E poi gurdanneme
fisso dint'all'uocchie dicette
"James, nun
chiagnere, o' nonno fott pur a morte
Appena a sente cc'a
stà p'arrivà
'O nonno se ne va, se
ne va e nun se fa truvà"
(O nonno mio,
Napoli Centrale 1975)
Quando Massimo Ranieri in una puntata del suo programma Sogno e Son Desto, in onda sulla Rai il 6 febbraio del 2016, annunciò sul palco l’amico James Senese con una rinata formazione dei Napoli Centrale, tutti rimanemmo incollati allo schermo per vedere all’opera quella strana coppia.
Sì, Massimo Ranieri, quello di Rose rosse, che, coraggiosamente,
si sarebbe confrontato con un classico del jazz-rock partenopeo: Campagna.
Detto tra noi, sorpresa fino ad un certo punto, perché Ranieri è un artista a
360°, dotato di un’intelligenza creativa, frutto di una maturazione umana e
(non solo) musicale lunga oltre 60 anni.
E chi ha conosciuto James Senese, anche solo
attraverso i suoi passaggi discografici, sapeva benissimo quale fosse la forza
induttiva della sua vis sonora, il contagio è automatico. Insomma, due giganti
a confronto e una performance che, grazie alla rete, potrà essere trasmessa ai
posteri.
Per la stragrande maggioranza dei fruitori
(anche più superficiali) di musica italiana, James Senese era il sax del Pino
Daniele agli esordi; in realtà la sua è una storia paradigmatica, anche di una
città, Napoli, che visse l’arrivo degli Alleati in maniera unica. La guerra
finisce nel 1945 e James (all’anagrafe Gaetano) è figlio di una napoletana e di
un soldato americano di colore. Nero a metà, come il suo gemello musicale,
Mario Musella: i due dioscuri saranno in fondatori del primo nucleo propulsore
da cui si sprigionerà il Big Bang del Napule Power ovvero gli Showmen.
A Napoli c’è la base Nato, il blues, il jazz,
il soul, il R’n’B e il Rock and Roll arrivano prima che altrove; magari non
come in Inghilterra, ma l’iniezione intramuscolare nelle viscere del corpo
partenopeo avrà modo di dare i suoi frutti abbastanza presto. Gli Showmen hanno
una forza “black” che in Italia ha solo eguali nel primissimo Battisti,
nell’italo-francese Nino Ferrer e nei Ribelli di Demetrio Stratos; siamo nella
seconda metà degli anni Sessanta e in quel brodo primordiale ci sono già i
principi attivi del decennio successivo (Osanna e Napoli Centrale) con quel
Mario Musella che non riuscirà mai ad esprimere al massimo il proprio detonante
potenziale.
Sul finire del decennio si vuole di più:
proprio James Senese – cresciuto a pane e Coltrane – subisce l’influenza
innovativa del Miles Davis elettrico, guarda anche al Regno Unito (dove si
avvertono lontanamente i primi vagiti di una scena rivoluzionaria con in testa
quei mattacchioni dei Soft Machine). La transizione viene avvertita con la
rifondazione degli Showmen 2 attraverso un album omonimo uscito nel 1972 per la
BBB e un’apparizione sul palco del Festival Pop di Genova nell’estate dello
stesso anno: c’è ancora tanto soul e r’n’b, Senese svisa tra suggestioni USA,
all’epoca, innovative (Santana e Blood Sweat and Tears) e sapori prog (Jethro
Tull).
La nascita dei Napoli Centrale è dietro
all’angolo: James Senese è il frontman che canta testi di protesta, ma
soprattutto suona il sax e il flauto; il primo album omonimo del 1975 è una
sintesi eccezionale tra mood partenopeo (figlio di una nobilissima tradizione)
e jazz rock planetario. I vecchi Showmen Senese e il batterista Franco Del
Prete si fanno affiancare dal pianista elettrico americano Mark Harris e il
bassista britannico Tony Walmsley; in tre anni, tre album di peso nel panorama italiano
– già decadente, dato l’avvento del punk. E sarà proprio in quell’ambiente che
verranno alla luce le qualità di un giovane chitarrista e cantautore poco più
che ventenne, Pino Daniele. Prova nelle salette di Vico Fontanelle nel Rione Sanità
con il suo grippo (la Batracomiomachia). Si trova in sintonia con
quell’atmosfera, anche lui ama tanto Aurelio Fierro, quanto i Weather Report,
così nel 1976 diventa il bassista dei Napoli Centrale per l’attività live del
gruppo. Il resto della storia di Pino Daniele è nota e lo stesso musicista non
ha mai perso occasione per confermare quanto siano state fondamentali le
esperienze vissute con Senese, ma anche con altri protagonisti del Napule Power
(non ultimo Lino Vairetti degli Osanna). Senza la discografia dei Napoli
Centrale e senza Suddance degli Osanna, Nero a metà sarebbe stato
probabilmente “altro”. Pino Daniele è stato l’erede di quella storia.
E poi arriva il supergruppo, quello che entra
in sala per Vai Mo’; uno degli ensemble più coesi, affiatati e solidi
della scena musicale europea, nonostante il “gruppo” non abbia mai avuto un
nome, ma tutti lo riconoscono da sound: Tullio De Piscopo alla batteria, Tony
Esposito alle percussioni, Joe Amoruso alle tastiere, Rino Zurzolo al basso e
James Senese ai fiati. Al centro Pino Daniele, il suo napoletano cantato su
note blue e una fiammante Gibson ES175 o Les Paul cui alternare una
tradizionale chitarra acustica.
La presenza del suo sax è centrale; eppure
non mancheranno divergenze artistiche con Daniele, tanto che, in più di
un’occasione, vi saranno divisioni e ricongiungimenti. Intanto i Napoli
Centrale restano una sorta di laboratorio permanente di Senese, una specie di
fiume carsico che negli anni si inabissa, per poi riemergere.
Il tratto inconfondibile del compositore resta quello di dare fiato a qualsiasi apertura stilistica (pensiamo anche al rap e all’hip-hop), in nome anche di un apporto testuale sempre attento alla denuncia sociale; in questo ha ricevuto attestati di stima (spesso reciproca) dalle generazioni più recenti attraverso entità di taglio antagonista come i 99 Posse e gli Almamegretta. Fino all’ultimo, sempre attivo, mai domo a raccontare quella vita sempre vissuta in periferia con il piglio di chi sa attuare una brillante resistenza artistica.
(Riccardo Storti)





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