Paolo Siani ci regala un altra puntata e un suo pensiero che sicuramente alimenterà qualche sana discussione...
Mi capita spesso, come a tutti
voi, di andare a concerti di vario genere; pop, rock, prog, jazz ecc. Forse è
una questione di età (la mia), ma ogni volta, alla fine di ogni concerto, mi
chiedo, al di là della performance cui ho appena assistito, cosa mi è mancato. Negli
anni pioneristici in cui nacquero i primi ‘’concerti’’ dei gruppi, sdoganati
finalmente dalle sale da ballo impersonali, nelle quali i musicisti erano poco
più di tappezzeria, la cosa che allora era fondamentale era la personalità dei
personaggi che si agitavano sul palco; a parte gli estremismi fiammeggianti Hendrixiani
e le distruzioni globali di Pete Townshend e soci, ogni band, anche agli
esordi, esprimeva un grandissima energia, non solo attraverso la propria
musica, ma anche con idee sceniche e movimenti sincronizzati che ne esaltavano
la personalità. Abiti o meglio look ‘improbabili’ (come si direbbe oggi)
completavano il quadro in una sorta di happening ogni volta rinnovato. Il suono
il più delle volte era straziante nel senso che i mezzi tecnici non erano
sicuramente al passo con i tempi e la distorsione degli ampli e di quelli che
allora si chiamavano ‘’impianti voce’’, gestiti dal palco direttamente dai
musicisti, erano nell’ordine del 40/50% del boato prodotto globalmente; i
colori degli abiti e i movimenti scenici di cui sopra non permettevano al
pubblico di distrarsi che era quindi coinvolto dalla musica in maniera totale;
non c’erano quasi mai fari o effetti luminosi che implementassero la
performance, ma nessuno ne sentiva la mancanza. I chitarristi avevano al
massimo a disposizione un paio di pedali gracchianti (distorsore e wha),
amplificati da mobili pesantissimi ad 8 ohm, con potenze sul palco dichiarate
dai costruttori dai 100 ai 200w musicali (!); le chitarre acustiche non si
riuscivano in nessun modo ad amplificare con un microfono, perché
immancabilmente innescavano un larsen insostenibile e le ovation e simili non esistevano - i bassisti facevano
i conti con altoparlanti enormi probabilmente di piombo (visto il peso) che
ogni due per tre si rompevano, gli ‘organisti’ viaggiavano con i suonini sibilanti
dei Farfisa o dei Vox Continental con un ‘’leslie’’ di marca sconosciuta, i
batteristi avevano un hardware traballante senza amplificazione, ma soprattutto
non esistevano i monitors sul palco per cui il più delle volte non si riusciva
a sentire cosa usciva dalla propria bocca perché si era coperti dal volume di fuoco sul palco.
Oggi la situazione si è
ribaltata, la tecnologia è formidabile, la fedeltà dei suoni simile, se non
migliore, di quella che si ascolta dal proprio impianto casalingo, le luci le
hanno anche i debuttanti, visto che si avvalgono di services che offrono per
poco tutto quello che serve e anche di più. Basi registrate, sincronizzate dal
vivo da batteristi trasformati ormai in metronomi umani, si mischiano al suono della
band con un risultato sonoro
straordinario, tastiere che riproducono suoni solidi e puliti, ampli combo
piccoli leggeri ma efficacissimi, per i chitarristi pedaliere infinite,
drummers con tamburi perfettamente intonati e con un suono profondo, monitors
mixer da palco, FOH, arrays e chi più ne ha più ne metta. Manca tutto il resto
però… dai 45/60 minuti di un concerto degli anni ’70 siamo arrivati alle
due/tre ore di durata, l’impianto scenico è affidato interamente al light
designer attraverso fari a testa rotante (led) con fasci coloratissimi e
precisi come una lama di rasoio, proiettori, laser, maxischermi e quant’altro
che illuminano i musicisti; nel 98% dei casi però questi sono statuine di cera; esecutori
perfetti e intonati del repertorio, ma (secondo la mia opinione) senza verve,
senza invenzione… un brano dopo l’altro fino ad arrivare a quello in cui si incita il pubblico ad alzare le
mani, oppure ‘’say yeah’’ ‘’, say oh oh oh’’, o ancora far cantare il
pubblico nei ritornelli più conosciuti: c’è un appiattimento, un conformismo
imbarazzante. Certo le orecchie escono meno sanguinanti rispetto ai
tempi passati, ma forse anche il cuore, l’anima rimangono privi di emozioni
forti, indimenticabili. Spero davvero che le nuove generazioni si accorgano che
la perfezione del suono e dell’esecuzione sono solo una piccola parte di ciò
che serve per costruire un ‘’live’’, Auguri!
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