Gran pubblico al Geox di Padova per una delle serate di questo mini-tour sul suolo
italiano degli YES,
incentrato sugli album DRAMAe FRAGILE,
il primo dopo la scomparsa di CHRIS
SQUIRE, bassista e membro fondatore della band! E sulle note di ONWARD alle 21,30 spaccate cala il
grande schermo alle spalle della batteria, proprio con la figura del poliedrico
artista, e con la data che ne ricorda la sua recente scomparsa! Inutile negare
un filo di emozione per quello che fu uno dei più grandi musicisti della scena
progressive, che con JON ANDERSON
diede vita a questa straordinaria band alla fine degli anni '60.
Il concerto si snoderà in due parti distinte la
prima incentrata sul sottovalutato album del 1980, dove entravano in formazione
GEOFF DOWNES alle tastiere, tutt'ora
presente, e TREVOR HORN alla voce,
che produrrà gli YES subito dopo il rientro di ANDERSON con 90125 del 1982! L'album
non fu più eseguito dal vivo da quel tour. Quindi
spazio a MACHINE MESSIAH, WHITE CAR, DOES
REALLY HAPPEN?, INTO THE LENS, RUN THROUGHT THE LIGHT e TEMPUS FUGIT, in
rigoroso ordine di esecuzione come da album. La band non lascia spazio alle
chiacchiere e si nota fin da subito in barba ai detrattori, la padronanza
scenica di BILL SHERWOOD, che in
possesso di una buona tecnica al basso e alla seconda fondamentale voce nello
stile YES, ricalca in tutto e per tutto, perfino nelle movenze, il maestro e
amico CHRIS. Del resto, SHERWOOD era da tempo considerato il sesto YES, avendo
suonato spesso in concerto con la band britannica. Il suono é poderoso e
limpido, con il pubblico partecipe ai "solo" di chitarra
dell'istrionico STEVE HOWE. DOWNES fa la sua parte con onestà e JOE DAVISON alla voce tiene a
meraviglia, con un look che ricorda molto l'ANDERSON giovane! Tiene botta ALAN WHITE alla batteria, senza
raggiungere i picchi di qualche anno fa! Alla fine di DRAMA, c'é un secondo momento significativo nel ricordo di PETER BANKS, primo chitarrista e
co-fondatore scomparso nel 2013, con l'esecuzione di TIME AND A WORD, dall'omonimo lavoro del 1970! La prima parte si
chiude con la stupenda SIBERIAN KHATRU,
e dopo il giusto tributo ci saranno una ventina di minuti di pausa.
Il concerto riprende con un altro brano non
facilmente udibile nei concerti YES, quella DON'T
KILL THE WHALE tratta dal modesto TORMATO, album tra i meno conosciuti,
risalente al 1978! Altre sensazioni suscita la più commerciale, ma ai più
conosciuta OWNER OF A LONELY HEART,
con qualcuno che accenna ad alzarsi dalle poltrone! E' ora di FRAGILE, e puntuale parte l'intro di
chitarra di HOWE che annuncia ROUNDABOUT,
e qui il concerto sale di tono ulteriormente! Spazio solista a DOWNES in una
sofisticata esecuzione di CANS AND
BRAHMS, brano strumentale dalla inconfondibile matrice di RICK WAKEMAN! WE HAVE HEAVEN, ci introduce alla magnifica SOUND
SIDE OF THE SKY, con DAVISON sugli scudi! Corto ma significativo il brano dal
sapore crimsoniano FIVE PER CENT NOTHING,
che scrisse BILL BRUFORD. Buona
l'esecuzione di LONG DISTANCE ROUNAROUND,
con un pubblico sempre più entusiasta e presente! A questo punto, STEVE HOWE
piazza il solito solo di chitarra acustica, con qualche piccola ma accettabile
imperfezione, perdonata dai robusti applausi del folto pubblico! Finalone con
la fantastica HEART OF THE SUNRISE,
che comincia ad attirare qualcuno sotto il palco! Anche FRAGILE é concluso, ma sappiamo benissimo tutti nella sala che ci
sarà spazio per altra musica.
Un paio di minuti di battimani ritmato e via
con STARSHIP TROOPER, coinvolgente e
con le "varianti" da ultimo brano, che attira sotto il palco un
robusto quantitativo di persone, che danno il giusto tributo alla serata.
Piccola chiosa dedicata ai "puristi":
il concerto é stato ottimo sotto tutti i punti di vista, anche con i suoi
picchi notevoli. Quindi ci sentiamo di dire, dato il giusto tributo a chi per
varie ragioni non c'é più, lunga vita a HOWE e compagni, perché fra non molto,
resterà davvero poco.
