Interessantissima intervista a Vittorio Nocenzi, rilasciata a Gianluca Renoffio per "Artist and Bands"
Cliccando
i link, anche le recensioni di Transiberiana, sempre di Renoffio…
Wazza
Tripla recensione
conferenza stampa
Intervista Vittorio Nocenzi
Intervista realizzata da Gianluca Renoffio
Domande selezionate da Gianluca Renoffio e
Gianluca Livi
-
A&B - “Transiberiana”,
un’idea che scorre, un viaggio… Quando hai iniziato ad intraprenderlo? Quanto
deriva, questo disco, dalla necessità di riallacciare un discorso interrotto
dalle tristi vicende degli scorsi anni?
- Vittorio Nocenzi - Questo nuovo
viaggio del BMS nasce durante i lavori delle Legacy Edition dei primi tre
album, il “Salvadanaio”, “Darwin” e “Io sono nato libero”, richiesteci dalla
Sony. Nel curare queste edizioni speciali, ho dovuto per forza
riflettere nel profondo al senso di questi eventuali lavori e al come farli,
perché il materiale di cui si parlava (i primi tre album del Banco, appunto) è
particolare, speciale: ognuno di questi tre album non è una semplice
compilation di canzoni, ognuno dei tre è un album concept, cioè, i brani che li
costituiscono sono come capitoli diversi di un unico libro. Insomma, sono tre
racconti, tre narrazioni ampie, ognuna delle quali è diventata nel corso degli
anni un riferimento baricentrico per le scale valoriali in essi sottintese.
Voglio dire che certi concetti espressi dalle parole di questi album (ad
esempio “Prova a pensare un po’ diverso…” da “L’Evoluzione” dell’Album “Darwin”
e potrei farti altre decine di esempi) sono diventate negli anni riferimenti
valoriali centrali per le scelte di vita di migliaia di persone dai ’70 in poi.
Ecco che queste persone si sono trovate a fare scelte di vita che hanno
condizionato poi il loro futuro, avendo per riferimento ideale questi lavori.
Per tutto questo, nel progettare la loro rivisitazione artistica, non potevo
pensare semplicisticamente che, avendone scritte io quasi tutte le
musiche e (insieme a Francesco Di Giacomo) le parole, potevo rielaborarle come
mi pareva. Sarebbe stato un errore grossolano: io avevo migliaia di “coautori”
con i quali fare i conti.
Il privilegio che ogni artista ha nel
ricevere la considerazione, il rispetto, l’affetto che migliaia di altre
persone gli donano, aspetta sempre di essere ricambiato adeguatamente.
E’ stata proprio questa considerazione
che mi ha spinto a salire sulla “Transiberiana”.
Negli ultimi anni, il Banco ha dato
troppa importanza all’attività concertistica, a discapito di quella di
recording e di composizione. Per rispondere adeguatamente a tutto l’affetto e
alla considerazione che ci è stata espressa in modo inequivocabile da parte dei
nostri fans, dovevamo prima possibile rispondere tangibilmente, facendo
proseguire quest’idea che non puoi fermare che è il progetto artistico del
Banco del Mutuo Soccorso, nel modo in cui lo fa un artista consapevole del
privilegio che gli deriva dall’affetto e dalla considerazione di tante persone.
Dovevamo cioè rispondere scrivendo nuovi lavori quanto prima.
- A&B -
Dopo tanti anni, una nuova musica, un nuovo concept nel segno di una
tradizione che solo il Banco ha saputo portare a livelli eccelsi in Italia …
Cosa ti ha spinto a tornare alla composizione dopo tanto tempo?
