Innocenzo
Alfano, “Storie di Rock Vol. 2”: Introduzione
di Innocenzo Alfano
Credo che non sia abituale leggere introduzioni di libri non
ancora pubblicati e dei quali, oltretutto, non si sa neppure se vedranno
effettivamente la luce, un giorno o l’altro. Ed anch’io, in verità, mai avrei
pensato di dedicarmi ad una simile pratica. Se l’ho fatto, in questa
circostanza, è per due ragioni. La prima è che un altro libro (il settimo in
totale, di cui cinque di musica) l’ho scritto e completato, e pur contattando
varie case editrici non ho ravvisato un particolare interesse, da parte loro,
nei confronti dell’oggetto delle mie riflessioni. La seconda ragione è che, per
l’appunto, leggendo l’introduzione del volume qualche casa editrice possa, magari,
restare maggiormente incuriosita e ritenere utile un approfondimento. La cosa
più importante per me, in ogni caso, è sapere che il libro esiste, anche se,
per ora, soltanto in un cassetto della mia scrivania. A seguire, per gli
interessati, l’Introduzione di Storie di
Rock Vol. 2.
Nei due anni successivi alla pubblicazione di Storie di Rock, avvenuta nel dicembre del 2011, e che a questo
punto possiamo anche definire “Volume 1” , ho avuto spesso come l’impressione di aver
lasciato il lavoro non dico a metà, ma in qualche modo non del tutto finito. Il
fatto è che di cose da dire ne avevo, ancora, già all’epoca, solo che in un
libro, lo sappiamo, dopo aver iniziato a scriverlo bisogna pure decidersi,
prima o poi, a metterci un punto finale. Decisi perciò di fermarmi dopo 370
pagine, ritenendo che fossero sufficienti ad illustrare l’obiettivo che mi ero
prefisso. E qual era quest’obiettivo? Lo specificava la quarta di copertina, spiegando
che l’autore del volume, «oltre ad analizzare in modo originale (come da sua
abitudine) fatti e musiche riferiti a nomi e formazioni ormai classici, si
propone di riportare alla luce l’attività di importanti gruppi e musicisti per
lo più trascurati, e in qualche caso addirittura dimenticati, da una certa
storiografia – specialmente italiana – non sempre all’altezza del suo compito».
L’Introduzione di Storie di
Rock Vol. 2, passando ora al nuovo testo, non può non essere direttamente collegata
alla Introduzione di Storie di Rock
(Vol. 1). Del tutto identico è infatti lo spirito che lo anima e, soprattutto,
il taglio che gli ho dato. Diciamo che, rispetto al primo volume, questo
secondo ne è, contemporaneamente, la sua naturale continuazione e conclusione. L’unica
differenza è nella lunghezza (inferiore) e nella struttura interna, non più
divisa in capitoli.
Per illustrare gli argomenti di cui mi sono occupato nel libro,
dato il collegamento stretto esistente con il precedente ed omonimo volume,
basterà citare un passaggio tratto dalla Introduzione di Storie di Rock, e il quadro sarà subito chiaro: «Nei quattro
capitoli di questo libro il lettore troverà numerose riflessioni da me dedicate
al rock “classico”, cioè il rock suonato dal vivo ed inciso su dischi di vinile
tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Ce n’è per tutti i gusti: analisi di
album – e di singoli brani – con relativa guida all’ascolto, saggi critici,
retrospettive più o meno ampie, recensioni di libri, rievocazione di storici
festival e concerti, oltre a molte, davvero tante, curiosità». Come detto,
manca la suddivisione in capitoli, ed inoltre, rispetto a Storie di Rock, mi sono preso una doppia licenza: sconfinare in
qualche circostanza dagli anni ’60 e ’70 – superandoli – e dedicare un intero
saggio all’analisi di un 33 giri jazz, sia pure sui generis (e proprio per
questo ho deciso di inserirlo nel volume).
I nomi di gruppi e musicisti classici riproposti anche in Storie di Rock Vol. 2 sono piuttosto
esigui, direi sostanzialmente due: Chicago e Grateful Dead. Il resto del
volume, cioè la quasi totalità, è occupato da new entries: Pink Floyd, Mungo
Jerry, Deep Purple, Stevie Ray Vaughan, Big Brother and the Holding Company (la
band di Janis Joplin), Country Joe McDonald, Siegel-Schwall Band, Mad River, i
gallesi Man e gli italiani Red Onions, Les Sanspapier, Dome La Muerte , Gaetano Liguori e
Lucio Battisti. Tra le nuove entrate c’è in realtà anche il cantautore
statunitense Beck, del quale ho parlato, commentando un suo progetto del (e
nel) 2012, esclusivamente per un problema legato alla incapacità dei cosiddetti
“critici specializzati” di svolgere correttamente il loro mestiere. Sempre al
2012 risale un’intervista privata, su temi musicali, rilasciata all’amico e
conterraneo Ilario Padula, il quale, incuriosito dalle mie “strane” teorie, mi
inviò delle domande dall’Australia (via email) e io, volentieri, gli risposi.
Domande e risposte erano così interessanti che ho deciso di inserirle nel libro,
così come vi ho inserito anche un’altra intervista, diciamo, in questo caso,
“professionale”, curata dal musicologo Gianmaria Consiglio.
Con la pubblicazione di Storie
di Rock Vol. 2 non so se posso considerare terminate le mie riflessioni su
questo genere di musica, iniziate nel 2004 con Il caso del rock progressivo e giunte ormai, complessivamente, al
quinto volume. Una cosa però la voglio ribadire, augurandola a me stesso e
riprendendola dalla più volte citata Introduzione di Storie di Rock: «Spero che quelli che leggeranno questo libro, molti
o pochi che siano, ne traggano utili elementi in vista di una ridefinizione del
rock come fenomeno musicale più che come fatto di costume, rango al quale è
stato ridotto, con il tacito assenso dei musicisti (non tutti, ma la stragrande
maggioranza di essi), negli ultimi quarant’anni». Questo è il mio augurio, ed è
anche il motivo per cui ho dedicato molti anni della mia vita a questi temi.
N. B. L’articolo è già apparso, nella
medesima forma, su “Apollinea”,
rivista bimestrale di arte, cultura, ambiente, turismo, attualità, del
territorio del Parco Nazionale del Pollino, Anno XVIII – n. 6, novembre-dicembre
2014, p. 34.
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