Nella vita c’è sempre spazio per un “nobile” live, dove il
dialogo incastra alla perfezione note e poesia, in un quadro e cornice. Aldo e la sua Bandalla conquista della "cronosfera", sabato 28 maggio 2016,
sul palco amico del Club il Giardino di Lugagnano, riabbraccia uno
storico album, senza le pieghe del tempo, per un viaggio di incontri, dalle
fresche e stagionate scritture, alle passioni e partiture, dalle squisite
letture. Aldo Tagliapietra, basso e
voce, accompagnato sulla scena da tre affezionati e preparati musicisti: Andrea De Nardi, hammond e tutte le
tastiere esistenti, Matteo Ballarin,
chitarra elettrica e classica e Manuel
Smaniotto alla batteria.
Una creatività senza limiti, una storia che proviene da…
tutt’altra storia, con forme di composizione che rispecchiano, nelle sue parti
costruttive, il ritmo e le melodie, caratteristiche che continuano da
lunghissimi anni. Aldo Tagliapietra, con il suo personale stile, non nasconde
l’indubbia genialità stilistica e rivela tutto il virtuosismo strumentale, una
voce di grande nitidezza, l’efficace incisività in un tessuto morbido, una
robusta fattura armonica e porta sul palco, “Verità
nascoste”, scritto nel 1976, uno spicchio di una leggendaria
carriera fatta di note e poesie emozionali.
Dall’album “Verità nascoste”: “Insieme al concerto”, “Il gradino più stretto del cielo”, “Vedi Amsterdam”, Regina al Troubadour”, “In
ottobre”, “Verità nascoste”, “India” e “Radiofelicità”.
Aldo mescola le “Note” e incastra brani dalle armonie
diverse: “L’Angelo rinchiuso”, “Nella pietra e nel vento”, “Los Angeles”, “Un Angelo”, “Gioco di bimba”,
“Frutto acerbo” e “Amico di ieri”. Si butta a capofitto
sulla straordinaria suite di “Felona
& Sorona” e termina con “Collage”.
Gli applausi aumentano per quantità e volume, e Aldo regala in finale di serata
due perle, “Cemento armato” e “Canzone d’amore”.
Due ore e trenta di autentico spettacolo, con acrobazie di
note e di emozioni che prendono forma, perché dal passato si può imparare ad
ascoltare.
Aldo Tagliapietra, mostra un’energia espressiva inesauribile,
il suo talento costruttivo, una sottile sensibilità per il timbro e merita
grande considerazione per quel tesoro di partiture che si è cucito addosso,
Andrea volteggia eintarsia con le tastiere, Matteo mette a dura prova la tenuta
delle corde, con vibrazioni interminabili, Manuel picchia forte e con un assolo
da brividi fa spellare le mani. La Band, si diverte e viaggia compatta ad alta
quota, ricamando passaggi di autentica bellezza musicale, la ricca offerta di
opere delicate e atteggiamenti travolgenti, come pennellate di colore, un
impasto lineare di voce e strumenti, con il numeroso pubblico a gradire.
Siamo ai titoli finali e passano i giorni, passano le ore, ma
non si dimentica un pezzo di storia.
compie gli
anni oggi, 29
maggio, Athos Enrile, scrittore, narratore, critico
musicale, viaggiatore, dna musica prog e non solo.
Ho conosciuto il "PelAthos" molto tempo fa, quando
era un "normale", fan che frequentava
concerti e convention. La sua grande passione e preparazione l'ha
portato a essere un punto di riferimento nel panorama prog, sopratutto in
internet.
Recensore di dischi (per me troppo buono), non ne ha mai
"stroncato" uno! Fondatore insieme agli amici di "MusicArTeam"
di MAT2020,giornale on-line (gratuito), in cui indebitamente ho
scritto alcune "wazzate".
Ma il suo
capolavoro (a tutt'oggi), rimane il suo libro "Le ali
della musica", un racconto, sensazioni, sui miti del rock che
ha incontrato nella sua vita, in uscita in concomitanza con... il suo compleanno! Consigliato
a tutti..
“White Out”, primo disco dei Barachetti
/ Ruggeri: un duo, anzi un Due,
formato da Luca Barachetti (ex Bancale) e Enrico Ruggeri (ex Hogwash, oggi
musicista sperimentale) e basato sull'incontro / scontro di due visioni
espressive, che portano in dote voce e suono, parola e ritmo, corpo e trama.
E’ un lavoro
molto cerebrale, un LP dove è un po’ come ascoltare una messa laica, un
sentimento diffuso che cova sotto la cenere e che esiste drammaticamente anche
se si cerca di non vederlo.
