Nathan “Nebulosa”
(2016)
di Alberto Sgarlato
I savonesi Nathan sono una band che, tra vari cambi di
formazione, tiene duro da oltre una ventina d’anni. E, innegabilmente, in
questo lungo percorso, il gruppo si è tolto notevoli soddisfazioni: i Nathan
hanno portato in giro su vari palchi i loro tributi, di volta in volta
incentrati su nomi del calibro di Genesis, Pink Floyd, Peter Gabriel e
Supertramp; hanno messo in scena in teatro delle eccellenti rappresentazioni di
“Ovo” (dalla discografia solista gabrielliana) e “The Lamb lies down on
Broadway”, assieme al corpo di ballo di Alessandra Schirripa; si sono esibiti
con un’orchestra sinfonica, rileggendo non soltanto i classici genesisiani, ma
anche brani di nomi come Yes e Kansas. Ma probabilmente, nel cammino dei
Nathan, l’emozione più grande è stata quella di condividere il palco insieme a
un nome come Richard Sinclair, “l’Anima” di due formazioni storiche come i
Caravan ed Hatfield and the North e collaboratore occasionale dei Camel e di
Robert Wyatt, con il quale hanno presentato live un emozionante excursus
storico tra le note del rock di Canterbury.
A questo punto, per raggiungere la soddisfazione finale,
mancava un solo tassello: dopo tanti tributi, un album di materiale proprio.
Ed ecco arrivare questo “Nebulosa”,
intelligente e curatissimo album di progressive rock dalle mille sfumature e
dalle molte anime.
La breve intro di “La
notte prima” è affidata a bellissimi intrecci su tempi dispari di piano e
sintetizzatori, che creano fin dalle note iniziali il giusto pathos sinfonico e
cosmico al tempo stesso; ed ecco “Diluvio”,
un arpeggio organistico di tipa scuola prog italiana, con un cantato
decisamente particolare. Potrà sembrare strano ma l’impatto alle prime note
della voce fa venire in mente un nome inaspettato: quello di Mino Reitano,
autore che quando scriveva per altri aveva una mano ben più raffinata ed
eclettica di quanto ci si potesse aspettare, e che godeva di un’ottima cultura
rock, pur essendo ingabbiato in un personaggio pop che non gli apparteneva.
L’inserto strumentale soft che arriva sui 2 minuti e mezzo circa, tra chitarre
arpeggiate e synth melliflui, non può non ricordare i Genesis; il tema di
tastiere si trasforma poi in un meraviglioso e ispirato solo chitarristico,
fino al bellissimo crescendo strumentale finale che ricorda alcuni momenti di “Il fiume” de Le Orme.
La title-track, terza traccia del disco, avrebbe potenzialità
di singolo radiofonico enormi. Una melodia vocale che entra in testa fin dal
primo ascolto, un testo accattivante e una partenza chitarristica aggressiva di
scuola quasi AOR, l’hard rock melodico americano, ben punteggiata da arpeggi di
synth molto neo-prog. L’assolo di organo Hammond centrale, veloce e dalle trame
imprevedibili, ci rammenta le frequentazioni canterburyane della band, ma con
un’ulteriore sterzata verso la metà il brano si indurisce, lambendo i territori
del metal-prog.
“Resto qui” inizia
riprendendo il tema iniziale dell’intero album, arricchito da una chitarra di
matrice molto floydiana e da ottimi inserti di flauto. Ma dopo il primo minuto
e mezzo, ecco riprendere forma robuste trame metal-prog, alternate con sapienza
a momenti più delicati e intimisti. L’interpretazione vocale è una delle più
intense e struggenti dell’intero disco, armata di una dolcezza che ricorda il
grande Aldo Tagliapietra.
Dopo il breve inserto elettronico/space-rock di “Nel profondo” arriva “La coltre viola” e… quell’arpeggio di
piano così vicino all’intro di “The Lamb lies down on Broadway” non può non
evocarci i trascorsi come tributo genesisiano dei Nathan. I perfetti “languori”
chitarristici che emergono sopra il piano, completano l’opera come giusto
Hackett avrebbe fatto. L’intro flautistica di “A ferro e fuoco” ci porta addirittura al cospetto di un Epitaffio
crimsoniano, prima di esplodere in un energico hard-rock giocato tra i riff
della chitarra e dell’organo sporcato dal giusto grado di distorsione, mentre
ancora la chitarra e il Minimoog si inseguono in duelli solisti. La sfuriata,
però, dopo i 4 minuti e mezzo, ci porta a navigare dolcemente nel prog italiano
più di vecchia scuola, tra sapori di Pfm e Banco, per poi risalire in un fiero
crescendo finale. Un brano che, con i suoi oltre 7 minuti, si impone nel novero
degli “highlights” del disco.
