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mercoledì 15 maggio 2024

YES – THE CLASSIC TALES OF YES TOUR 2024 - PADOVA – GRAN TEATRO GEOX – 8 MAGGIO 2024-Il commento di Evandro Piantelli

 


YES – THE CLASSIC TALES OF YES TOUR 2024

PADOVA – GRAN TEATRO GEOX – 8 MAGGIO 2024

Di Evandro Piantelli

 

Dopo diversi rinvii dovuti alla pandemia e, sembra, ad altri problemi organizzativi, finalmente questo concerto, inizialmente previsto per il 2020, si è potuto tenere regolarmente. Ed io, per una serie di motivi che vi spiegherò più avanti, mi sono lasciato tentare ed ho preso il biglietto. Naturalmente vi racconterò nei dettagli quello che ho visto e ho sentito. Ma prima, bisogna fare un salto indietro nel tempo. Anzi, due.


NICE, Palais des expositions – 20.07.1984

Il mio primo concerto degli Yes ha coinciso col tour promozionale del disco “90125”, un lavoro rivoluzionario, che ha sorpreso i vecchi fan e ne ha regalati al gruppo molti nuovi. Nel corso della serata la band (Jon Anderson – voce, Trevor Rabin – chitarre, Tony Kaye – tastiere, Chris Squire – basso e Alan White - batteria) aveva eseguito quasi interamente il nuovo disco (con l’hit Owner of a lonely heart), oltre ad alcuni classici quali Yours is no disgrace, Long distance runaround, And you and I, I’ve seen all good people, Roundabout ed una versione “interstellare” di  Starship trooper, con le luci ed i laser che trasformavano il palco in una nave spaziale che decollava verso l’infinito (ed oltre). Un concerto indimenticabile, che per anni è stato il mio preferito fra le centinaia a cui ho assistito.

 

VADO LIGURE, Stadio Chittolina – 12.07.2003

Con mia grande sorpresa, in una calda serata di luglio di oltre 20 anni fa, gli Yes hanno tenuto un concerto allo stadio comunale di Vado Ligure che, per chi non lo conoscesse, è un piccolo comune vicino a Savona, a pochi chilometri da dove vivo. La band aveva da poco pubblicato “Magnification”, un disco di prog sinfonico, ma la cosa più interessante era che si presentava sul palco con una delle lineup più amate della sua lunga storia, cioè quella di “Tales from topographic oceans” e “Going for the one”, con Steve Hove – chitarre, Rick Wakeman – tastiere, Chris Squire – basso, Alan White – batteria e Jon Anderson alla (sempre splendida) voce. Concerto che ha visto la band proporre grandi classici quali, tra gli altri, South side of the sky, Wonderous stories e uno dei miei brani preferiti di sempre, Awaken, con un paio di pezzi tratti dal lavoro più recente, cioè Magnification e In the presence of. Inutile dire che, anche questo concerto, rimane tra quelli che ricordo con maggiore affetto.

E veniamo quindi al concerto di Padova ed ai motivi che mi hanno spinto ad andarci.

1.    La formazione. Dopo la scomparsa di Squire (2015) e di White (2022) gli Yes si presentano con una formazione che vede Steve Howe alle chitarre e voce, Geoff Downes alle tastiere (tornato negli Yes dopo averne fatto parte nel 1980 ai tempi di “Drama”), Billy Sherwood al basso (che collabora con la band da molti anni ed ha avuto il difficile compito di sostituire l’immenso Squire), Jon Davison alla voce e chitarra acustica e Jay Schellen alla batteria (che già da qualche anno affiancava ai tamburi Alan White). Vorrei far notare che nessuno degli attuali componenti della band era presente al concerto del 1984 ed il solo Howe era sul palco a Vado Ligure.

2.    Il nuovo disco. Nel 2023 gli Yes hanno pubblicato con l’attuale formazione “Mirror to the sky” un lavoro piacevole e onesto, che si ascolta volentieri e contiene al suo interno alcuni brani di ottima fattura, tra i quali Cut from the stars e All connected. Personalmente il disco mi è piaciuto e lo ritengo uno dei migliori pubblicati da un po’ di tempo a questa parte, almeno dai tempi di “Fly from here” (2011).