E’ il disagio
di questa nuova modernità Occidentale, o come dicono loro stessi cogliendo in
pieno il sintomo: “ Il suo male di testa è tensivo. E' frontale,
laterale, occipitale. E' bianco. E' un black-out bianco. E' stress fisico,
psicologico. E' la necessità di essere sempre più produttivi, sempre più
performativi. E' il senso di colpa di non esserlo abbastanza. E' una vita di
dieci ore davanti a uno schermo, a un computer, a uno smartphone, a una
televisione. E' la ripetizione di uno stesso gesto centinaia di volte. E' il
contratto che scade. E' il tutti contro tutti in azienda, in famiglia, nel
mondo-giungla. E' lo smarrimento e la guerriglia. E' abbaglio, macchia oculare,
brachicardia, tachicardia, sonnolenza, acufene, disfunzione sessuale,
formicolio, reflusso, vuoto di stomaco, tremore. E' la melancolia
dell'automazione, dell'alienazione, di chi non sa più guardare il cielo ma solo
l'orizzonte. La melancolia lieve, diffusa, implosiva, livida. Come l'orizzonte
livido, assente perché non c'è un'utopia, non c'è una fede, non c'è una
tensione verso l'assoluto in grado di proteggerlo dal Nulla. Gli è rimasto solo
il mercato. La totale assenza di significati della realtà ultravelocizzata e
conformata a prodotto. Il Nulla alfanumerico dove ogni cosa è devota al denaro
come unico generatore di valori. Il denaro e la sua crescita infinita. Il
denaro e un corpo. Il corpo occidente devitalizzato che il mercato ha reso
consumatore e la tecnica funzionario. Un oggetto organico incapace di trovare
nel proprio essere-nel-mondo un senso oltre quello annichilente della propria
reificazione, della propria consumazione di produttore e consumatore. Un
qualcosa che colmi l'assurdo di una vita-verso-la-morte (biologica e ancor
prima psichica) a cui il bancomat non può dare nessuna risposta.”
La musica qui è scarna, volutamente
provocatoria, fatta più di sonorità allucinatorie che ritmiche, psichicamente
coerenti col discorso testuale, ripetitiva come i nostri gesti, inconsistente
come la nostra vita, nella quale tuttavia pensiamo anche di essere felici, ma
mai realizzati.
La voce
strozzata e stentorea sottolinea il disagio e l’alienazione, e in un certo
senso evoca forse più il lavoro teatrale di Carmelo Bene che un’opera musicale,
ma lascia comunque interdetti esprimendo chiaramente la drammaticità del nostro
vivere.
Da una parte
una manciata di testi in forma di poesia scritti da Luca Barachetti, una poesia che però
deve fare i conti con altro suono; dall'altra le macchine analogiche, gli strumenti
autocostruiti e gli strumenti tradizionali (ma suonati in modo atipico) di Enrico Ruggeri,
per la prima volta alle prese con delle parole dall'inizio del suo percorso
sperimentale.
Dodici brani
divisi fra otto tracce sul e nel male di testa (come rappresentazioni e
disvelamenti: “Dolore bianco”, “Corpo Occidente”, “Pulsa”,
“Macula”, “White Out”, “Mare morto”, “Panda psichico”,
“Uomo occipitale”) e quattro tracce analgesiche (come tentativi di
ribellione salvifica: “Uomo scritturato”, “San Sebastiano”, “Cretto
del vero”, “Fiume verticale”).
“Una massa sonora che è il frutto di tre anni
di lavoro e di un vagare fra influenze, stimoli e suggestioni suonando poco,
riflettendo tanto, mangiando e ridendo molto, umanamente. “White Out” è
insomma l'approdo artistico, politico, personale di un ritrovarsi nel grande
black out bianco del contemporaneo accelerato, dove l'orizzonte è scomparso, il
paesaggio è freddo, disumano e ogni cosa è indistinguibile. Ma in questo bianco
baluginante dove la nostra testa pulsa e ci dice che siamo esseri cardiaci di
carne, nervi e sangue possiamo ricominciare a lasciarci travolgere dalla
realtà, a farci trafiggere dall'amore e spaccare dalla consapevolezza. Per
rialzare il cranio verso un'azzurrità salvifica. Una reazione vitale mai come
ora necessaria: uomini occipitali che tornano ad essere Uomini verticali.”
Come da loro stessi sostenuto.
Si teneva nelle giornate
del 26 e 27 maggio 1973il " ", presso il Teatro Politeama a Palermo.
Non si hanno grandi notizie
in merito ma vedendo il cartellone, a parte qualcuno come i romani Semiramis e L'Uovo di Colombo, la maggior parte erano quasi tutti
gruppi della area Bergamo- Milano – Genova.
Già all'epoca esisteva il
caso "New Trolls", infatti c'erano i New Trolls di Vittorio De Scalzi e i New Trolls di Nico di Palo (!!??); presenti anche gli Alphataurus che esordivano con il primo
album, a cui partecipava anche Vittorio de Scalzi.
Sicuramente, questo
festival non sarà passato alla storia, ma avercene!
