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giovedì 4 gennaio 2018

Il Cerchio d’Oro-“Il fuoco sotto la cenere”, di Alberto Sgarlato



Il Cerchio d’Oro racconta il Cerchio d’Oro
“Il fuoco sotto la cenere” e altre storie
di Alberto Sgarlato

Articolo già apparso su MAT2020 di novembre 2017

La scorsa estate è uscito “Il fuoco sotto la cenere”, terzo album pubblicato per la Black Widow Records dalla band savonese di rock progressivo Il Cerchio d’Oro, dopo i riuscitissimi “Il viaggio di Colombo” e “Dedalo e Icaro”.

Avremmo potuto regalarvi la solita recensione, ma abbiamo fatto molto di più: Athos Enrile e Alberto Sgarlato di MAT 2020 hanno incontrato la quasi totalità della band in una vera e propria “riunione” per parlare del disco e della sua genesi. Presenti all’incontro il tastierista Franco Piccolini, la sezione ritmica formata dai gemelli Giuseppe e Gino Terribile, il cantante e chitarrista Piuccio Pradal, lo storico paroliere Pino Paolino e il nuovo acquisto Massimo Spica alla chitarra. Assente a causa di impegni solo il tastierista e chitarrista Simone Piccolini. È interessante notare che, a parte l’ingresso di Massimo e Simone, tutti gli altri componenti della band sono componenti storici fin dal 1974! Un bell’esempio di coesione e di visione d’insieme da dedicare a tutti quei musicisti, italiani e stranieri, che portano ancora avanti il nome di una band pur con solo uno o due dei membri originali ancora in squadra.


Il Cerchio d’Oro ci racconta che “Il fuoco sotto la cenere” è a tutti gli effetti un concept album, ma vissuto e concepito in maniera totalmente diversa dai due precedenti: “Il viaggio di colombo”, in realtà, non raccontava la scoperta delle Americhe, ma piuttosto il “viaggio interiore”, lo struggimento di un individuo che con coraggio sfidava la storia e la scienza per dimostrare ciò che riteneva giusto. Stesso concetto alla base di “Dedalo e Icaro”: la leggenda delle ali di cera la conosciamo tutti, ma qui il tormento di un padre che vuole liberare il figlio assurgeva a vero protagonista. E ancora una volta il dramma interiore, il tumulto emotivo è protagonista di questo “Il fuoco…”, ma non più incentrato su una singola storia: le canzoni sono tante piccole vicende indipendenti ma legate tra loro da quel fuoco che, per qualche motivo, arde dentro ognuno di noi. Tutti abbiamo un fuoco che brucia, anche quando cerchiamo di sopirlo sotto la cenere di un disagio, di un’apparenza: nel disco troviamo una title track ben rappresentativa di queste trame e di queste emozioni. Poi c’è il fuoco dettato dallo spirito di sopravvivenza e dal desiderio di salvezza di “Thomas”, che si salva proprio da un incendio, c’è il fuoco che arde con il legame alla propria terra in “Per sempre qui”, storia di un uomo portato lontano da casa per lavoro, c’è il fuoco del disagio mentale in “I due poli”, c’è “Il fuoco nel bicchiere”, una spinta all’alcoolismo che non si riesce a domare, c’è il fuoco della passione per la musica in “Il rock e l’inferno”. Infine, sorpresa del tutto inaspettata, c’è una bellissima cover: è “Fuoco sulla collina”, di Ivan Graziani, che doveva uscire come 45 giri a sé stante e invece è stata inclusa nel disco. Anche questo brano non parla di un incendio reale, ma piuttosto di un incubo, in un tormento interiore, fil rouge dell’impronta autoriale del Cerchio d’Oro.

Nella nostra allegra conversazione i musicisti della band savonese hanno espresso parole di stima e di simpatia verso i musicisti che hanno collaborato come ospiti nell’album, tra cui Giorgio Usai e Paolo Siani, rispettivamente organista e batterista de La Nuova Idea, altra storica band ligure. Ma in particolare, chi ha creato un solido legame con il Cerchio d’Oro è stato Pino Ballarini, cantante de Il Rovescio della Medaglia: quest’uomo è stato portato per lunghi anni lontano da casa per lavoro e, al momento di confrontarsi con il testo di “Per sempre qui”, l’ha fatta sua senza esitazione, sentendola proprio come se fosse stata scritta per lui.


Il sound della band, in questo album forse lievemente più spinto sul pedale dell’hard, rispetto ai dischi precedenti, anche in virtù del “focoso” tema trattato, riesce a essere una certezza e una sorpresa al tempo stesso: una certezza perché le straordinarie armonie vocali costruite dalla band, loro vero tratto distintivo, ci proiettano prepotentemente nell’universo del grande prog italiano dei ’70, così come il preciso e pulsante lavoro fatto dalla sezione ritmica, che “macina” senza sosta dando un eccellente supporto e un bel groove alle tracce. Tuttavia, l’inserimento di un chitarrista e un tastierista di generazione successiva, con altre coordinate  e altri miti, ha portato una ventata di novità al sound della band, con sonorità ricche, calde, varie e spesso in aspettate.

Ed ecco un album perfetto, che suona “vintage” ma mai “vecchio”, suona “fresco” ma mai “leggero”, suona “diretto” ma mai “banale”: esattamente come il progressive rock deve essere.




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