La diramazione del web magazine MAT2020, per una nuova informazione musicale quotidiana
mercoledì 17 dicembre 2025
Era il 17 dicembre del 1976: "Wind and Wuthering" vedeva la luce...
David Bowie: il 17 dicembre 1971 usciva “Hunky Dory
Usciva il 17 dicembre 1971 “Hunky Dory”, quarto album di David Bowie, il disco che l’ha fatto conoscere in tutto il mondo.
Di tutto un Pop!
Wazza
“Hunky Dory” sta per “Tutto OK” ed è
il quarto album di un allora ventitreenne David Robert Jones, in arte Bowie, in
cerca di celebrazione, ma anche di primo affrancamento, dalla Swinging London e
i suoi eroi vicini e lontani (Syd Barrett, Bob Dylan, Iggy Pop, Velvet
Underground…), nonché ancora alle prese con giovanili sfoggi di ambiguità
sessuale (lui che è già padre di famiglia e futuro, ben corrisposto donnaiolo,
altro che la posa da bionda Greta Garbo che ci ammannisce in copertina…). Vi
riuscirà compiutamente nell’album successivo, il suo capolavoro “Ziggy
Stardust”, sdoganando appieno un nuovo genere di rock, il glam, pregno di tutte
le influenze di cui sopra, eppure brillantemente nuovo di zecca.
Ma se quest’opera non gode ancora della compattezza, della personalità, dell’alchimia perfetta di quella che seguirà, risulta essere per certo un’esimia raccolta di canzoni molto varie, quasi uniche nella loro incisiva profondità, talvolta imbellettata di lustrini e talvolta no, coniuganti il pop più esuberante e scintillante ad alcune tematiche urticanti e drammatiche, omaggianti Dylan, Reed, Warhol in una forma che brilla di luce propria e di sostanza musicale che travalicano gli stessi ispiratori, ancora senza un vero approdo autonomo, ma in ogni caso pregna di sostanza musicale e lirica.
La deviazione dal precedente lavoro
“The Man Who Sold The World” è decisa. Le stesse tematiche, spesso e volentieri
claustrofobiche ed oscure in quel disco, gli stessi disagi allora resi
attraverso un chitarrismo elettroacustico asciutto e violento, qui vengono
rivestiti di una irresistibile ed intelligente patina poppettara, che ha nel
pianoforte di un versatile e agile Rick Wakeman lo strumento base. Il
chitarrista di Bowie Mick Ronson, dominante e massimamente rumoroso nel
precedente disco, è qui “retrocesso” ad interventi misurati e secondari, ma si
rifà ampiamente grazie alla sua versatilità e preparazione musicale, curando i
magniloquenti arrangiamenti orchestrali che forniscono un tocco unico e
fondamentale all’opera. Un grande musicista, il compianto e mai abbastanza
riconosciuto Ronson, in grado qui di scrivere partiture di intensità wagneriana
e caricare il disco di decadente e intensa musicalità.
Il nascente gusto glam si avverte già nel timbro alterato della voce di David (filtri equalizzatori…o magari il nastro rallentato in fase di incisione…), assai più acuta e chioccia che nella realtà. E’ già la voce del futuro Ziggy Stardust, alle prese con una scaletta quasi tutta di ballate, per lo più pianistiche, di grande e variegata ispirazione, talché agli episodi molto spumeggianti e teatrali (“Oh You Pretty Things”, “Changes”, però sempre con testi tutt’altro che leggeri, e la cover “Fill Your Heart”) vengono intercalati a rancorose tiritere iperdylaniane (“Song For Bob Dylan” un vero e proprio omaggio, al di là della critica alle ultime cose del menestrello americano) oppure ad abissali sprofondamenti nel malessere personale (“The Bewlay Brothers”, riferita al fratello di Bowie ed ai suoi problemi psichici e allora magari anche a Syd Barrett, tesa e drammatica, vera superstite delle atmosfere del disco precedente… e bellissima).
Ci si stupisce ancora con tante altre e diverse cose, a cominciare da una bella presa in giro di Andy Warhol, con una ballata a lui intitolata e solcata dalla potente chitarra acustica a 12 corde del fido Ronson, e poi lo schizzo newyorkese di “Queen Bitch”, assolutamente a’la Velvet Underground, ma con a stretto seguito la tenerissima “Kooks”, una ninnananna dedicata al figlioletto, nella quale la fantastica voce di David assume convincenti toni paterni e protettivi.