Osanna
live al Club Il Giardino - Lugagnano (VR) 21/05/2016
di Marco
Pessina
Considerare gli OSANNA di casa al Club Il Giardino
è da ritenersi un fatto ormai consolidato tante sono ormai le frequentazioni
della band partenopea in terra veronese; questa data era in calendario
praticamente dall'ultima esibizione risalente all'anno scorso! L’appuntamento,
che cadeva all'interno del prog festival,
é stata l'occasione per registrare l'intero concerto, sia in audio che in
video, per una prossima pubblicazione! Perché non mancasse nulla a questo
recital, che durerà alla fine qualcosa come due ore e mezza, LINO VAIRETTI e soci hanno invitato
alcuni amici, per una situazione che non si ripeterà tanto presto in giro per
l'Italia. Oltre al bravo flautista MAURO
MARTELLO (LINCOLN QUARTET) erano presenti due signore, che hanno lasciato
un segno nella musica "colta" italiana. Stiamo parlando di DONELLA DEL MONACO (OPUS AVANTRA) e JENNY SORRENTI ( SAINT JUST). Il
pubblico ha risposto presente ancora una volta, per quella che a dire il vero
ormai non é più una novità. Hanno suonato sul palco oltre a VAIRETTI ( voce,
chitarra acustica e armonica), i fidi SASA'
PRIORE (tastiere), NELLO D'ANNA
( basso), IRVIN VAIRETTI (voce e
sinth), GENNARO BARBA ( batteria) e PASQUALE CAPOBIANCO (chitarra). Il
sound degli OSANNA é un vero e proprio miscuglio di rock e tradizione
napoletana, con accenni di jazz e perfino di blues, il tutto miscelato nel sottile
confine del progressive! L'amalgama ormai consolidata del sestetto, rende nelle
situazioni dal vivo come non mai. I virtuosismi di CAPOBIANCO e PRIORE, il
ritmo martellante del duo D'ANNA/BARBA, il canto preciso e puntuale dei
VAIRETTI, padre e figlio, sono stati impreziositi, come nell'occasione de L'UOMO, dal flauto di MARTELLO, che ha
ricordato quello delle registrazioni originali. Un occhio di riguardo per i
pezzi in cantato napoletano come CE
VULESSE, FENESTA VASCIA, MICHELEMMA', che non mancano mai nei
concerti degli OSANNA! Il pubblico é bello caldo e partecipe. Non mancano
accenni al sociale come PROFUGO e,
nel finale della prima parte del concerto, ci sarà un bel duetto con la DEL
MONACO nell'esecuzione di CANZONE AMARA.
Robuste dosi di applausi ci introducono alla seconda parte del concerto, che ci
offre un medley di cover che comprende NON
MI ROMPETE, che gli OSANNA ormai fanno sempre dal vivo da quando un paio di
anni fa scomparve prematuramente FRANCESCO DI GIACOMO del BANCO, IL BANCHETTO (PFM) e la chicca della
parte finale suonata di LUGLIO, AGOSTO,
SETTEMBRE NERO degli AREA. E' inutile sottolineare che il tutto è stato
molto apprezzato in sala! A questo punto c'è JENNY SORRENTI, che esegue UNA BAMBINA, accompagnata da PRIORE al
piano. TRISTANA, pezzo dei SAINT JUST
arrangiato magistralmente riscuoterà il giusto tributo. Per non farci mancare
nulla, LINO e JENNY, canteranno la famosissima VORREI INCONTRARTI del fratello ALAN SORRENTI. Altra dose di
adrenalina da MILANO CALIBRO NOVE,
partendo da PRELUDIO per poi finire
nella tiratissima FUJE 'A CHISTU PAESE!
Applausi scroscianti e band che lascia il
proscenio per farne ritorno quasi subito. Nei bis ci sono altre dediche per
VICTOR SOGLIANI (EQUIPE 84 e PINO DANIELE) con le esecuzioni di AUSCHWITZ e IL MARE. Applausi ed ennesimo ritorno, questa volta con un medley
che prevede LANSCAPE OF LIFE, EVERYBODY'S GONNA SEE YOU DIE, A'ZINGARA, ORO CALDO, L'AMORE VINCERA'
DI NUOVO e INTRO ANIMALE, con
tanto di assolo di batteria di GENNARO BARBA.
Può bastare ci diciamo, in mezzo agli applausi
e ormai vicini all'una di notte. Finisce col selfie di tutti i partecipanti al
concerto sul palco, in un tripudio di applausi e incitamenti! Alla prossima.
compie gli anni oggi, 23
maggio, Patrick
Djivas, bassista compositore, francese di nascita, naturalizzato
italiano.
Considerato uno dei
migliori bassisti al mondo, è da 43 anni colonna portante e motore pulsante
(insieme a Franz di Cioccio), della Premiata
Forneria Marconi.