- Vittorio Nocenzi - Una volta
capito cosa dovevamo fare, era il momento di scegliere il “come farlo”. L’album
concept mi è sembrato subito il modo più idoneo, per affermare sia la nostra identità
che le nostre radici storiche. Oltre che un modo coerente di rispondere
all’etichetta discografica che ci invitava a realizzare queste nuove
registrazioni (cioè l’Inside Out, l’etichetta riferimento mondiale per questo
stile di musica). Inoltre, debbo confessare che l’idea di scrivere una
compilation di canzoni non mi avrebbe ispirato minimamente, mentre la
possibilità di scrivere un album concept mi ha stimolato immediatamente! Il
concept, attraverso l’uso delle metafore, ti permette una narrazione molto più
ampia, su diversi piani narrativi, con immagini dirette ed indirette che ti
stimolano anche a scrivere le musiche vere e proprie. Se ci aggiungi una
sorpresa di cui ora ti parlerò più dettagliatamente, il gioco che mi serviva
per rimettere in moto il mio entusiasmo ispirativo era fatto, era l’album
concept!
La sorpresa determinante per il mio
lavoro compositivo è stata quella di scoprire nel mio terzo figlio Michelangelo
il mio Alter ego musicale! Lui è pianista e batterista, e questo lo sapevo. Ma
non avevo ancora scoperto il suo talento compositivo. E quando veniva dicendomi
“Papà, ascolta questo tema”, il risultato era quasi sempre il mio stupore, per
il semplice fatto che l’ascolto del brano mi dava come l’impressione di averlo
appena scritto io! E quindi mi veniva ogni volta spontaneo proporgli di
elaborarlo qua, là, di ampliare così e così… Insomma, senza accorgercene, ogni
volta ci siamo ritrovati a scrivere i brani di tutta la “Transiberiana” a
quattro mani! E non credo che sia sbagliata la considerazione che ho fatto
riguardo alla vita, che quando ti toglie brutalmente qualcuno o qualcosa, a
volte può anche compensarti inaspettatamente donandoti qualcos’altro di
altrettanto prezioso.
Tornare alla composizione dopo così
tanto tempo è stata la cosa più naturale che potessi immaginare. Uscire dal mio
studio dopo una giornata intensa di lavoro mentale faticoso, ininterrotto, con
la sensazione di aver fatto un buon lavoro, è una emozione antica che mi ha
riportato a molti anni prima, quando tornavo a casa dopo una giornata di
intense prove musicali con la band nella mitica stalla di Marino, e per tutta
la sera e le prime ore della notte con le nuove parti musicali che proseguivano
ad intrecciarsi nella mente, fino al momento del sonno, ininterrottamente! E’
una sensazione che posso descrivere solo così: una testa calda, piena di colori
e, soprattutto, riscaldata dall’idea di aver speso bene la giornata appena
passata, appartenente all’unica vita che abbiamo in concessione momentanea!
- A&B - Ciò che hai vissuto ha cambiato il tuo
approccio verso l’amicizia, verso la vita?
- Vittorio Nocenzi - Beh,
sicuramente qualcosa è cambiata nella mia vita, l’idea di essere nella parte
conclusiva è una sensazione ormai quotidiana, con la quale puoi convivere bene
se fai le cose che ami, e provi a farle bene.
Il mio approccio alla vita e
all’amicizia non è cambiato nei suoi punti cardinali che sono, per quello che
mi riguarda, la correttezza, la passione, il coraggio, il non piegarti al
servilismo o all’opportunismo scorretto. Penso che la propria dignità,
personale e del proprio lavoro, sia un valore da difendere sempre. Alle domande
tipo: - Chi te lo fa fare? - sinceramente non rispondo neanche più, non per
superbia, semplicemente perché non appartengo ai presuntuosi saccenti
sapientoni che si sentono depositari della verità dei valori della vita,
dimenticandosi che proseguendo a deridere e disprezzare certi “vecchi” valori
non si costruisce niente di buono. Il progresso non può essere quello di cancellare
la bellezza, gli ideali, la solidarietà, il sentirsi disponibili a provare a
cambiare le cose in meglio! Non si è cretini se non si hanno tanti soldi! Si
può anche essere migliori di chi ce ne ha tanti!
- A&B - Quanto ti mancano Francesco e Rodolfo?