Ed a proposito di voce, vi sono alfine in questo disco due fulgidi capolavori che dispiegano a tutta forza il grande talento esecutivo, oltre che compositivo, dell’artista. Il primo è celeberrimo e s’intitola “Life On Mars?”: molto di diverso che un episodio di fantascienza, è invece una straziante messa in scena di un’ordinaria fuga dalla realtà di una persona, che preferisce rifugiarsi in mondi paralleli e fittizi. La melodia è indimenticabile, Bowie la canta da padreterno, Ronson ci mette un’orchestra bella pesante, che comunque si ferma un attimo prima di risultare ridondante, ed insomma siamo al cospetto di quello che, per parecchia gente, è il suo capolavoro assoluto.
Il secondo gioiello è molto meno noto, ma ugualmente sfavillante. “Quicksand” possiede la perfezione formale e l’intensità ispirativa delle grandi e migliori ballate, con Bowie alle prese con le proprie incertezze e paure, con il suo/nostro inquietante lato oscuro.
Un’opera intensa e scorrevole, leggera e inquietante, ispirata, simbolo di un periodo in cui a Bowie riusciva proprio tutto, stava sbocciando compiutamente a livello artistico e si avviava a non avere rivali nel genere. Lo dimostrerà definitivamente col disco seguente, ma anche quest’album è fra gli indispensabili del rock, manifesto musicale di un artista fuoriclasse, in piena fase di messa a fuoco delle sue voglie e delle sue possibilità.
di Pier Paolo Farina
martedì 16 dicembre 2025
Yes- Rainbow Theatre 14-16 dicembre 1972
Dal 14 al 16 dicembre 1972 gli Yes tengono tre concerti al Raimbow Theatre di Londra, dopo l’uscita di “Close to the Edge” e l’abbandono di Bill Bruford, sostituito da Alan White. Le date del 15 e 16 furono registrate. Fu realizzato un film che usci molti anni dopo, prima in VHS e poi in DVD, intitolato “Yessongs”.
Il gruppo “spalla” erano i “Badger”, capitanati dall’ex tastierista Tony Kaye e da David Foster (ex bassista del gruppo Tomorrow dove suonava anche Jon Anderson...). Anche loro registrarono un album live in quelle date, “One Live Badger”, prodotto dall’amico Jon Anderson.
Di tutto un Pop
Wazza
Badger
Roy
Dyke - drums
Dave
Foster - bass, vocals
Tony
Kaye - keyboards, Mellotron (YES)
Brian
Parrish - electric guitar, vocals
Kim
Gardner - bass
Jackie
Lomax - rhythm guitar, vocals
Paul
Pilnick - lead guitar
Fu registrato al mitico London Rainbow Theatre il 15 e 16
dicembre 1972 durante il tour del non meno leggendario "Close to the
Edge".
Ecco il datasheet:
Dal vivo al Rainbow Theatre, Londra,
Regno Unito
15-16
dicembre 1972 (tour "Close to the Edge")
Regista: Peter Neal
Produttori: Brian Lane e David
Speechley
Editore: Philip Howe
Musicisti:
Jon Anderson - Voce principale e
percussioni
Chris Squire - Basso e cori
Steve Howe - Chitarre e cori
Rick Wakeman - Tastiere,
sintetizzatore, organo
Alan White – Batteria
Il compleanno di Billy Gibbons
Compie gli anni il 16 dicembre, Billy Gibbons, chitarrista, cantante, compositore, noto soprattutto per essere la chitarra solista dei ZZ Top, micidiale trio texano, rock-blues...
Un predestinato: nel 1969 Hendrix, intuendo la sua bravura, gli regalò la chitarra; un'altra se la fece costruire con il legno della casa di Muddy Waters perché, a suo dire, era "impregnata di blues"!
Spesso appare come attore: oltre che su "Ritorno al futuro III", ha partecipato ad alcuni episodi del telefim "Bones".
Se non avete la "puzza sotto al naso" ascoltatelo, è veramente un gran chitarrista.
Happy Birthday Billy!
Wazza
lunedì 15 dicembre 2025
domenica 14 dicembre 2025
Il compleanno di Pierluigi Calderoni
sabato 13 dicembre 2025
Nuova Idea: era il 13 dicembre 1971
Il 13 dicembre 1971 Ciao 2001 dedica la copertina al gruppo genovese Nuova Idea.