Entrò nella PFM dopo la
famosa Jam Session all'Altro Mondo di Rimini, nell'estate del 1973. Nel locale
si esibiva il Banco del Mutuo Soccorso, ma c'erano anche componenti degli
Osanna, Area… nasce così l'idea di una jam session. Patrick era senza basso e
restio a suonare, e fu Demetrio Stratos a convincerlo ad andare in albergo a
prendere lo strumento ed unirsi a loro. Sul palco Vittorio e Gianni Nocenzi,
Paolo Tofani, Patrick Djivas, Demetrio Stratos, Mauro Pagani, Alberto Radius,
Elio d'Anna, Franz Di Cioccio.
Tra Patrick e Franz, nasce
affinità e feeling, tanto che sembrava avessero suonato sempre insieme... Infatti
a cena Franz gli spara a bruciapelo: "Vuoi venire nella PFM?" La
risposta è storia... vai Djivas!
Nel maggio 1974, in
contemporanea con l'uscita dell'omonimo album, gli "Uno", sono in tour in Italia con Tito Schipa jr.
Sono formati dagli ex
Osanna Elio D'Anna e Danilo Rustici, e dall'ex Elza Poppin Enzo Vallicelli alla batteria (anche se
in realtà doveva essere Tony Esposito, ma all'utimo momento preferì proseguire
la sua carriera solista).
Progetto ambizioso, il
disco registrato nei costosissimi "Trident Studios" di Soho, mette in
evidenza le loro capacità di strumentisti, ma le aspettative del pubblico
rimangono deluse.
Il tour partì dal Teatro Alfieri di
Torino il 13 maggio, con il compagno di scuderia della Fonit Cetra, Tito Schipa
jr, che promuoveva il nuovo disco "Io Ed Io Solo".
Gli Uno trovarono grandi difficoltà
nell’eseguire dal vivo un album che aveva molte sovraincisioni, quindi
dovettero utilizzare delle basi pre-registrate, con molti incovenienti.
Addirittura al Teatro Circo
di Roma, il20 maggio,
non riuscirono a terminare il concerto, perchè avevano perso il controllo
dell'acustica e delle registrazioni... si salvarono improvvisando, grazie alle
loro grandi capacità strumentali.
Questo li porterà ad eliminare
le parti registrate e a chiamare l'ex “Cervello”, nonchè
fratello di Danilo, il bassista/chitarrista Corrado Rustici, che arricchisce il
suono e libera i compagni da troppo impegno.
La stampa li accoglie
con "freddezza", Vallicelli decide di abbandonare il
gruppo (farà il turnista con Eugenio Finardi e Gianna Nannini) e, nonostante
il disco ottenga ottimi risultati all'estero, Elio D'anna e i fratelli
Rustici abbandonano la sperimentazione rock degli "Uno" per formare
una band rock-fusion, i "Nova".
Da segnalare lo
"zampino" di altri ex Osanna alla realizzazione del disco degli
"Uno". Massimo Guarino,
disegna la copertina , mentre le foto interne sono state scattate da Lino Vairetti.
"Uno" resta un
album particolare e affascinante, ma poco fortunato, per una band
innovativa e abile anche nei "trucchi" in sala di registrazione.
" Mi
sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono
visto che ridevo
mi sono
visto di spalle che partivo
ti saluto
dai paesi di domani..."
( Fabrizio
de Andrè - Anime salve)
Ci sarai sempre… Buon
viaggio Capitano
WK
Il ricordo di Eugenio Finardi.
Francesco era una
persona speciale a cui tutti volevano bene. Ed è quello a cui devo la mia libertà da Finardi. Potrà sembrare strano, ma questo mio nuovo
disco è il primo di inediti in italiano da
16 anni. Sedici anni in cui ho spaziato dal blues al rock alla musica classica
contemporanea. Ma tutto è iniziato con un progetto di fado portoghese, nato
proprio da un incontro a Recanati con Francesco Di Giacomo. Mi incrociò e mi
disse: ”Aho, a Euge, c’hai vojia de canta er fado? (ridiamo...)”
Sì, andò proprio così.
Lui era in tournée con Marco Poeta, un chitarrista recanatese appassionato di
fado e di chitarra portoghese, e Francesco, coinvolgendomi in questo progetto,
mi ha donato la libertà, mi ha fatto capire che potevo fare altro al di là di
Finardi. Perché alla fine essere cantautori è una privilegiata condanna a
cantare sempre quelle 20-30 canzoni, se ce l'hai. Un grande privilegio, come
dicevo, ma per qualcuno che è anche musicista diventa a un certo punto una
gabbia dorata.
