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giovedì 6 novembre 2025

Quando James Senese fece cantare “Campagna” a Massimo Ranieri, di Riccardo Storti

 


E poi gurdanneme fisso dint'all'uocchie dicette

"James, nun chiagnere, o' nonno fott pur a morte

Appena a sente cc'a stà p'arrivà

'O nonno se ne va, se ne va e nun se fa truvà"

(O nonno mio, Napoli Centrale 1975)


Quando Massimo Ranieri in una puntata del suo programma Sogno e Son Desto, in onda sulla Rai il 6 febbraio del 2016, annunciò sul palco l’amico James Senese con una rinata formazione dei Napoli Centrale, tutti rimanemmo incollati allo schermo per vedere all’opera quella strana coppia. 

Sì, Massimo Ranieri, quello di Rose rosse, che, coraggiosamente, si sarebbe confrontato con un classico del jazz-rock partenopeo: Campagna. Detto tra noi, sorpresa fino ad un certo punto, perché Ranieri è un artista a 360°, dotato di un’intelligenza creativa, frutto di una maturazione umana e (non solo) musicale lunga oltre 60 anni.

E chi ha conosciuto James Senese, anche solo attraverso i suoi passaggi discografici, sapeva benissimo quale fosse la forza induttiva della sua vis sonora, il contagio è automatico. Insomma, due giganti a confronto e una performance che, grazie alla rete, potrà essere trasmessa ai posteri.

Per la stragrande maggioranza dei fruitori (anche più superficiali) di musica italiana, James Senese era il sax del Pino Daniele agli esordi; in realtà la sua è una storia paradigmatica, anche di una città, Napoli, che visse l’arrivo degli Alleati in maniera unica. La guerra finisce nel 1945 e James (all’anagrafe Gaetano) è figlio di una napoletana e di un soldato americano di colore. Nero a metà, come il suo gemello musicale, Mario Musella: i due dioscuri saranno in fondatori del primo nucleo propulsore da cui si sprigionerà il Big Bang del Napule Power ovvero gli Showmen.

A Napoli c’è la base Nato, il blues, il jazz, il soul, il R’n’B e il Rock and Roll arrivano prima che altrove; magari non come in Inghilterra, ma l’iniezione intramuscolare nelle viscere del corpo partenopeo avrà modo di dare i suoi frutti abbastanza presto. Gli Showmen hanno una forza “black” che in Italia ha solo eguali nel primissimo Battisti, nell’italo-francese Nino Ferrer e nei Ribelli di Demetrio Stratos; siamo nella seconda metà degli anni Sessanta e in quel brodo primordiale ci sono già i principi attivi del decennio successivo (Osanna e Napoli Centrale) con quel Mario Musella che non riuscirà mai ad esprimere al massimo il proprio detonante potenziale.

Sul finire del decennio si vuole di più: proprio James Senese – cresciuto a pane e Coltrane – subisce l’influenza innovativa del Miles Davis elettrico, guarda anche al Regno Unito (dove si avvertono lontanamente i primi vagiti di una scena rivoluzionaria con in testa quei mattacchioni dei Soft Machine). La transizione viene avvertita con la rifondazione degli Showmen 2 attraverso un album omonimo uscito nel 1972 per la BBB e un’apparizione sul palco del Festival Pop di Genova nell’estate dello stesso anno: c’è ancora tanto soul e r’n’b, Senese svisa tra suggestioni USA, all’epoca, innovative (Santana e Blood Sweat and Tears) e sapori prog (Jethro Tull).

La nascita dei Napoli Centrale è dietro all’angolo: James Senese è il frontman che canta testi di protesta, ma soprattutto suona il sax e il flauto; il primo album omonimo del 1975 è una sintesi eccezionale tra mood partenopeo (figlio di una nobilissima tradizione) e jazz rock planetario. I vecchi Showmen Senese e il batterista Franco Del Prete si fanno affiancare dal pianista elettrico americano Mark Harris e il bassista britannico Tony Walmsley; in tre anni, tre album di peso nel panorama italiano – già decadente, dato l’avvento del punk. E sarà proprio in quell’ambiente che verranno alla luce le qualità di un giovane chitarrista e cantautore poco più che ventenne, Pino Daniele. Prova nelle salette di Vico Fontanelle nel Rione Sanità con il suo grippo (la Batracomiomachia). Si trova in sintonia con quell’atmosfera, anche lui ama tanto Aurelio Fierro, quanto i Weather Report, così nel 1976 diventa il bassista dei Napoli Centrale per l’attività live del gruppo. Il resto della storia di Pino Daniele è nota e lo stesso musicista non ha mai perso occasione per confermare quanto siano state fondamentali le esperienze vissute con Senese, ma anche con altri protagonisti del Napule Power (non ultimo Lino Vairetti degli Osanna). Senza la discografia dei Napoli Centrale e senza Suddance degli Osanna, Nero a metà sarebbe stato probabilmente “altro”. Pino Daniele è stato l’erede di quella storia.

E poi arriva il supergruppo, quello che entra in sala per Vai Mo’; uno degli ensemble più coesi, affiatati e solidi della scena musicale europea, nonostante il “gruppo” non abbia mai avuto un nome, ma tutti lo riconoscono da sound: Tullio De Piscopo alla batteria, Tony Esposito alle percussioni, Joe Amoruso alle tastiere, Rino Zurzolo al basso e James Senese ai fiati. Al centro Pino Daniele, il suo napoletano cantato su note blue e una fiammante Gibson ES175 o Les Paul cui alternare una tradizionale chitarra acustica.

La presenza del suo sax è centrale; eppure non mancheranno divergenze artistiche con Daniele, tanto che, in più di un’occasione, vi saranno divisioni e ricongiungimenti. Intanto i Napoli Centrale restano una sorta di laboratorio permanente di Senese, una specie di fiume carsico che negli anni si inabissa, per poi riemergere.

Il tratto inconfondibile del compositore resta quello di dare fiato a qualsiasi apertura stilistica (pensiamo anche al rap e all’hip-hop), in nome anche di un apporto testuale sempre attento alla denuncia sociale; in questo ha ricevuto attestati di stima (spesso reciproca) dalle generazioni più recenti attraverso entità di taglio antagonista come i 99 Posse e gli Almamegretta. Fino all’ultimo, sempre attivo, mai domo a raccontare quella vita sempre vissuta in periferia con il piglio di chi sa attuare una brillante resistenza artistica.

(Riccardo Storti)




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