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martedì 11 novembre 2025

Intervista ad Evocante, in attesa del suo nuovo spettacolo, il 12 dicembre 2025, a Roma

 


Evocante- Intervista


Tempi moderni. Di tutto un po' è il nuovo spettacolo di Evocante, nome d’arte di Vincenzo Greco, cantautore, saggista e artista multimediale.

Uno progetto molto diverso dai soliti, dal clima carbonaro e dal contenuto resistenziale, di cui l'autore ha proibito di fornire alcuna anticipazione.

 

Mat2020 lo ha incontrato, per convincerlo a venire meno a questa ferrea determinazione.

Proprio perché carbonaro, la prima assoluta sarà, il 12 dicembre 2025, in un luogo ideale come il B-Folk di Roma, via dei Faggi, 129/A, dove l’avventura Evocante ha mosso i primi passi e dove, sempre, nel tempo, l’autore ha messo alla prova i suoi lavori prima di proporli ad altre platee.

L’infinito fra le mani. Viaggio sonoro narrativo su temi cari a Franco Battiato, rappresentato in prima assoluta al Teatro Basilica di Roma con due sold out, ha approfondito le tematiche che hanno fatto da asse portante del percorso artistico di Battiato. Quale tra queste tematiche, a suo avviso, ha avuto una maggiore presa sul pubblico?

Sicuramente quella della spiritualità. Che, detta così, potrebbe creare un equivoco: Battiato non va considerato un santino e tanto meno un santone, un guru. E purtroppo c’è qualcuno che lo rievoca così, facendogli il peggiore dei torti.

La spiritualità in lui ha rappresentato una spinta costante ad alimentare la curiosità verso sé stessi, verso le potenzialità dell’uomo e verso ciò che non è visibile né raccontabile. Si tratta di andare alla ricerca della sfera del sentimento e di tutto quello che ci fa sentire come se riuscissimo ad astrarci, a liberarci dai pesi, a volare.

Questo ha interessato molto il pubblico perché è stato stimolato ad andare alla ricerca di autori da leggere, di pratiche meditative in cui esercitarsi, di luoghi particolarmente carichi di un’aria diversa da quella che di solito viviamo, di territori reali e dell’anima.

Il mio spettacolo ha avuto la pretesa di proseguire il discorso iniziato da Battiato, partendo da lui ma non esaurendosi in lui, tanto che mi sono spinto ad ipotizzare come poter entrare in contatto con quello che, seguendo l’esperienza di molti mistici, io chiamo il seme divino che abbiamo dentro; e devo riconoscere che questo coraggio è stato pienamente premiato dalla risposta del pubblico. Tanto che ho intenzione di riproporlo. Ma in piena libertà, come tutte le cose che faccio, dove ho preso esempio proprio da Franco: “non voglio comandare né essere comandato”. E qui sorgono i problemi, perché purtroppo in Italia se non conosci governanti e amministratori politici che ti sovvenzionano – ovviamente in cambio di pacchetti di voti o di chissà che altro – o se comunque non fai parte del giro dei soliti amichetti è molto difficile trovare luoghi e persone interessate alla sola operazione artistica e culturale. Il crescente numero di casi di sovvenzionamenti e segnalazioni – chiamiamole così – sta lì a testimoniare come la promozione della cultura e dell’arte ormai siano entrate in pieno nella logica clientelare. Alla cultura si dovrebbe guardare con ben altra ambizione che piazzare il raccomandato di turno o farci soldi in prima persona “con la scusa di…”.

Ma in qualche modo – che sia di nuovo un’autoproduzione come quella rappresentata al Teatro Basilica (ci tengo a dirlo, senza alcun sovvenzionamento né politico né da parte di sponsor improbabili!) o altro – spero di riuscire a riproporre questo lavoro, tanto più che ha avuto apprezzamenti unanimi e di alto livello anche da parte della critica. Lo meritano tutte quelle persone che attendono una replica per rivederlo o per vederlo la prima volta. In molti mi scrivono, e spero di rispondere presto a questo interesse e questa attesa, trovando la giusta situazione.

