Foto Alessandro Rovelli
21
Settembre 2016
"Spesso
sono le assenze a farci compagnia.
Non si
possono toccare nè sentire,
ma le
portiamo dentro"
(S.Lion)
Ci
sarai sempre, buon viaggio Capitano
Wazza
Ricordo
di Nicola Di Santo
E’ andato a raggiungere Anna Politkovskaja nel regno dei Grandi, per spingersi al di là, per scoprire ciò che solo Iddio sa, come cantava in R.I.P.
Mi
viene in mente la giornalista russa perché diceva che le lacrime di chi scrive
un pezzo non interessano, in fondo, nessuno: se decido quindi di non
abbandonarmi alle tentazioni della commozione, pretendo però che mi si consenta
almeno di subire un leggero groppo in gola e un pugno improvviso che stordisce
il cuore e i ricordi di uninfanzia
spesso passata, nei viaggi in macchina con i miei genitori, ad ascoltare a
nastro Buone notizie, ovvero l’album del 1981 deI Banco del Mutuo
Soccorso contenuto, nel caso specifico, in una musicassetta casalingache nel suo lato B vedeva quasi un
suo contraltare nell’esperimento
pop-sintetico di PFM? PFM! della Premiata Forneria Marconi.
Ho
appreso della morte di Francesco Di Giacomo in un distratto (come è logico che
fosse) ascolto della quarta serata del Festival di Sanremo: Fabio Fazio ha dato
l’annuncio
con voce semi-stentorea (come è logico che fosse) e la platea si è alzata in
piedi rendendogli il giusto omaggio (come è logico che fosse). “Vittorio Nocenzi cercava un cantante alto e
biondo, ed arrivai io che sono l’esatto contrario”, diceva Di Giacomo ricordando la
sua entrata nel gruppo che avrebbe fatto la storia del rock in Italia (e non
solo): il cantante dei Banco era infatti un signore barbuto, corpulento e
anticonformista, che possedeva unincredibile presenza scenica e una voce tenorile potente e al
tempo stesso soave, ed era inoltre un sublime e irraggiungibile paroliere. Un esatto
contrario che il sopracitato conduttore della sempre più sconcertante kermesse
nazional-popolare non ha forse mai pensato di invitare nel suo salotto
televisivo, irrimediabilmente intriso di promozioni per un blockbusterizzato e
irrecuperabile Ligabue e di amarcord al sapore di lifting di Claudio Baglioni
(entrambi richiamati a Sanremo, #comeèlogicochefosse).
Anti-divo per antonomasia, il cantante si era sempre bellamente
disinteressato, con ricambiato sentimento, alla scena mediatica (a parte
qualche sporadica apparizione, l’ultima su Rai3 a Gazebo): non essendo esattamente un emblema di
figura popolare, la sua morte annunciata dal palco dellAriston alla stregua di un Claudio
Villa, di un Luigi Tenco o di un Alberto Castagna, è stata capace anche per
questo di alimentare quell’effetto
straniantecausato
dal sentimento d’incredulità
per la sua scomparsa sopraggiunta a 67 anni dopo un frontale con una Rover, in
via Valle del Formale a Zagarolo (Roma).
La favola dei Banco, partorita nel 1969 e definitivamente esplosa col suo
ingresso nel 1971, giunge così al Capolineain
una sera di febbraio di 45 anni dopo a causa della shoccante dipartita della
sua voce narrante, capace come poche di innescare sublimi visioni oniriche
(vedi Metamorfosi,
Il giardino del mago o
la già citata R.I.P.) quasi sempre in bilico tra il rock progressive-sinfonico
inglese, le sonorità mediterranee e il melodramma italiano.
Quelli sopraelencati furono indubbiamente i tratti che segnarono
la loro epoca più florida e importante, e che li consegnarono per sempre alla
storia della musica: caratteristiche imprescindibili (almeno in apparenza) che
vennero però accantonate negli anni 80 in favore di una svolta più immediata e pop(osteggiata dai puristi, apprezzata da molti altri)
per poi essere nuovamente recuperate negli anni 90 in unottica revival dal gusto nostalgico. Che ora
lascia spazio soprattutto al rimpianto per la perdita della più grande voce a
mio modestissimo avviso della musica italiana, superbo marchio inconfondibile
del più grande gruppo rock progressivo del nostro Paese (superiore, sempre
secondo il mio parere, alla stessa PFM che, stando anche a quanto scrive Andrea
Degidi, aveva certamente musicisti straordinari, solisti pazzeschi, unenergia smisurata, ma anche una
personalità assai fotocopia delle band inglesi, King Crimson in testa;
invece il Banco aveva una sua anima, molto italiana, la portò in giro per il
mondo, affascinato da quella sorta di melodramma cantato da quel
piccolo rotondetto romano, così simile a Gimli de Il signore degli anelli).
Storpiando
i Pink Floyd, la morte di Di Giacomo è solo unaltra monetina nel salvadanaio (il riferimento è alla storica
copertina del primo album dei Banco, in alto qui sulla sinistra), ora più che
mai da custodire gelosamente: come sosteneva lo stesso cantante, quando ha unanima vera, la musica scavalca
tempi e momenti. Magari entrando e uscendo da quel vaso di Pandora (di
terracotta) da cui tutto ebbe inizio: grazie Francesco e buonanotte, sogni doro, dormi, che va bene così.
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