Pendragon
live al Club Il Giardino - Lugagnano (VR) 16/05/2016
di Marco
Pessina
Avere l'esclusiva per l'Italia di un tour
europeo di questo tipo significa avere fatto centro. Se ne sono accorti lo
staff del GIARDINO,
rivelatosi, una volta tanto, "piccolo" per tutte le richieste
pervenute al locale. E non poteva essere altrimenti, perché nonostante fosse
lunedì sera, il tour del ventennale di MASQUERADE OVERTURE, album
considerato da molti "absolute masterpiece" della band britannica, ha
attirato al club gente da ogni parte della penisola. Dal canto suo lo staff del
locale ha fatto del suo meglio per cercare di accontentare più gente possibile.
Il tour dei PENDRAGON
toccherà mezza Europa e ancora una volta il club veronese verrà accostato ai
"templi" sacri della musica "colta". Ovunque ci giriamo c'é
gente e l'atmosfera é già calda. C'é già CHRISTINA BOOTH della band neo gallese
dei MAGENTA, sul palco per la sua
performance da solista. La sua presenza era annunciata e darà una mano poi
anche nei cori ai PENDRAGON. Il Club é veramente gremito quando, accompagnati
dalla base registrata di OVERTURE,
fanno capolino i nostri "eroi". E subito si inizia con AS GOOD AS GOLD. Questa prima parte di
concerto sarà dedicata all'album del '96 con poche concessioni alle
chiacchiere. Quindi una dopo l'altra vengono eseguite PAINTBOX, la delicata PURSUIT
OF EXCELLENCE, GUARDIAN OF SOUL, THE SHADOW e la bellissima MASTER OF ILLUSIONS. NICK BARRETT (chitarra e voce é
accompagnato dai fidi CLIVE NOLAN
(tastiere) e da PETE GEE (basso e
tastiere addizionali), con la piacevole sorpresa di JOHN YOUNG (batteria), autore di una prova maiuscola e di un paio
di assoli eccellenti, come quello su MASTER
che chiude la prima parte del concerto. A questo punto le prime parole di
BARRETT, che nel ringraziare il Giardino per aver fatto ritornare la band, ne
sottolinea l'aspetto intimistico. Situazione acustica con YOUNG che esce di
scena con KING OF THE CASTLE, sempre
da MASQUERADE OVERTURE, con una buona
prova delle vocalist. Rientro in scena di YOUNG e via con SCHIZO. BARRETT é il solito istrione, oltre che un ottimo
chitarrista, e i suoi legati melodici prendono il pubblico, che con l'andar del
concerto si scalda ulteriormente. BEAUTIFUL
SOUL apre una parentesi su quello che resta l'ultimo lavoro da studio della
band, stiamo parlando di MEN WHO CLIMB
MOUNTAIN, realizzato nel 2014. NOLAN e GEE assecondano il loro leader come
meglio non si potrebbe e la qualità del suono é notevole e mai fastidiosa.
FACES OF LIGHT é un altro spezzone tratto dall'ultimo disco. Applausi
scroscianti anche in mezzo ai brani in un turbinio di luci e suoni notevole. E
se per caso ce ne fosse bisogno, via con NOSTRADAMUS
(Stargazing) da THE WINDOW OF LIFE, pezzo che sembra fatto apposta per alzare il
ritmo, con i presenti in sala che accennano al coro durante il ritornello. COME ON JACK ci riporta all'ultimo
lavoro e ad una situazione più soft. A questo punto, dopo un paio di aneddoti
sulla storia della band sfornati dal vulcanico NICK, prende corpo l'esecuzione
di BREAKING THE SPELL sempre da THE WINDOW OF LIFE, che con il suo
struggente assolo della sei corde ci immerge nelle magiche atmosfere di quel
lavoro, con un crescendo rossiniano e con il pubblico che alla fine si alza in
piedi per la prima volta alla fine del brano. Un'autentica ovazione per un
brano che vale quasi da solo il prezzo del biglietto! Guardiamo l'orologio e
notiamo che ci stiamo avvicinando alla seconda ora, corsa via tutta d'un fiato
e non ce ne siamo nemmeno accorti. C'é spazio per THE GREEN AND PLEASANT LAND, brano tratto da PASSION, e sono queste atmosfere che ci conducono alla fine del
concerto, con BARRETT che alza la chitarra verso il cielo e chiama intorno a sé
tutti gli altri, per un sentito abbraccio del pubblico. Tuttavia lo scandito
battimani inizia praticamente da subito e la band, dopo un paio di muniti di
attesa, ci concede un altro grande brano tratto da PURE, quella INDIGO che
segnò un certo cambiamento di stile indurendo il sound del quartetto
britannico. E le note lancinanti della chitarra di BARRETT ci conducono tra la
psichedelia ed heavy prog, mentre il pubblico e già pronto a scattare in piedi.
Questa volta però, sarà l'ultima del concerto. Applausi a scena aperta per un’ altra
serata di grande musica dal vivo. Alla prossima.