Nel videoracconto All’improvviso… tornerà la luce, con musica suonata dal vivo in sincrono con il video, affronta il tema della caduta nell’oscurità e del ritorno della luce. È uno dei suoi tópoi?

A ben pensarci, da buon fautore della visione sistematica delle cose, basata su collegamenti, il mio discorso artistico è un po’ tutto collegato. Quindi sì, anche questo tema torna spesso, e torna anche in altri casi dove pare non entrarci.

Artisticamente è come se avessi due anime, in contatto tra loro. Una, più metafisica, che guarda verso l’alto e cerca di entrare in contatto con il soffio divino di eternità, affrontando cadute nel buio e scacciando le tentazioni ateistiche che tutti gli spiritualisti ben conoscono (tanto per tornare a Battiato, “nelle cadute c’è il perché della sua assenza”). L’altra, più fisica e terrena, che guarda alla vita che conduciamo, alle dinamiche del potere, agli ideali, anche politici (non di partito, per carità).

Qualcuno ogni tanto mi consiglia di abbandonare questa visione perché potrebbe allontanare una parte di pubblico. Non è un caso che si tratta di persone di destra che, se pure amiche, sono comunque infastidite dalla mia insofferenza verso il potere e dai miei ideali radicati a sinistra. Ma queste due anime non sono separabili perché sono i due volti di una stessa medaglia: io credo che per la crescita spirituale occorra crescere anche come cittadino e come persona inserita in un contesto sociale. Se, tanto per fare un esempio, credi che Israele non stia compiendo un genocidio, e ti limiti a farne una questione terminologica, se non ti interessa nulla di quello che sta accadendo perché tanto non accade a te o, peggio ancora, bolli la questione come bega politica dei soliti rompipalle sui diritti umani e sulla tutela delle minoranze, a che crescita spirituale puoi ambire? Credendo nell’Assoluto, cui sto dedicando il mio prossimo testo, so bene che esiste anche un senso di giustizia assoluta, e che la Verità non è riducibile ad una serie di “de gustibus” o di opinioni personali. Esiste la giustizia come la Verità, alle quali la crescita spirituale impone di avvicinarci e cercare. E quello che sta accadendo nel mondo è la summa di tante ingiustizie e menzogne. Come poterne stare fuori per paura di perdere qualcosa, che sia pubblico, un contratto discografico, una reputazione, il quieto vivere ecc.?

La cultura del presente la definirebbe postmoderna o ipermoderna?

Mah, sono definizioni discusse e quindi non saprei dirti esattamente proprio perché per qualcuno il postmoderno deve ancora iniziare mentre per altri è già finito. Però, stando al gioco, tenderei più a pensare che ora stia diventando tutto iper, nel senso di esagerato, oltre misura, pompato, gonfiato. Si fa passare tutto per straordinario, eccezionale, unico, e non è quasi mai vero. La banalità, anzi, trionfa.

Ma c’è una sensazione che ho, e che vorrei non avere. Mi pare che da un po’ di tempo abbiamo preso un piano inclinato senza neppure accorgerci, una sorta di Età di mezzo umana e culturale che ci sta facendo ridimensionare e progressivamente abbandonare le grandi conquiste sociali dell’uomo, dalla democrazia alla tutela dei diritti umani. Abbiamo pensato molto allo sviluppo tecnologico e sempre di meno all’uomo. Un po’ come è avvenuto con le grandi opere d’arte del Rinascimento, o nel Settecento e Ottocento musicale, certi capolavori che hanno sfiorato la perfezione tanto da sembrare espressione del divino (e probabilmente lo sono) sembrano lontanissimi e ora irrealizzabili. Così sta avvenendo nel campo sociale, dove il concetto di eguaglianza pare solo un bel ricordo del passato, che molti sono contenti di avere archiviato come utopia irrealizzabile. Lo stesso per il concetto di democrazia, di pace, di tutela dei più deboli. Ecco, tanto per tornare all’ambito spirituale e metafisico, stiamo vivendo un periodo dove il diabolico sta scatenando le sue forze, e lo vedo anche nei rapporti umani: se vai nei social, vedi orde di persone che commentano con un odio inspiegabile qualsiasi cosa e gettano fango su persone, accusandole di ogni genere di nefandezza, quando i più nefasti sono proprio questi commentatori del nulla.