Sempre nello stesso anno il chitarrista Marco Zoccheddu lascia la band per formare gli Osage Tribe.
venerdì 12 dicembre 2025
ELP: Montreal, 9 dicembre 1973 (By kind permission of Wazza)
Una Serata nella storia del Prog:
ELP a Montreal, 9 dicembre 1973
Immaginiamo di essere all'interno del Montreal Forum
la sera del 9 dicembre 1973. Non un concerto qualunque, ma il fulcro del
leggendario Brain Salad Surgery Tour degli Emerson, Lake & Palmer (ELP), un tour che
molti considerano il culmine assoluto della loro carriera.
Gli ELP, all'epoca, erano la band progressive rock più
sfarzosa e tecnologicamente avanzata del mondo. Il palco era uno spettacolo a
sé stante, e la musica che ne scaturiva era un torrente di virtuosismo.
Questa particolare performance, pur essendo tecnicamente una
registrazione "non ufficiale" (un bootleg), è incredibilmente cara ai
fan perché cattura la band al massimo della sua potenza, spesso con una qualità
sonora sorprendentemente nitida.
Quella sera, Keith Emerson si esibì in modo
mozzafiato, affrontando le sue tastiere e sintetizzatori con l'energia di un
direttore d'orchestra impazzito, soprattutto durante l'epica suite di venti
minuti, "Karn Evil 9". L'esecuzione di Montreal di questa
traccia, con la sua iniezione di fantascienza distopica, è considerata una
delle migliori mai registrate dal vivo.
Greg Lake, il cuore melodico del trio, forniva l'ancora necessaria tra la complessità di Emerson e il dinamismo di Carl Palmer. Durante il concerto, si prendeva i suoi momenti di tranquillità, scambiando le immense pile di strumenti elettronici con una chitarra acustica per emozionare il pubblico con ballate come "Lucky Man", offrendo un gradito respiro prima che la tempesta prog riprendesse.
Infine, Carl Palmer cementava il tutto con una potenza e una precisione quasi meccaniche, regalando al pubblico l'immancabile e travolgente assolo di batteria, a dimostrazione che gli ELP non erano solo composizione cerebrale, ma anche puro rock and roll muscolare.
Insomma, il concerto di Montreal del 1973 è una finestra sonora su una band al culmine del proprio successo e della propria ambizione creativa, un must per chiunque voglia capire il vero significato del rock progressivo di quell'epoca.
giovedì 11 dicembre 2025
Generazioni in rivolta: il cammino che portò a Woodstock, di Antonella Oliveri
La strada verso Woodstock
Di Antonella Oliveri
Il cambiamento è una caratteristica specifica della vita
sociale e, se è vero che tutte le società sono soggette a dinamiche di
mutamento in qualunque momento della loro storia, è altrettanto vero che esiste
un nesso molto stretto tra le generazioni e i processi di cambiamento. Per
comprendere quale processo di mutamento sociale abbia portato al festival di
Woodstock e ai “three days of peace and music” dell’agosto 1969, è necessario
partire dalla generazione che ne è stata protagonista.
Quando si parla di generazioni occorre distinguere tra quelle
in senso biologico e demografico, definite coorti, e il concetto di generazioni
intese come insieme di coetanei che condividono determinate esperienze
storiche, le quali si traducono nella nascita di particolari stili di pensiero,
nello sviluppo di uno specifico lessico generazionale e in un insieme di
esperienze e valori condivisi. Su questo significato di generazione si
concentra l’opera del sociologo Karl Mannheim, che affronta l’argomento nel
saggio Il problema delle generazioni (1928). Per Mannheim il dato
biologico, cioè nascere, crescere e invecchiare, non è sufficiente per
un’analisi: essa può essere condotta solo prestando attenzione ai processi
storico-sociali entro i quali le generazioni nascono e si succedono. Egli individua
tre strutture fondamentali: la collocazione generazionale, che riguarda
individui che hanno condiviso lo stesso periodo storico e fatto esperienza
degli stessi eventi; il legame generazionale, che indica la possibilità di
partecipare attivamente ai destini e ai problemi comuni del proprio tempo; e
l’unità di generazione, che si manifesta come risposta unitaria, determinata da
affinità e esperienze condivise. Si è parte di una stessa generazione perché si
partecipa a un destino comune: “Ogni generazione condivide il destino del
proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro”.