- Vittorio Nocenzi - Mi mancano
quanto possono mancarti due persone con le quali hai vissuto intensamente tutti
i tuoi primi sessant’anni di vita. Con loro ho vissuto illusioni, risultati
importanti, esperienze interiori fortissime, piccole esperienze quotidiane,
come spartire una stanza di albergo e fare colazione insieme o vedere la
bellezza di un paesaggio o di un monumento, gustare insieme un bellissimo
pranzo e ridere fino a stare male, migliaia di viaggi interminabili in lungo ed
in largo in Italia ed in Europa. Con Rodolfo, poi, anche altre connessioni che
ci hanno legati per tutta la vita in modo profondo, come il fatto che lui,
appena entrato nel Banco, si trasferisce a Marino, la mia città, e va ad
abitare nella mia casa natale da sposino, dove crescerà i suoi quattro figli, e
poi l’amore comune per la storia dell’arte e quindi l’infinità di monumenti
visitati e commentati insieme in Italia ed all’estero, il comune amore per
l’armonia musicale, di cui Rudy era un vero cultore e tanto altro ancora. E’
tutta la mia vita questo, quindi, per me, indimenticabile.
Sono già passati anni, ormai, eppure
le ferite non riescono a rimarginarsi ancora.
- A&B - Mi piacerebbe darti l’occasione di
smentire (o dire la tua) circa il comunicato stampa della presentazione
dell’album postumo di Di Giacomo che riporta la notizia della fuoriuscita dal
Banco nel 2013 di Francesco … Che senso ha affermare certe cose a distanza di
anni?
- Vittorio Nocenzi - Il senso che
hanno queste affermazioni devi chiederlo a chi le ha fatte. Io non lo avrei
fatte, semplicemente perché per molti di quelli che lo hanno amato, Francesco è
un tutt’uno con il Banco, senza il quale non sarebbe sicuramente stato quello
che è ancora oggi, per tutti, Francesco di Giacomo, come Vittorio Nocenzi non
sarebbe Vittorio Nocenzi senza il Banco e così Rodolfo Maltese e così ognuno di
noi. Quindi trovo cinico, strumentale a fare una dubbia buona pubblicità al
nuovo disco solista, anche perché è già il secondo, considerato “Non mettere le
dita nel naso”, il primo album solista di Francesco, che risale a qualche anno
fa e di cui sono stato io il produttore artistico.
Chi ha scelto di dare la notizia della
sua fuoriuscita dal Banco nel 2013 forse aveva in testa l’idea di promuovere il
disco, rendendolo particolare…
Non so, francamente non so cosa
pensare, se non che mi sembra poco rispettoso dei sentimenti della maggior
parte dei fans, raccontare queste cose, che attengono secondo me più alla
privacy umana di un artista che non alla sua dimensione pubblica.
La verità è che Francesco, negli
ultimi tempi, non si sentiva più di proseguire l’attività concertistica con la
band, perché stava poco bene ed il lavoro concertistico è molto faticoso, esige
un utilizzo massiccio di energie fisiche e mentali, e Francesco non se la
sentiva più, visto anche il livello culturale della nostra nazione che non
incoraggia certo gli artisti in genere a proseguire nel loro lavoro.
Ma questo non significava voler
interrompere i nostri rapporti artistici e creativi. Anzi, avevamo un progetto
in comune che non vedevamo l’ora di realizzare: l’“Orlando” ispirato dal
capolavoro di Ariosto. Dopo aver ascoltato il brano conduttore scritto da mio
figlio Michelangelo, Francesco era entusiasta dell’idea di scrivere i testi per
quest’opera. Era il nuovo progetto che volevamo condividere, era come tornare a
fare insieme gli autori, scrivere le parole per questa nuova musica,
indipendentemente dal fatto che poi sarebbe stato realizzato dal Banco o da
altri artisti. E l’ultimo giorno della sua vita, Francesco l’ha passato a casa
mia, insieme a me, davanti al pianoforte, come quando eravamo ragazzi, a
scrivere un nuovo brano sulla libertà, che avremmo voluto registrare e inserire
nella legacy edition di “Io sono nato libero”. E quel maledetto pomeriggio,
alle 17.00, quando è uscito da casa mia per tornare a casa sua, ci siamo dati
appuntamento per dopo tre giorni, sarebbe stato un venerdì, per scrivere un
altro brano di cui avevamo concordato l’argomento: la povertà. E sulla sua
macchina, quella dell’incidente mortale, sui sedili posteriori, c’era il Cd su
cui gli avevo registrato il nuovo brano in attesa del nuovo testo.