Si definirebbe antimoderno, senza timore di essere tacciato di passatismo?

Sono consapevole che mettere l’accento sulle storture del modernismo può generare questo equivoco. Tanto che nel mio libro “Il tempo moderno e i suoi inganni. Riflessioni critiche in Ferretti, De André, Battiato e Waters” ho risposto a questa osservazione nell’ultimo capitolo.

A me non interessa il passato in quanto tale né ambisco a ritornarci, conscio come sono che la scala del progresso (sempre che non sia mero sviluppo, come ci diceva Pasolini) è sempre in salita e comporta un bruciare dietro i gradini: indietro non si torna, insomma.

Però ambisco a un presente e a un futuro sostenibili ed umani. E, tanto per fare un esempio molto abusato ma efficace, in persone che conducono la propria vita sempre con lo smartphone addosso, accettando di ridurre la propria visione del mondo allo schermo del telefono o di un Mac, che accettano di comunicare, come si fa ad esempio su molti social come Instagram o TikTok, per slogan e per fonemi e non con ragionamenti, ci vedo poco di umano e di sostenibile.

È umanamente insostenibile la deriva che ha preso il moderno: sta vincendo, mi rendo conto, ma in cambio stiamo perdendo le caratteristiche dell’umano, che sono quella di pensare, elaborare, parlare, creare, incontrarci, confrontarci, ambire all’elevazione e al miglioramento. O ci illudiamo di migliorare facendo fare tutto all’intelligenza artificiale, dalle musiche alle locandine alle tesi di laurea ai racconti alle confessioni e ad altro ancora? Stiamo perdendo, neanche troppo lentamente, tante capacità, delegandole alle macchine. Vedo molti chiedere ogni cosa a Chat Gpt, come se avessero del tutto perso il senso del ragionamento e la curiosità della scoperta. E paradossalmente le nostre vite, sempre più affrettate e piene di stimoli cui rispondere all’istante, stanno diventando, un po’ come in Tempi moderni di Chaplin, macchinose, senz’anima, prevedibili, come fossero programmate.

Siamo sicuri che questo futuro fatto passare per progresso sia veramente umano?

A proposito, può darci qualche anticipazione sullo spettacolo Tempi Moderni - Di tutto un po’?

Come direbbe il ministro Tajani, “fino a un certo punto”. Non per mero gusto del mistero, ma perché contiene alcune sorprese che funzioneranno se non vengono anticipate.

Però qualcosa posso dire. Si tratta del mio progetto più rischioso, persino più di quello su Battiato, dove almeno avevo la sua ancora solida ad aiutarmi a tenere la barra dritta. In questi giorni, invece, che sono di piena preparazione e rifinitura dello spettacolo, insieme ai miei compagni di avventura (Barbara Vanorio al basso, Roberto leone alle chitarre, Tommaso Avellino alla batteria e… sorprese varie) sono in pieno mare aperto o, se preferisci, un vulcano in eruzione, pieno di idee e di spunti, e devo fare attenzione a selezionare quelle giuste e scartare quelle meno adatte.

