a stratificarsi ed inseguirsi, prima a cappella e poi con preziosi intarsi di xilofono, violino, percussioni, basso, chitarra... Del tutto spettacolari, in particolare, i borbottii ad inseguimento sfocianti in un unico, distensivo, appagante corale; un vero caos organizzato coi quattro cantanti che riescono a tenere ciascuno la propria partitura e giungere a tempo al “nodo” finale, senza fuorviarsi l’uno con l’altro (beninteso, il brano era una delle colonne imprescindibili delle loro esibizioni dal vivo, nelle quali era riproposto pedissequamente e senza alcun problema).
Delle ugole a disposizione del gruppo, quella di Derek Shulman era la principale, la più potente ed estesa (ed anche la meno condizionata, specie sul palco, da contemporanei, complessi impegni strumentali), ma la più bella in assoluto resta quella di Minnear: un timbro che viene da altre epoche, elisabettiano, barocco, sorprendentemente lontano da qualsiasi stereotipo del nostro tempo. Zero swing, zero blues, zero rock, zero jazz in uno stile invece madrigalesco, rinascimentale, delicato e massimamente evocativo.
Il disco si apre proprio colla voce
d’altri tempi del tastierista, che nel prologo della magnifica “The Advent of
Panurge” va a descrivere un’ampia melodia e poi a raddoppiarla, a turno
contrappuntandola o armonizzandola in un tripudio di quarte, seste e none
d’alta scuola. Il brano prende poi consistenza strumentale e va ad appoggiarsi
su di un pianoforte sincopato e veemente che detta la strada, comanda gli
stop&go, stabilisce un’atmosfera carica di tensione e potenza, prende a
duettare con una chitarra altrettanto risoluta. Si sta infatti rappresentando
il gigante Gargantua, di Rabelaisiano estro, ed il suo incontro con il futuro
amico della vita, Panurge. Tra continui cambi d’atmosfera, intarsi di tromba,
pause distensive affidate ai corali, la canzone gode di una ricchezza e
contemporaneamente di un equilibrio immani, il tutto in nemmeno cinque minuti
di durata.
Due sono le ragioni principali del salto di qualità, in termini di riscontro critico e commerciale, fatto al tempo dal Gigante Gentile con questo quarto album: la prima è l’essere riusciti a contenere in otto canzoni di durata normale, eccezionalmente ben arrangiate, varie ed equilibrate, la loro proposta progressive invero sofisticata e impegnativa. La seconda è il cambio di batterista: fra tanti fini dicitori e arzigogolate esecuzioni, l’intuizione di affidarsi ad un solidissimo e pulito pestatore rock (John Weathers, appunto al suo esordio in quest’album e poi con i Giant fino al loro scioglimento), dopo un paio di batteristi molto bravi ma con molta meno “spinta”, fu ottima idea. Weathers rende il tutto molto più lineare, potente, definito, in definitiva meglio “digeribile” ed efficace per il pubblico del rock.
Beh… a riflettere ulteriormente, anche la vistosa copertina giocò un buon ruolo nella diffusione del disco. È indubbiamente una delle opere che meglio si ricordano dell’immaginifico Roger Dean, artista al tempo ricercatissimo dai discografici per dare valore aggiunto alle registrazioni degli artisti sotto contratto. Alle prese, come il solito, con aerografo e pennelli (niente computers al tempo), ma per una volta con una creatura perfettamente terrestre (e non la classica via di mezzo fra mitologia e fantascienza, come a lui d’uso) Roger, ispirato logicamente dal titolo dell’album, tira fuori una magnifica rappresentazione del curioso animaletto provvisto di otto tentacoli, una per ciascuna delle canzoni dell’album. Un grande, Roger Dean… spero per inciso che gli stiano arrivando parecchi diritti d’autore sia per le montagne sospese che per buona parte della flora e fauna aliena, in bella mostra nel kolossal “Avatar”: tutta farina esclusiva del suo sacco, farina degli anni settanta, riciclata in quest’epoca tecnologica ma stitica, nella quale un gruppo geniale, originale, brillante e sofisticato come i Gentle Giant possiamo sognarcelo, o meglio rimpiangerlo mentre ci ascoltiamo per la centesima volta “Octopus”.
Nasceva il 1° dicembre del 1951 Jaco Pastorius: è stato un bassista, compositore e produttore discografico statunitense di jazz, fusion e funk, annoverato tra i più grandi bassisti di tutti i tempi e tra le figure simbolo del genere fusion.
Suonava generalmente un basso elettrico fretless, sul palco aveva anche un basso provvisto di tasti. Nonostante la brevità della sua carriera, ha determinato una rivoluzione totale per quanto riguarda il suo strumento: con il suo stile particolare è riuscito a caratterizzare il basso come solista e ridefinire il ruolo del basso elettrico nella musica, suonando simultaneamente melodie, accordi, armonici ed effetti percussivi. Per numerosi bassisti anche non inerenti al jazz (dal pop al rock) è un importante punto di riferimento.
La sera
dell'11 settembre 1987 Pastorius si trovava al Sunrise Musical Theatre di Fort
Lauderdale al concerto dell'amico Carlos Santana. Durante l'esibizione, dopo un
assolo del suo collega Alphonso Johnson, Pastorius salì sul palco e sollevò la
mano del bassista alla maniera degli arbitri di pugilato quando decretano il
vincitore di un incontro. Fu però accompagnato all'uscita dagli addetti alla
sicurezza, che non lo riconobbero. Pastorius si diresse quindi al Midnight
Bottle Club, un locale nella periferia della città.
A causa
del suo evidente stato di ebbrezza gli venne negato l'ingresso nel locale da
parte del buttafuori esperto di arti marziali Luc Havan, un rifugiato
vietnamita. Scoppiò una rissa e quando alle quattro del mattino arrivò la
polizia, Jaco era steso a terra privo di sensi con il viso rivolto verso la
pozza del suo stesso sangue. Havan, il buttafuori, sostenne di aver spinto
Jaco, il quale era caduto battendo la testa. Il verbale della polizia riporta
la perdita di conoscenza per un violento trauma cranico.
Fu immediatamente trasportato al Broward County General Medical Center, dove rimase in coma fino al 19 settembre, quando un importante vaso sanguigno del cervello si ruppe causandogli la morte cerebrale. Il 21 settembre i familiari decisero di interrompere il funzionamento dei macchinari che mantenevano il corpo in vita. Il battito durò per altre tre ore, fino alle 21:25, orario in cui venne dichiarato il decesso. Il funerale si tenne il 24 settembre a Fort Lauderdale. Havan venne accusato di percosse aggravate e pagando una cauzione di cinquantamila dollari venne rilasciato. (Wikipedia)
Il 30 novembre 1969, dopo il successo di “The Boxer” e “Bridge Over Troubled Water”, Paul Simon e Art Garfunkel registrano uno special TV, inserendo filmati del funerale di Robert Kennedy, della guerra in Vietnam, l‘inedita “Cuba sì, Nixon no”… troppo per i “bigotti” sponsor e funzionari TV. Morale della favola il programma fu censurato e non venne mandato in onda!
Di tutto un Pop…
Wazza
Il 30 novembre 1969, Simon &
Garfunkel appaiono nel loro primo speciale televisivo. Proiettano le riprese
del funerale di Bobby Kennedy e della guerra del Vietnam; tutto questo porterà lo
sponsor originale AT&T a dissociarsi dal programma…