“Il tempo dei miracoli”
inizia per sola voce e pianoforte, con gli altri strumenti che entrano pian
piano, quasi in punta di piedi. Con questa ottima traccia di oltre 8 minuti, i
Nathan si inseriscono in grande stile nella nobile scuola del progressivo
italiano degli anni ‘90/’90, che ci diede nomi del calibro di Arcansiel,
Finisterre, Ezra Winston e Leviathan, ancora oggi ricordati con amore dai
cultori del genere e qui molto ben evocati nel gusto e nelle atmosfere.
“L’attesa” è forse
il brano che, strumentalmente, si distingue e si ricorda per i temi più belli,
ancora una volta con i Genesis, questa volta quelli di “A trick of the tail” e
“Wind and wuthering”, che fanno capolino qui e là. Anche il testo e
l’interpretazione vocale sono tra i più toccanti del disco, costruiti su
un’altra di quelle melodie che ricorderete a lungo.
“Il fiume sa” parte
con un tempo dispari scandito con forza, di tipica scuola new-prog; questa è la
traccia più vicina al progressivo melodico anni ’80 di gruppi come IQ,
Pendragon e i primissimi Marillion. I ricami tastieristici centrali evocano
persino il grande Keith Emerson, ma dopo il terzo minuto e mezzo cedono il
passo a ricami chitarristici di impronta jazz-rock/fusion, per poi tornare nel
tema dispari iniziale. E a metà del brano le ondate di Mellotron che sorreggono
il costrutto armonico del brano, faranno scendere più di qualche lacrimuccia ai
progster più nostalgici, mentre la chitarra sopra di esso ci delizia ancora con
volteggi tra Pfm, Genesis e Yes. Il crescendo che ci porta verso il settimo
minuto è mozzafiato, e culmina in un bellissimo cantato corale che potrebbe
rievocare le migliori incursioni dei Pooh nei territori del rock progressivo.
Finale epico, come si conviene a un brano che supera i 9 minuti di durata.
“Comandavo il vento”
si apre con l’arpeggio pianistico che abbiamo incontrato all’inizio dell’album,
quasi a ricordarci che il disco sta per finire, con la chitarra che su di esso
disegna linee melodiche realmente magiche. L’epico cantato, intenso e rabbioso,
ben si sposa con la durezza del riff che lo accompagna. Le divagazioni
strumentali di questo brano sfociano quasi in certo jazzrock, con un gusto
molto attuale, sempre flirtando con il prog-metal. Ma il finale si apre,
ritorna di nuovo più solare, regalandoci un altro tra i temi strumentali più
toccanti ed emozionanti sul disco, mentre ci accompagna verso la conclusiva “Quando volo”. Quest’ultima, introdotta
da loop di percussioni elettroniche dal sapore quasi etnico che ben si
intrecciano con il piano, ci regala forse la più bella melodia vocale del
disco. I Nathan sono liguri, e il cantato in qualche modo richiama qui la più
nobile scuola cantautoriale genovese, in equilibrio tra Gino Paoli e Ivano
Fossati. Il modo più commovente per finire un ottimo disco.
Doveroso, a questo punto, ricordare chi sono i Nathan che,
nel perfetto amalgama sonoro di questo disco, dimostrano di aver trovato la
loro miglior formazione di sempre: i componenti fissi sono Piergiorgio “PJ”
Abba (tastiere), Bruno Lugaro (voce e basso), Fabio Sanfilippo (batteria) e
Daniele Ferro (chitarre); Abba e Lugaro firmano anche la quasi totalità dei
brani; come ospiti sono accreditati Marco Milano (pianoforte e co-autore in
alcune tracce), Monica Giovannini (cori), Mauro Brunzu (basso) e Davide Rivera
(flauto).
Dal punto di vista delle invenzioni melodiche e dell’eleganza
stilistica, questo “Nebulosa” dei
Nathan si farà ricordare a lungo tra le migliori produzioni di progressive rock
di questo decennio, probabilmente non soltanto in Italia, ma anche a livello
internazionale. Un’opera fresca, intelligente, variegata, dove mille influenze
si fondono tra loro senza essere mai derivative ma, al contrario,
sorprendendoci sempre con un caleidoscopio imprevedibile di prog, hard, AOR,
fusion, pop, cantautorato raffinato e jazz-rock, perfettamente dosati in una
ricetta dal gusto delizioso.
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