3.    La scaletta. Ero molto curioso di scoprire quali pezzi, nello sterminato repertorio della band, sarebbero stati proposti nel corso della serata. Pezzi solo classici o anche pezzi dal nuovo album? E tra i pezzi storici avremmo ascoltato i “soliti noti” oppure ci sarebbe stata qualche sorpresa? Lo scoprirete presto perché adesso (qualcuno dirà: “finalmente!”) inizia il vero racconto della serata. Mettetevi comodi, lo spettacolo va a cominciare.

Il Gran Teatro Geox di Padova ha tutte le caratteristiche che dovrebbe avere uno spazio per concerti: è facilmente raggiungibile, ha un ampio parcheggio, l’acustica è eccellente e le poltrone sono disposte in modo da assicurare un’ottima visibilità anche dalle file posteriori. All’ingresso del teatro ci accoglie una mostra/mercato di disegni numerati ed autografati da Roger Dean, lo straordinario artista che ha realizzato buona parte delle copertine degli Yes (e di molti altri gruppi storici del prog e non solo). Si tratta di lavori bellissimi ma, per il sottoscritto, un po’ cari, perché i prezzi vanno dai 125 euro per un set di quattro disegni poco più grandi di una cartolina ai 1.500 euro per i disegni delle copertine dei dischi più famosi. Comunque, un bel benvenuto per i tanti appassionati accorsi da tutta Italia e dall’estero.

Alle 21.15, puntualmente, si spengono le luci e sale sul palco la band accolta dagli applausi di tutti i presenti. L’inizio del concerto è a dir poco micidiale con una Machine messiah da brividi, dove la chitarra di Howe ed il basso di Sherwood dominano la scena con un botta e risposta che non lascia indifferenti. Segue It will be a good day (da “The ladder” del 1999), un bel pezzo che mette in evidenza le doti vocali di Davison, a cui seguono due super classici: Going for the one e I’ve seen all good people. La band è affiatata e anche Downes e l’ultimo arrivato Schellen paiono ben integrati nel combo. Il gruppo propone poi una versione esclusivamente strumentale di America, un pezzo di Paul Simon che il gruppo aveva pubblicato all’epoca solo in 45 giri. Personalmente la scelta di tagliare la parte cantata non mi ha entusiasmato, ma comunque il pezzo è bello. Seguono la dolce Time and a word e Don’t kill the whale un pezzo che, ricorda Steve Howe, già negli anni ’70 anticipava temi ambientalisti. La prima parte del concerto (a cui seguirà una pausa di una ventina di minuti) si chiude con il capolavoro Turn of the century, un lungo brano tratto da “Going for the one” che, secondo molti tra i presenti, da solo valeva il prezzo del biglietto. Dopo la pausa il concerto è ripreso con South side of the sky (tratto da “Fragile” del 1972), seguita da Cut from the stars, unico trai pezzi eseguiti proveniente da “Mirror to the sky”. Per concludere la seconda parte del concerto gli Yes hanno scelto di proporre un Medley dei quattro brani che compongono “Tales from topographic oceans” e cioè The revealing science of God/The remembering/The ancient/Ritual (nous sommes du soleil). Questa proposta, a mio avviso, ha rappresentato l’unico punto debole della serata, non tanto per l’esecuzione (sempre perfetta) quanto per il modo in cui i pezzi sono stati cuciti insieme, una specie di puzzle sonoro che mi ha lasciato un po’ perplesso. Dopo una breve uscita la band è tornata sul palco per gli immancabili encore, eseguendo una coinvolgente versione di Roundabout e salutando il pubblico con una sempre bellissima Starship trooper (questa volta senza astronave).

Cosa possiamo dire di questo concerto? Bella scelta di brani, esecuzione con pochissime sbavature, band affiatata, performance nel complesso godibile. Certo, qualcuno si chiederà se è giusto che si chiamino Yes o se non sarebbe più corretto The Steve Howe band. È difficile rispondere a questa domanda, ma se ci guardiamo intorno sono molte le band dove è rimasto solo uno dei componenti storici, ma che continuano a fare dischi e concerti con la denominazione originaria (tra quelli che ho visto mi vengono in mente PFM, Uriah Heep e Hawkwind, ma ce ne sono molti altri), per non parlare dei gruppi dove non c’è più nessuno dei membri storici. Ma qui ci sarebbe da aprire un capitolo che va oltre la recensione del concerto.


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