Si tratta di uno spettacolo molto diverso da quelli finora fatti in cui prevarrà la parte terrestre della mia anima, anche se quella spirituale avrà sempre il suo spazio. La parte principale sarà musicale, con pezzi miei e qualche cover dei CCCP Fedeli alla line e Sidùn di De André, che avrà un ruolo centrale. È un progetto folle in cui la pretesa è di descrivere le storture dei tempi moderni usando la logica dei tempi moderni stessi e quindi, come suggerisce il sottotitolo “di tutto un po’”, passare con disinvoltura da un tema all’altro, da un genere musicale all’altro, da un registro drammatico ad uno scherzoso, quasi come se fossimo davanti i tanti video che ci propongono i social, in modo apparentemente schizofrenico.

L’attenzione che devo prestare in questo utilizzo di una grammatica che vado a criticare è di non farmi travolgere né incorporarmi in questa. Si tratta, infatti, non di un saggio critico né di una maionese impazzita ma pur sempre di un prodotto artistico che, come sempre, spero possa lasciare qualcosa di bello e smuovere qualche coscienza.

La scommessa è questa: usare in modo artistico, guardando alla profondità e alla curiosità, una logica che di solito produce cose superficiali. E l’obiettivo è che chi assista esca dalla sala stemperando un certo senso di inquietudine con il sorriso proprio perché, non in modo sguaiato, ci sarà parecchio anche da ridere, o almeno sorridere, soprattutto nelle parti parlate, dove risiederanno le principali novità che non posso anticipare e che nessuno credo di aspetterebbe da me. Forse perché in me da qualche tempo sta crescendo la voglia di cazzeggio, inteso in modo tuttavia serio (ma non assolutamente serioso!): tanto che come sottotitolo avevo pensato pure a “una risata li seppellirà” o a “rido per non piangere”.

Ci saranno anche parti feroci, soprattutto a livello politico, dove prendo posizione su un po’ di questioni perché sento il dovere artistico, umano e civile di farlo. Da qui, la mia definizione di spettacolo carbonaro e resistenziale. E infatti per la prima volta lo rappresentiamo il prossimo 12 dicembre a Roma, al B-Folk di via dei Volsci, 129/A, locale che ha tutte le caratteristiche per ospitare un progetto carbonaro di questo tipo: vicinanza del pubblico, aria intima e familiare, rispetto per la musica e l’arte. I posti sono pochi, e quindi chi è interessato è meglio prenoti con un messaggio (vedi locandina).


Per saperne di più:

Vincenzo Greco, nato a Vibo Valentia e quasi sempre vissuto a Roma, è cantautore e artista multimediale. Conosciuto col nome d’arte di Evocante, ha già all’attivo gli album “Di questi tempi”, Dialettica Label 2022; “Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato”, Dialettica Label, 2023; “Siamo esseri emozionali”, Dialettica Label, 2024 e i singoli “Troppo/Poco”, Dialettica Label, 2022 e “Lode all’inviolato”, Dialettica Label, 2023. 

All’improvviso- Canzoni lievi” è il suo quarto album.

Ha dedicato vari studi a Franco Battiato culminati nel libro “Battiato. Una ricostruzione sistematica. Percorsi di ascolto consapevole” pubblicato da Arcana Edizioni, Collana Musica, nel 2023, in contemporanea con l’uscita dell’album “Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato”.

Vincenzo Greco ha realizzato anche due video-racconti musicali (“Solo cose belle”, 2013 e “LiberAzione”, 2015, ambientato in Islanda) e un docufilm (“E noi ficimu a facci tanta. Una reazione Vibonese”, 2018). 

 

L’11 e 12 ottobre  ha debuttato al TeatroBasilica di Roma il nuovo spettacolo dell’autore, L'infinito fra le mani-Spettacolo su temi proposti da Franco Battiatoche ha fatto registrare un doppio sold-out.

 

Riferimenti Utili

Sito: https://www.vincenzogrecoevocante.it/

Fb: https://www.facebook.com/evocante

https://www.facebook.com/vincenzo.greco.92

Ig: https://www.instagram.com/evocante/

YouTube: https://www.youtube.com/user/gadamer13




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