Inizia oggi una nuova rubrica ideata da Paolo Siani,
che ringraziamo per l’impegno e la collaborazione.
Collezionisti di cose inutili, giocatori di puzzles,
ovvero l’involuzione della specie.Dopo gli anni 80 che videro la nascita delle
prime macchine digitali (drumbox, samplers ecc.) in cui l’industria della
musica si era dedicata alla ricerca di sonorità nuove e per certi versi
rivoluzionarie (penso per esempio al favoloso Fairlight CMI o alla Linndrum),
negli ultimi 10 anni il mercato della strumentazione è totalmente cambiato.
Nulla da dire sulle ragioni che hanno generato questi enormi cambiamenti, ognuno
fa legittimamente il proprio mestiere, ma se negli 80 il musicista era riuscito
a liberarsi dai limiti enormi imposti dal
‘’ping-pong’’ con il Revox per registrare una nuova canzone e quindi
ad ottenere considerevoli vantaggi in termini qualitativi, negli ultimi anni il
mestiere dello scrivere una canzone e registrarla è diventato quasi
inaccessibile. Oggi ogni musicista possiede uno strumentario che negli anni 70
non si trovava neanche negli studi più rinomati al mondo, i suoni sono solidi e
veri, la fedeltà assoluta e la dinamica migliore di quella dei Pink Floyd del
passato. Ma non è questo il punto; con la continua messa sul mercato di
strumenti virtuali con migliaia di ottimi preset, di virtual drums con minimo
300 rullanti tra cui scegliere, orchestre da gestire, fiati da programmare,
chitarre e bassi da amplificare (in modo virtuale ovviamente), il tempo
dedicato allo scrolling di tutti questi miliardi di suoni fa perdere al
compositore la continuità con l’idea cui sta lavorando e il risultato agli
occhi di tutti, anzi alle orecchie, è un enorme appiattimento delle nuove
produzioni che suonano in maniera straordinaria ma che sono prive di contenuti
‘emozionali’. Siamo diventati collezionisti di virtual instruments, soundbanks
e di plug-ins sempre più numerosi e potenti, abbiamo a disposizione infinite
tracce da registrare, preamps microfonici costosissimi e da paura, per
partorire ‘topolini musicali’. Ripeto il mercato fa il suo mestiere ma credo
che i musicisti/compositori dovrebbero ritrovare il coraggio a questo punto di
togliere più che di aggiungere suoni/effetti e scegliere di seguire un’idea
(l’ispirazione) spogliandola di ogni orpello inutile; forse in questo modo ci
si concentrerebbe di più sull’armonia, sulla melodia, su una parola del testo,
sulla composizione nella sua reale sostanza e non sul ‘vestito’ che, solo in
seguito decideremo di darle. Il tempo che dedichiamo alla scelta di
un suono è enormemente superiore a quella che ultimamente si dedica ai
contenuti, fino a trasformarci in semplici giocatori di
puzzles togliendo alla creatività e alla forza della semplicità
tutto lo spazio che meritano. Concentrarsi su un’idea e rinunciare a ridondanti
orchestre sinfoniche, a batterie martellanti e assolutamente ‘’in griglia’’
anche quando non ce ne sarebbe bisogno, è una strada da ri-percorrere con
semplicità ed onestà intellettuale utile se non altro a pesare il reale valore
delle nostre idee. Recuperare la voglia di uscire dagli schemi, di andare
controcorrente, dovrebbe ritornare ad essere lo stimolo più importante di ogni
musicista: smetterla di mettere insieme e al meglio infinite collezioni di
suoni, ma fare arte, cioè cercare il modo di trasmettere emozioni.
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