“Il rock non eliminerà i tuoi problemi, ma ti permetterà di ballarci sopra…”
Pete Townshend
Hello rockettari,
compie gli anni oggi, 19 maggio, Pete Townshend, grande chitarrista,
cantante particolare, ma soprattutto un grandissimo autore. Oltre a scrivere
tutte le grandi hits degli "WHO", ha scritto delle inimitabili opere
rock: Tommy, Quadrophenia... che altro "volemo dì"...
Gli Who sono ancora on the road e torneranno in Italia a
settembre!
I savonesi Nathan sono una band che, tra vari cambi di
formazione, tiene duro da oltre una ventina d’anni. E, innegabilmente, in
questo lungo percorso, il gruppo si è tolto notevoli soddisfazioni: i Nathan
hanno portato in giro su vari palchi i loro tributi, di volta in volta
incentrati su nomi del calibro di Genesis, Pink Floyd, Peter Gabriel e
Supertramp; hanno messo in scena in teatro delle eccellenti rappresentazioni di
“Ovo” (dalla discografia solista gabrielliana) e “The Lamb lies down on
Broadway”, assieme al corpo di ballo di Alessandra Schirripa; si sono esibiti
con un’orchestra sinfonica, rileggendo non soltanto i classici genesisiani, ma
anche brani di nomi come Yes e Kansas. Ma probabilmente, nel cammino dei
Nathan, l’emozione più grande è stata quella di condividere il palco insieme a
un nome come Richard Sinclair, “l’Anima” di due formazioni storiche come i
Caravan ed Hatfield and the North e collaboratore occasionale dei Camel e di
Robert Wyatt, con il quale hanno presentato live un emozionante excursus
storico tra le note del rock di Canterbury.
A questo punto, per raggiungere la soddisfazione finale,
mancava un solo tassello: dopo tanti tributi, un album di materiale proprio.
Ed ecco arrivare questo “Nebulosa”,
intelligente e curatissimo album di progressive rock dalle mille sfumature e
dalle molte anime.
La breve intro di “La
notte prima” è affidata a bellissimi intrecci su tempi dispari di piano e
sintetizzatori, che creano fin dalle note iniziali il giusto pathos sinfonico e
cosmico al tempo stesso; ed ecco “Diluvio”,
un arpeggio organistico di tipa scuola prog italiana, con un cantato
decisamente particolare. Potrà sembrare strano ma l’impatto alle prime note
della voce fa venire in mente un nome inaspettato: quello di Mino Reitano,
autore che quando scriveva per altri aveva una mano ben più raffinata ed
eclettica di quanto ci si potesse aspettare, e che godeva di un’ottima cultura
rock, pur essendo ingabbiato in un personaggio pop che non gli apparteneva.
L’inserto strumentale soft che arriva sui 2 minuti e mezzo circa, tra chitarre
arpeggiate e synth melliflui, non può non ricordare i Genesis; il tema di
tastiere si trasforma poi in un meraviglioso e ispirato solo chitarristico,
fino al bellissimo crescendo strumentale finale che ricorda alcuni momenti di “Il fiume” de Le Orme.
La title-track, terza traccia del disco, avrebbe potenzialità
di singolo radiofonico enormi. Una melodia vocale che entra in testa fin dal
primo ascolto, un testo accattivante e una partenza chitarristica aggressiva di
scuola quasi AOR, l’hard rock melodico americano, ben punteggiata da arpeggi di
synth molto neo-prog. L’assolo di organo Hammond centrale, veloce e dalle trame
imprevedibili, ci rammenta le frequentazioni canterburyane della band, ma con
un’ulteriore sterzata verso la metà il brano si indurisce, lambendo i territori
del metal-prog.
“Resto qui” inizia
riprendendo il tema iniziale dell’intero album, arricchito da una chitarra di
matrice molto floydiana e da ottimi inserti di flauto. Ma dopo il primo minuto
e mezzo, ecco riprendere forma robuste trame metal-prog, alternate con sapienza
a momenti più delicati e intimisti. L’interpretazione vocale è una delle più
intense e struggenti dell’intero disco, armata di una dolcezza che ricorda il
grande Aldo Tagliapietra.
Dopo il breve inserto elettronico/space-rock di “Nel profondo” arriva “La coltre viola” e… quell’arpeggio di
piano così vicino all’intro di “The Lamb lies down on Broadway” non può non
evocarci i trascorsi come tributo genesisiano dei Nathan. I perfetti “languori”
chitarristici che emergono sopra il piano, completano l’opera come giusto
Hackett avrebbe fatto. L’intro flautistica di “A ferro e fuoco” ci porta addirittura al cospetto di un Epitaffio
crimsoniano, prima di esplodere in un energico hard-rock giocato tra i riff
della chitarra e dell’organo sporcato dal giusto grado di distorsione, mentre
ancora la chitarra e il Minimoog si inseguono in duelli solisti. La sfuriata,
però, dopo i 4 minuti e mezzo, ci porta a navigare dolcemente nel prog italiano
più di vecchia scuola, tra sapori di Pfm e Banco, per poi risalire in un fiero
crescendo finale. Un brano che, con i suoi oltre 7 minuti, si impone nel novero
degli “highlights” del disco.
