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lunedì 16 gennaio 2023

Audio’m - Gaïa 1. Godzilla-Commento di Alberto Sgarlato

 


Audio’m - Gaïa 1. Godzilla (2022 )

di Alberto Sgarlato


Per entrare appieno nella filosofia del mondo Audio’m è necessario un breve inquadramento storico/geografico: la band infatti proviene da Banyuls-sur-mer, località all’estremo confine sud della Francia, sui Pirenei a due passi dalla Spagna; ed in questo luogo tra mare e monti, alcuni componenti lavorano in un’azienda vitivinicola. Chi, come il sottoscritto, ha avuto l’opportunità di vederli live, sa che questo straordinario rapporto uomo/natura che caratterizza le loro vite si proietta anche nella dimensione live, sotto forma di spettacolari performance “hippy old school” tra progressivo e psichedelia, con la presenza di numerosi musicisti sul palco.

E decisamente vasto è anche lo schieramento di forze di “Gaïa 1. Godzilla”: tutto ruota attorno alla voce epica, enfatica, ieratica di Emmanuelle Olmo-Cayuela, affiancata da una formazione di ben due chitarre (Gary Haguenauer e Dominique “Oiss” Olmo), due tastieristi (Michel Cayuela e Mathieu Havart), un bassista che all’occorrenza suona anche la chitarra, Simon Segura, e abbiamo tenuto appositamente per ultimo un “orgoglio tutto italiano” dietro la batteria: si tratta di Marco Fabbri, turnista che abbiamo già apprezzato in molteplici progetti di prog-rock e non solo.

“Gaïa 1. Godzilla” è un progetto estremamente ambizioso: si tratta del primo volume di una trilogia e, a prescindere dal fatto che lo si ascolti in formato “fisico” o “liquido”, va concepito come due uniche suite, in 5 movimenti ciascuna, separate da una “side A” e una “side B”, proprio come se compissimo il gesto simbolico della rotazione del vinile sul piatto.

Per questo loro secondo album (a sei anni di distanza dall’esordio omonimo, datato 2016), gli Audio’m scelgono di spingere prepotentemente sul pedale del drammatico, dell’inquietudine, a tratti dell’angoscia e della paura. Per questo, fin dalle prime note, a dettare legge è un Mellotron fortemente sfruttato nei suoi registri più cupi, ottimo supporto al cantato di Emmanuelle. E immediatamente viene alla mente un paragone: gli svedesi Anglagard di “Hybrys”. Ma “Gaïa 1. Godzilla” non è solo questo: ci pensa infatti lo straordinario lavoro fatto dalle chitarre, con i loro intrecci, a spostare il tutto su territori ora più acustici e “pastorali”, ora più dinamici e jazz-rock, tra Canterbury Sound e Mahavishnu Orchestra. E poi, ancora, inaspettate e spettacolari fughe di sintetizzatori dal timbro pienamente vintage, clavicembali e clavinet “nervosi” ed asciutti che ci riportano al grande prog italiano (Banco, Orme, Balletto di Bronzo), persino sciabolate di maestosi organi liturgici da film horror (da Antonius Rex a Devil Doll fino ai conterranei vandergraffiani francesi La Rossa), il tutto fino a culminare nel bellissimo, maestoso, crescendo finale dell’album, dove gli intarsi delle chitarre con il sintetizzatore e il Mellotron mettono a frutto in modo inequivocabile la scuola dei Genesis, un grido liberatorio che è quasi una It da “The Lamb lies down on Broadway” o una Los Endos da “A trick of the tail” nella sua furia conclusiva.

Il cantato è in inglese, probabilmente per la sua accessibilità totale a livello mondiale. Ma potrebbe essere anche in francese, o in italiano, o in svedese, o in qualsiasi lingua del pianeta, sarebbe bello comunque tanto è perfetto l’amalgama tra voce e musica.

Un disco che ha nei suoi ossimori la sua bellezza.

Il primo ossimoro sta nel fatto che, nella sua ricerca delle sonorità vintage, potrebbe essere stato composto e arrangiato nel 1972; eppure suona modernissimo. Sarà grazie alla potente e agile sezione ritmica Segura/Fabbri, che offre un solido taglio moderno, sarà grazie alla voce di Emmanuelle Olmo-Cayuela, unica e senza paragoni nel panorama di ieri e di oggi, sarà nella capacità del collettivo di filtrare influenze e stili in un risultato assolutamente personale.

Il secondo ossimoro sta nel fatto che sì, è senza ombra di dubbio un album dominato dalle tastiere, eppure è lo straordinario lavoro di contrappunto realizzato dalle chitarre che fonde alla perfezione il tutto.

Il terzo ossimoro sta in questo sound che riesce, per assurdo, a essere tenebroso e solare, cupo ed esplosivo, quieto ed inquieto.

Uno disco che è difficilissimo da “raccontare” e descrivere a parole. Merita diversi ascolti e molto attenti. Fatelo e non ve ne pentirete.






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