Ma tutto questo non esclude la voglia
di sperimentare altre strade, come il suo album solista uscito in questi giorni
dimostra. Anch’io avevo fatto un album solista per solo pianoforte e lui
stesso, come detto, ne aveva già fatto un altro.
Le dinamiche interne ad una band sono
tante e varie: una di queste è uscire momentaneamente per fare un’esperienza
fuori dalla formazione storica in cui lavori, per prendere spunti diversi dal
solito, per fare altre esperienze. Insomma, è una curiosità così lecita che
succede in tutte le band, soprattutto quelle che stanno insieme tanti anni e
che quindi corrono il rischio di rendere ripetitive le esperienze creative.
Allora si esce per un po’ a prendere altra aria e, quando ritorni, porti con te
nuovi stimoli che fanno sempre bene a tutta la band.
- A&B - E come ti trovi con i nuovi compagni di
viaggio? Il disco dà la sensazione di
una band affiatatissima ed ispiratissima (grande vocalist tra l’altro). Fortuna
o capacità di giudicare e scegliere le persone?
- Vittorio Nocenzi - Entrambe le
cose. Senza fortuna non vai da nessuna parte, ma aiutati che Dio ti aiuta.
Intendo dire che la selezione ha avuto un paletto centrale ben piantato in
terra: dovevano essere anzitutto “belle” persone, prima ancora che bravi
musicisti. Perché se non c’è un comune riferimento a valori ideali ed umani,
quando poi la musica ti porterà alla condivisione di emozioni interiori molto
forti, se non c’è anche una condivisione culturale ed ideale, non ci sarà una
performance profonda ed emozionante anche per l’ascoltatore. La musica è una
specie di cartina tornasole di chi siamo veramente, ed ecco che allora possono
uscire fuori conflittualità critiche ed inconciliabili.
La formazione della band che ha
realizzato “Transiberiana” si avvale alla batteria di Fabio Moresco (ex
“Metamorfosi” storica band progressive romana), al basso elettrico di Marco
Capozzi (ex bassista del “Balletto di Bronzo”). Una base ritmica formidabile,
dove il sound worm del drumming dialoga con il suono del basso di Marco
particolarmente presente e profondo allo stesso tempo. Marco ha davvero un
bellissimo tocco sul suo strumento, che gli conferisce una voce bellissima, e
che ben sostiene la ritmicità particolarmente calda ed incisiva di Fabio. Su
questo binario solido e potente si poggiano le due chitarre, quella di Filippo
Marcheggiani, ormai da 25 anni con me nel Banco, e quella di Nicola Di Già (ex
Balletto di Bronzo). Due ruoli diversi ma magicamente in sintonia: Filippo alle
chitarre soliste, con le quali ha firmato una serie di assoli bellissimi e di
parti chitarristiche che non si sono mai aggiunte passivamente ai brani, ma ne
hanno sempre preso fra le mani accordi e frasi per rilanciarle potenti ed
incisive: Nicola si è occupato delle seconde chitarre elettriche e delle
acustiche, oltre a suonare splendidamente la balalaika mandolinata che, quando
appare, durante i brani, ti arriva dritta dentro il cuore, commuovendoti, ogni
volta, in modo struggente.
E poi la voce di Tony D’Alessio che
non è solo potente (non poteva non esserlo, dentro il Banco), tenorile, ma è
così ricca di timbri e colori da prendere le linee melodiche e le parole dei
brani e farle incendiare di emozioni.
Fin dal primo momento la cosa
principale è che il progetto è stato condiviso da tutti con pari entusiasmo. I
brani scritti con Michelangelo, letti dai musicisti della band, si sono
esaltati, riuscendo a convincere al primo ascolto: tutti i fans che ho
coinvolto durante le registrazioni
per chiedere le prime impressioni di ascolto, sono stati concordi nel dire
che si riconosce immediatamente il Banco, ma con suoni nuovi, contemporanei.
