Sentivo la radio in macchina qualche sera fa, sulla via di
casa. Il tempo era grigio e appiccicoso e con lui il mio umore e la radio non
mi aiutava. Programma noioso, musica noiosa. Ma forse non era colpa della
radio, forse ero io ad essere noioso. Comunque l’irrequietezza del mio cervello
ha fatto sì che l’indice della mia mano destra schiacciasse il pulsante per
passare da radio a lettore CD. Allora ho iniziato a ridere, felice. Ero un
bambino che era stato sgridato e a cui subito dopo era stata data la caramella
più buona. L’intro di Sweet Jane
versione Rock’n’Roll Animal riempiva
l’abitacolo della mia Panda di coriandoli, fuochi d’artificio e zucchero
filato. Aveva preso il grigio del mio umore e l’aveva dipinto dei mille colori
della felicità. È una cosa che non dimenticherò quella mia gioia inattesa, quel
mio ridere senza controllo. Ho sempre goduto ad ascoltare Lou Reed, ma quella
sera ridevo proprio. Ancora una volta il caro Lou dava lezione d’emozione.
Quella Sweet Jane lì, l’avrò sentita
un milione di volte e ho vissuto un milione di emozioni diverse, perché il
genio è così, sempre meravigliosamente uguale nella sua diversità, come l’alba,
incoerente come un tondo con gli angoli, trasparente come un sogno,
irriproducibile come un orgasmo, inarrivabile, come la sua genialità. E Reed è
un fottuto genio! Come i suoi concerti, dove l’unica cosa uguale era lui, ma le
canzoni le reinventava tutte le volte e ti ritrovavi immerso in quelle sonorità
che la sua mente rielaborava e poi proiettava sul mondo e dopo un po’ ti
ritrovavi a pensare che I’m Waiting for
the Man o New York Telephone
Conversation o Perfect Day o Lady Day o Walk on the Wild Side o Rock
& Roll o tutto quello che lui suonava dal vivo, avresti sempre voluto
ascoltarlo in quella versione e lui ora la stava suonando così proprio per te,
perché lo sapeva che volevi sentirla fatta così, perché lui non suona per
tutti, lui suona per ognuno. Lui dal vivo non riproduce le sue canzoni, lui le
rivive, ne alimenta il fuoco che le rende dei capolavori. Dal vivo. Già. Sì lo
so, Lou è morto, qualche giorno dopo avermi fatto ridere come uno scemo da solo,
nella mia macchina. Ma non chiedetemi di scrivere Lou Reed era o Lou Reed è stato,
perché Lou Reed è, o al massimo sarà. La morte era solo l’ultimo
ostacolo che lo separava dall’immortalità. Lo sento e lo vedo dappertutto. Nel
rumore del vento che si infila tra le montagne, tra le nuvole che si rincorrono
nell’azzurro del cielo, tra le tristi lacrime di pioggia che quel cielo, prima
allegro, ora piange, tra le rughe del volto di un vecchio, solchi di tempo
vissuto, nel modo in cui una donna cammina, o parla, nello scintillare del sole
sul mare, che ti abbaglia con la sua meraviglia, lasciando soltanto trasparire,
con l’ironia del bello, quello che nasconde dietro la sua maschera blu. Lou
Reed è vivo perché è parte della vita, perché è un elemento naturale, come
l’aria, l’acqua, come le sue canzoni; storie di chi vive ai margini, o tra le
stelle, storie in cui chiunque potrebbe imbattersi per poi dimenticare, ma che
lui sapeva cogliere e raccontare, facendole diventare momenti unici, catturava
la vita, come Renoir nei suoi quadri e Michelangelo nelle sue sculture. Le
canzoni di Lou Reed sono facce di chi ha qualcosa da raccontare, immagini
impresse sugli occhi di chi non guarda soltanto, ma vede, sono corde di
chitarra suonate col plettro dell’anima. Il genio scorre tra le rapide del suo
sangue amplificando di volta in volta la sua sensibilità, la sua magnificenza,
la sua visionaria fantasia, ma anche il suo egocentrismo, il suo narcisismo, la
sua presunzione, frutto della consapevolezza di essere un genio, di essere
capace di respirare la vita, che gli fa dire “I’ll be your mirror, reflect what you are, in case you don’t know”
o “I’ve
been set free and I’ve been bound, let me tell you people what I’ve found, I
saw my head laughing, rolling on the ground, and now, I’m set free, I’m set
free, I’m set free to find a new illusion” o ancora “Take me for what I am, a star newly emerging”. Il mio amore per Lou
Reed non è stato un colpo di fulmine, una magnifica vampata destinata a
spegnersi col tempo, il mio, anzi, il nostro è un amore che abbiamo costruito
col tempo, concedendoci uno all’altro un po’ alla volta. Ricordo la prima volta
che ascoltai una sua canzone, non ricordo quale, ma ricordo che pensai “sì,
vabbè…” e niente di più. Ma il tarlo ormai era nella mia mente. Quel
rock’n’roll così puro e scintillante aveva iniziato a scavare gallerie nella
mia mente. Poi ascoltai Walk on the Wild
Side, ne lessi il testo tradotto e orizzonti fatti di luce si aprirono
nella mia mente. Iniziai a costruire il nostro amore e Lou mi riempiva di baci
e di carezze e lo costruiva insieme a me, con pazienza, con devozione. Un amore
costruito e non trovato dura nel tempo e può diventare eterno, come il nostro,
perché lo conosci in tutte le sue pieghe, perché l’hai tirato su con passione,
mattone per mattone. Sono passati giorni ormai dall’annuncio della sua morte,
ma solo ora ho trovato il coraggio di cercare di imprimere su un foglio il mio
dolore, perché, anche ora, mentre scrivo, mi sento inadeguato. Ho cancellato e
riscritto queste parole non so quante volte, perché non mi sembra mai
abbastanza, perché vorrei mettere insieme parole per formare frasi
indimenticabili, perché vorrei che lui mi suggerisse cosa scrivere, perché
vorrei che mi rassicurasse, che mi dicesse “tranquillo, sono ancora qui, la
grande avventura è appena cominciata”, perché vorrei vederlo ancora con la sua
chitarra appesa al collo… basta cazzo! Basta con le lacrimevoli intenzioni! Così
rischio di fottere l’ironia, elemento fondamentale dell’universo di Lou.
Ironizzare, dissacrare tutto, riappropriarsi della vita nella sua interezza e
raccontarla per come è, non per come vorremmo che fosse, né favola né incubo,
solo vita, semplicemente. Come semplice è il rock’n’roll. Perché il genio è
rendere alle cose la loro primitiva semplicità, spogliandole di tutti gli
orpelli della complessità con cui l’essere umano le adorna nel tempo. Parlare
di tutto e di chiunque con uguale disinvoltura. Grazie allora Lou, per la
musica che ci hai regalato, per le parole che hai scritto, ma soprattutto
grazie per averci ricordato che siamo esseri umani, senza meglio né peggio,
anzi, ognuno col suo meglio e col suo peggio. Poi basta,
non c’è più tempo…
This
is no time for celebration
this is no time for shaking hands
This is no time for backslapping
this is no time for marching bands
this is no time for shaking hands
This is no time for backslapping
this is no time for marching bands
This is no time for optimism
this is no time for endless thought
This is no time for my country right or wrong
remember what that brought
this is no time for endless thought
This is no time for my country right or wrong
remember what that brought
There is no time
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