La generazione che ha condiviso il grande mutamento sociale
degli anni Sessanta e Settanta, opponendosi alla cultura e al sistema dominante
e animata da un forte spirito di contestazione, è quella dei Baby Boomer, i
nati tra il 1946 e il 1964. In particolare, i nati nella prima decade, dal 1946
al 1955, furono protagonisti delle grandi trasformazioni sociali e culturali di
quegli anni. Essi rappresentavano una generazione numerosissima, frutto del
boom demografico seguito alla fine della guerra, e beneficiarono anche del boom
economico che garantì alle famiglie maggiori possibilità di istruzione per i
figli. A metà degli anni Sessanta il numero di giovani studenti con accesso
all’università era molto più elevato rispetto alle generazioni precedenti, e
ciò contribuì a plasmare un contesto fertile per i movimenti giovanili.
Negli Stati Uniti il catalizzatore più potente fu la Guerra
del Vietnam, che con il coinvolgimento militare e la leva obbligatoria alimentò
un grande movimento pacifista. Le università divennero il fulcro delle
proteste, fino a episodi drammatici come il massacro della Kent State
University nel 1970, quando la Guardia Nazionale sparò sugli studenti.
Parallelamente si svilupparono i movimenti per i diritti civili, che portarono
alla nascita di gruppi radicali come il Black Panther Party, oltre la non-violenza
di Martin Luther King Jr., e la controcultura hippy, il Flower Power, che
rifiutava i valori borghesi e il consumismo. La musica divenne il linguaggio
comune di questa cultura, il centro intorno al quale si muoveva la generazione,
con eventi simbolo come Woodstock. Nel negare i valori dei genitori, gli hippy
proponevano comunitarismo, vita in comune lontana dai modelli familiari
convenzionali, spiritualità con interesse per filosofie orientali e
ambientalismo, liberazione sessuale favorita dalla diffusione della pillola
anticoncezionale introdotta nel 1961, e psichedelia, con l’uso di droghe come
l’LSD per espandere la coscienza e accompagnare il rock psichedelico.
In Gran Bretagna la contestazione giovanile si manifestò
nella rivoluzione culturale della Swinging London, che passava dalla musica dei
Beatles e dei Rolling Stones alla moda di Mary Quant e alla rivoluzione
sessuale. Nel resto d’Europa il Maggio francese del 1968 fu animato da spirito
antiautoritario e opposizione al Vietnam, mentre la Primavera di Praga e la
successiva invasione della Cecoslovacchia alimentarono la disillusione verso il
modello sovietico.
L’uso di sostanze psichedeliche ebbe grande rilevanza in
questa esplorazione di nuovi modelli. L’LSD fu utilizzato per amplificare la
creatività e molti artisti, scrittori e musicisti ne fecero esperienza. Nacque
così il rock psichedelico, con i Grateful Dead, i Pink Floyd, Jimi Hendrix, i
Doors, i Jefferson Airplane e persino i Beatles. Negli Stati Uniti Ken Kesey,
autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo, fondò i Merry Pranksters e
diffuse l’LSD attraverso viaggi e performance improvvisate. A New York conobbe
Timothy Leary, psicologo di Harvard, che divenne figura centrale nella
diffusione della sostanza. Leary, convinto che gli psichedelici potessero
elevare il livello spirituale degli americani, fondò una comunità a Millbrook e
ordinò grandi quantità di LSD e psilocibina dalla Sandoz. Quando nel 1965 le
spedizioni furono interrotte, la produzione passò a laboratori clandestini che
sintetizzarono milioni di dosi di “Orange Sunshine”. San Francisco divenne il
centro della diffusione, con matrimoni hippy celebrati nei parchi e l’LSD come
sacramento.
Le esperienze transpersonali indotte dagli acidi mettevano
gli individui in connessione con gli altri, con la natura e con gli animali,
rendendo inaccettabile l’omicidio e alimentando le proteste contro la guerra.
Centinaia di migliaia di dosi furono distribuite persino ai soldati al fronte.
Le manifestazioni pacifiste si intensificarono e l’LSD divenne simbolo dei
movimenti di protesta. Nel 1967 la Summer of Love portò a San Francisco
migliaia di giovani in cerca di pace e libertà. Il presidente Nixon arrivò a
definire Leary “l’uomo più pericoloso d’America” e lo condannò a vent’anni di
carcere per possesso di marijuana.
Nonostante la messa al bando dell’LSD nel 1966, la diffusione non si arrestò. Woodstock fu il luogo in cui tutti questi filoni si incontrarono: mezzo milione di giovani vissero tre giorni in una vera e propria utopia di pace, amore e libertà, dimostrando che un’alternativa, per quanto effimera, era comunque possibile.
Il compleanno di Chester Thompson
Compie gli anni oggi, 11 dicembre, Chester Thompson, americano.




























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