Era proprio questa l’idea: con la
struttura dell’album concept, la scrittura era tipicamente Banco, ma
l’inserimento di nuove sonorità ed un uso più diffuso delle chitarre elettriche
da al tutto un suono di oggi: insomma, guardi al passato per confermare la tua
identità ma pianti bene i piedi nell’oggi per guardare avanti, nel futuro.
- A&B - Conosco il tuo affetto per i tuoi vecchi
compagni di viaggio, che hanno fatto con te la storia della musica italiana. Ti
sono stati “ancora” vicini nella nuova avventura?
- Vittorio Nocenzi - In questa
ripresa del viaggio della vita, i miei compagni storici mi sono sempre vicino,
e come potrebbe essere diversamente? Potrei raccontarti ancora tante di quelle
cose a tale riguardo… Ma sono sempre stato pudico e non ho mai amato dare
materiale per il gossip o la curiosità morbosa, e non mi piace fare spettacolo
col dolore e la vita privata. In questo, non sono uno del mio tempo,
assolutamente no.
- A&B - Il cambio di formazione e l’importanza di
Michelangelo: quanto ha influito tutto ciò sul processo creativo? Puoi darci
qualche dettaglio? E’ nata prima la musica e poi il testo o viceversa?
- Vittorio Nocenzi - Entrambe le
cose hanno influito tantissimo sul processo creativo. La collaborazione nella
scrittura con Michelangelo è stata davvero la molla che ha riacceso in me
l’entusiasmo e la voglia di continuare a scrivere.
Essendo nato, come musicista, in una
band, ma anche per come sono fatto emotivamente proprio io, mi risulta
assolutamente innaturale non condividere il piacere di un’emozione: se scrivo
qualcosa di nuovo la prima cosa che mi viene spontanea è condividerla con gli
altri musicisti con cui suono, è come assaggiare qualcosa di buono e non
commentarlo con qualcun altro, o vedere qualcosa di bellissimo e condividerlo
con altri: è un modo di assaporare emozioni e vivere, rendendo partecipi anche
chi ti sta vicino, per averne le impressioni, i commenti, le considerazioni, e
confrontarti. E’ una delle cose più ricche di esperienze e feedback
interessanti che un uomo possa provare. Il timing del lavoro è stato più o meno
questo: dopo aver individuato il titolo (“Transiberiana”) la prima cosa che ho
scritto non è stata la musica ma lo storyboard del racconto, la partenza del
treno con tutte le aspettative che un viaggio del genere poteva suggerire ai
viaggiatori: aspettativa di sorprese, di meraviglie, ma anche di possibili
pericoli, ecc.
Essendo la Transiberiana la metafora
del viaggio della vita, ecco le sorprese che non mancano mai: un branco di
cavalli allo stato brado corre libero nella tundra sfidando la corsa del treno.
Poi l’imprevisto: il ghiaccio invade i binari ed il treno è costretto a
fermarsi nella tundra ghiacciata. Non potendo andare più avanti, i passeggeri
impauriti decidono di scendere dal treno e di cercare di arrivare al villaggio
più vicino in cerca di soccorso.
Scendono dal treno e si trovano dentro questo nulla bianco e nebbioso,
disorientati ed incerti sul da farsi. Ed allora vengono assaliti da un branco
di lupi.
Come succede appunto nella vita,
quando spesso piove sul bagnato …
Riescono a scampare all’assalto e a
risalire sul treno. Il viaggio riprende ma nel cuore dei passeggeri ora c’è
un’altra consapevolezza, ed allora, come succede sempre nella vita quando sei
scampato ad un serio pericolo, tutto quello che li circonda assume più
significato, più valore… cominci a vedere in modo diverso i compagni di viaggio
e tra questi c’è uno sciamano siberiano che racconta la propria vita. E poi un
altro viaggiatore, che viene colto mentre sta affacciato al finestrino e,
guardando fuori, respira l’aria che pare portare con sé l’odore del mare, quel
mare che sta alla fine del viaggio, le coste del mar del Giappone … Ma quando
il treno arriva sulla costa del mare, i viaggiatori scopriranno che non è
l’Oceano, la meta del viaggio, ma è il viaggio in sé, e davanti all’oceano si
cambierà solo il treno con la nave e si ripartirà sulle correnti marine… strade
di sale: il viaggio proseguirà.