“Il tempo dei miracoli”
inizia per sola voce e pianoforte, con gli altri strumenti che entrano pian
piano, quasi in punta di piedi. Con questa ottima traccia di oltre 8 minuti, i
Nathan si inseriscono in grande stile nella nobile scuola del progressivo
italiano degli anni ‘90/’90, che ci diede nomi del calibro di Arcansiel,
Finisterre, Ezra Winston e Leviathan, ancora oggi ricordati con amore dai
cultori del genere e qui molto ben evocati nel gusto e nelle atmosfere.
“L’attesa” è forse
il brano che, strumentalmente, si distingue e si ricorda per i temi più belli,
ancora una volta con i Genesis, questa volta quelli di “A trick of the tail” e
“Wind and wuthering”, che fanno capolino qui e là. Anche il testo e
l’interpretazione vocale sono tra i più toccanti del disco, costruiti su
un’altra di quelle melodie che ricorderete a lungo.
“Il fiume sa” parte
con un tempo dispari scandito con forza, di tipica scuola new-prog; questa è la
traccia più vicina al progressivo melodico anni ’80 di gruppi come IQ,
Pendragon e i primissimi Marillion. I ricami tastieristici centrali evocano
persino il grande Keith Emerson, ma dopo il terzo minuto e mezzo cedono il
passo a ricami chitarristici di impronta jazz-rock/fusion, per poi tornare nel
tema dispari iniziale. E a metà del brano le ondate di Mellotron che sorreggono
il costrutto armonico del brano, faranno scendere più di qualche lacrimuccia ai
progster più nostalgici, mentre la chitarra sopra di esso ci delizia ancora con
volteggi tra Pfm, Genesis e Yes. Il crescendo che ci porta verso il settimo
minuto è mozzafiato, e culmina in un bellissimo cantato corale che potrebbe
rievocare le migliori incursioni dei Pooh nei territori del rock progressivo.
Finale epico, come si conviene a un brano che supera i 9 minuti di durata.
“Comandavo il vento”
si apre con l’arpeggio pianistico che abbiamo incontrato all’inizio dell’album,
quasi a ricordarci che il disco sta per finire, con la chitarra che su di esso
disegna linee melodiche realmente magiche. L’epico cantato, intenso e rabbioso,
ben si sposa con la durezza del riff che lo accompagna. Le divagazioni
strumentali di questo brano sfociano quasi in certo jazzrock, con un gusto
molto attuale, sempre flirtando con il prog-metal. Ma il finale si apre,
ritorna di nuovo più solare, regalandoci un altro tra i temi strumentali più
toccanti ed emozionanti sul disco, mentre ci accompagna verso la conclusiva “Quando volo”. Quest’ultima, introdotta
da loop di percussioni elettroniche dal sapore quasi etnico che ben si
intrecciano con il piano, ci regala forse la più bella melodia vocale del
disco. I Nathan sono liguri, e il cantato in qualche modo richiama qui la più
nobile scuola cantautoriale genovese, in equilibrio tra Gino Paoli e Ivano
Fossati. Il modo più commovente per finire un ottimo disco.
Doveroso, a questo punto, ricordare chi sono i Nathan che,
nel perfetto amalgama sonoro di questo disco, dimostrano di aver trovato la
loro miglior formazione di sempre: i componenti fissi sono Piergiorgio “PJ”
Abba(tastiere), Bruno Lugaro (voce e basso), Fabio Sanfilippo (batteria) e
Daniele Ferro (chitarre); Abba e Lugaro firmano anche la quasi totalità dei
brani; come ospiti sono accreditati Marco Milano (pianoforte e co-autore in
alcune tracce), Monica Giovannini (cori), Mauro Brunzu (basso) e Davide Rivera
(flauto).
Dal punto di vista delle invenzioni melodiche e dell’eleganza
stilistica, questo “Nebulosa” dei
Nathan si farà ricordare a lungo tra le migliori produzioni di progressive rock
di questo decennio, probabilmente non soltanto in Italia, ma anche a livello
internazionale. Un’opera fresca, intelligente, variegata, dove mille influenze
si fondono tra loro senza essere mai derivative ma, al contrario,
sorprendendoci sempre con un caleidoscopio imprevedibile di prog, hard, AOR,
fusion, pop, cantautorato raffinato e jazz-rock, perfettamente dosati in una
ricetta dal gusto delizioso.