E’ stata la prima volta che ho scritto
la musica dopo lo storyboard, ma in questo modo ogni stazione del racconto
diventava uno stimolo alla composizione musicale formidabile. Poi, dopo la
musica, i testi. Li ho scritti insieme a Paolo Logli, un vecchio amico del
Banco da tanti anni; è stato lui il regista dell’unico videoclip ufficiale
della band, “Ciò che si vede è”, profondo conoscitore dei brani del BMS, amico
personale di Francesco, di Rudy e mio, con il quale è stato sorprendentemente
naturale scrive i testi dei brani di “Transiberiana”, e scriverli nella stessa
direzione in cui li ho sempre scritto con Francesco, trovando meravigliosa
disponibilità e preziosa creatività che, unite alla cultura, fanno davvero un
bel mix per lavorare nel migliore dei modi.
Finito il lavoro di scrittura di testi
e musica, è arrivato il momento di coinvolgere i musicisti della band nel fare
proprio tutto il materiale. E devo dirti che, finché non ci ho sentito sopra le
chitarre e il basso con la batteria, non sapevo se il risultato finale della
fase di scrittura fosse giusto o no. È come il lavoro di un sarto che deve fare
un abito ad una persona precisa: può aver disegnato il modellino più bello del
mondo e scelto la stoffa più pregiata possibile, ma finché la persona per cui
ha cucito e tagliato l’abito non lo indossa, il sarto non potrà mai sapere se
ha fatto un buon lavoro o no.
Ecco allora il momento delle chitarre,
il momento in cui il Banco indossa il nuovo abito! Ed è stato subito amore a
prima vista: sia per i sarti, che per gli indossatori!!! Filippo Marcheggiani è
entrato così in profondità nel materiale musicale con le sue parti di chitarra,
che ne ha esaltato la emotività e l’incisività, e così Nicola con i suoi
strumenti, e Marco col basso e Fabio con la batteria.
E poi, dulcis in fundo, le
interpretazioni vocali di Tony, ricche di sfumature timbriche che hanno
sostenuto immagini e concetti delle parole al di là di ogni migliore
aspettativa.
Ed era quello che aveva l’eredità più
pesante da gestire, quella di Francesco, un artista così carismatico da far
tremare i polsi a chiunque fosse stato chiamato a sostituirlo.
Invece Tony è entrato nella sua parte
con molta umiltà ed amore, con passione, con talento, ed il risultato ha messo
d’accordo tutti, Michi, Paolo, io, i ragazzi del Banco ed i fans.
- A&B - I testi sono una sorpresa, un po’ ermetici in
certe parti, ma anche con aperture liriche ed evocative in linea con lo stile
classico del Banco (il branco di lupi mi ha ricordato la voglia e la necessità
di vivere in branco di “Cento mani e cento occhi” da “Darwin”). Come sono nati?
Quanto hai contributo?
- Vittorio Nocenzi - Te l’ho già
detto in parte. Per me i testi sono sempre stati molto importanti, importanti
quanto la musica, ed ho passato giornate intere con Francesco a limare, trovare
alternative di suono e di metrica per i versi dei nostri testi affinché
suonassero giusti oltre che ricchi di suggestioni e di concetti. Certo la
polisillabicità della lingua italiana non aiuta a stendere parole su melodie
spesso molto ritmiche, sincopate, sulle quali l’italiano risulta agli antipodi;
molto meglio lingue dotate di tante parole tronche, monosillabiche, come
l’inglese. Risulterebbe un lavoro molto più facile. Però la nostra lingua è
così bella, perché ricca di infinite sfumature, che alla fine merita il lavoro
supplementare e la faticaccia da fare.
Con Paolo i testi sono usciti con una
sinergia miracolosa: si passava dal raccontarci oralmente le cose da poter dire
sull’episodio dello storyboard in questione, al metterle in metrica sule note
della melodia, in un continuo fuori e dentro la specificità del lavoro, a volte
piegando le parole alle note, altre volte il contrario, le note alle parole,
cercando ogni volta di salvare entrambi i momenti, quello melodico musicale e
quello poetico dei versi.
- A&B - Cosa significa oggi per te fare un
concerto? So cosa sei in grado di dare, ma cosa riesci a ricevere ancora dal
pubblico?
- Vittorio Nocenzi - Significa
ancora vedere la gente entusiasmarsi con la mia musica, sentire l’energia
formidabile sprigionata dai musicisti con me sul palco e ricevere quindi una
scarica di adrenalina incredibile! Il concerto è sempre un incontro dirompente,
travalicante la dimensione singola. E finché sarà così è insostituibile.
È una cosa diversa dall’ascolto
discografico. È come andare allo stadio (il concerto) e l’ascolto discografico
è vedere la partita in tv. Due cose diverse e preziose entrambe: l’ascolto
discografico serve ad esaltare i contenuti musicali ed è solo ascoltando con
una buona cuffia le registrazioni di un bel disco che tu puoi davvero entrare
in profondità nella composizione. Ma ascoltare dal vivo quella musica, insieme
a tante altre persone, è la condivisione collettiva che ti esalta e niente come
la musica può mettere in sintonia fra loro migliaia di persone mai viste prima.
Quindi, quando si riesce a creare quel
feedback tra stage e pubblico, il concerto è uno scambio energetico miracoloso
e indescrivibile.
Ed ogni volta, la musica si rinnova,
anche un brano che esegui da decine di anni, acceso dall’attenzione del
pubblico per l’ennesima volta, riemerge e risalta ancora come nuovo.
E’ tutto questo che riesco a ricevere
ancora dal pubblico. Il concerto è una specie di rito laico, in cui si celebra
l’umanità e la sua impalpabile ma incredibile luminosità. Ti puoi commuovere da
solo, ed è una cosa, ma se ti capita di commuoverti insieme a migliaia di
persone nello stesso momento, capirai di cosa sto parlando.
- A&B - Ti senti soddisfatto musicalmente parlando? O
hai ancora “fame”, ancora voglia di sperimentare?
- Vittorio Nocenzi - Ho una fame
atavica, sono nato affamato della vita, della bellezza. Ogni giorno in cui ho
scoperto qualcosa che non sapevo, per me è stata una festa. Quindi, come posso
sentirmi soddisfatto musicalmente parlando? Non vedo l’ora di iniziare il
lavoro dell’Orlando: ci sono già due ore di musica inedita, ma ora bisognerà
iniziare a selezionare le voci per i vari personaggi, fare gli arrangiamenti
per la band, l’orchestrazione sinfonica per i contributi orchestrali e quelli
etnici per il gruppo etnico, le partiture per il coro di 20 persone.
Insomma, sarà un lavoro massacrante,
ma piano piano arriveremo a dama, come sempre.
E ci sarà quindi tanto spazio per
continuare a sperimentare, come piace a me.
- A&B - C’è ancora un ruolo per una musica di
qualità? O l’ingorgo di talenti “quotidiani” che creano caos, imponendo “arte
che vive e muore” in un giorno, sta rovinando tutto? Come potremmo operare per
riportare valore nella musica (e quindi nella vita…)?
- Vittorio Nocenzi - Io credo che
sì, ci sia ancora un ruolo per la musica di qualità. Certo, per il pubblico è
più difficile cogliere le differenze fra la pancottiglia dell’usa e getta e la
qualità, perché questa globalizzazione grigia e mediocre fatta da gente di low
profile, che è preoccupata solo di farci consumare tutto e comunque, rende le
scelte più difficili.
Siamo tutti più disorientati da
un’offerta infinita di cosine e cosucce come in un gigantesco bricabrac.
Ma poi, però, la gente quando ha
bisogno di stare con sé stessa, di raccogliersi in sé, in un’intimità umana
sentita e non ostentata, insomma quando la parte spirituale di noi ci chiama
per qualunque cosa minimamente più importante della fiera della vanità
quotidiana, allora ecco che magicamente si ricrea lo spazio per la poesia, per
la musica ed il cinema di qualità, ecc.
Possiamo far finta di niente, e
proseguire sballottolati dalla corrente della superficialità e del grossolano
quotidiano, ma nel momento in cui riaffiora in noi o intorno a noi qualcosa che
abbia a che fare con i sogni, con le idee, con gli ideali, con il bello, con il
vero, ecco che allora lo spazio per quella che chiami qualità si apre
immediatamente, perché noi siamo non solo corpo ma, anzi, soprattutto spirito,
e l’arte parla con la nostra dimensione spirituale.
- A&B - Ti ho sempre considerato un artista
“crossover”, che produce arte a 360°, unendo musica, pittura, poesia, teatro,
letteratura … Quanto di questo approccio è ancora presente nel Vittorio
odierno? Quanto desiderio hai di tornare anche alla parte progettuale di
esperienze fondamentali come “le chiavi segrete della musica” e gli altri che
hai prodotto negli anni? C’è ancora tempo per cercare di promuovere gli
“strumenti logici” per discernere tra valori e massificazione?
- Vittorio Nocenzi - Il tempo per
cercare di promuovere gli “strumenti logici” per discernere tra valori e
massificazione, oggi, ne ho di meno, perché tutto quello fatto negli anno
scorsi ha tolto molto tempo alla scrittura di nuova musica, ed oggi, come già
detto, sento la necessità di recuperare il tempo perduto in questo senso. Ho
bisogno di scrivere nuovo materiale e, siccome non so fare le cose
superficialmente, si devono scegliere le priorità e la mia, in questa stagione
della vita, è quella di tornare alla scrittura prima di tutto.
Certamente tu sai con quanta passione
mi sono dedicato al promuovere gli “strumenti logici” per distinguere tra
valori e massificazione, “le Chiavi segrete della musica” è stata un’esperienza
che mi ha nutrito interiormente in modo eccezionale, perché mi ha permesso, sia
pure con scopo di divulgazione didattica, di percorre per qualche tempo i
sentieri del sogno dell’”arte totale”, questa chimera inseguita da artisti di
tante epoche che intendeva abbattere gli ostacoli e i recinti fra un’arte e
l’altra. Lavorare sulla concezione e realizzazione di video in cui testo
poetico ed immagine si fondevano in un’unica partitura con la musica, creando
una specie di neolingua, è stato bellissimo e creativamente lo rifarei
domattina, ma mi sono imposto un appuntamento con Orlando e stavolta non gli
dirò di mettersi da parte ed aspettare ancora. L’Ippogrifo ha voglia di volare
e sta scalpitando.
- A&B - Lo hai nominato ancora una volta… A che
punto è l’ “Orlando”? Sarà inserito nel progetto Banco, oppure sarà
un’esperienza personale da condividere appieno con tuo figlio Michelangelo?
- Vittorio Nocenzi - Nella mia
testa, l’Orlando l’ho sempre pensato per il Banco. Esattamente come
“Transiberiana”, la musica è scritta a quattro mani con Michelangelo e i testi
con Paolo Logli. Sono già quattro anni che ci stiamo lavorando. Ed in questo
momento sono pronte due ore di musica e relativi testi.
Siamo in fase di preproduzione molto
avviata, intendendo dire che le due ore di musica sono già registrate su hard
disc. Ora bisognerà iniziare le registrazioni acustiche degli strumenti della
band, di tutte le voci soliste, circa 6, quanti sono i personaggi principali.
Ci saranno anche voci femminili (Angelica e Bradamante), ma mi fermo qua, è
ancora troppo presto e ora è il
momento della Transiberiana: facciamola viaggiare forte e spedita come un
missile. E poi Orlando la inseguirà.
Mi piace molto l’idea che sia una band
rock a proporre un’opera contemporanea, come ai tempi di ”Tommy” degli Who. E’
inusuale e quindi mi affascina molto.
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