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martedì 16 ottobre 2018
Zeroth- The Age of Mechanical Machines, di Gianni Sapia
Zeroth- The Age of
Mechanical Machines
Studio. Cerco e frugo. Poi a un certo
punto leggo un titolo:" Zeroth: ispirato al cervello umano" e mentre leggo di questa
tecnologia che pare possa, per così dire, imparare dall'esperienza, senza
programmi, in completa autogestione, mentre lo leggo appunto ascolto Albert,
The Android e l'associazione scatta naturale: Albert è il mio Zeroth! Mi
succede sempre così quando la musica mi coinvolge, quando mi riveste della sua
pelle e mi rende impermeabile alla realtà. Fantastico, divago, me la viaggio
insomma. E il viaggio che sto per intraprendere sulla decapottabile The Age of Mechanical
Machines di Zeroth è di
quelli da capelli al vento e mondo che scorre ai lati della strada. Un
godimento!
La band corre veloce, confrontandosi con tutte le
declinazioni del rock. Si sentono le influenze di gruppi come Dream Theatre,
Rush, King Crimson, Muse. Ci si inizia a stupire fin da subito, col primo
pezzo, che dà il titolo all'album. L'attacco è strepitoso, una serie di
coinvolgimenti di strumenti esaltante e il pezzo scorre potente, senza farci
mancare quelle sorprese musicali che saranno una costante di tutti i brani
dell'album. Si prosegue col mio Albert di prima. Albert, the Android è una canzone seducente e sinuosa vestita di un
attillato abito rock. L'interpretazione di Jessica è accattivante quanto
coinvolgente. E poi si aprono tutti i pori della pelle per percepire con sesti
e settimi sensi tutta la dolcezza e la gentilezza che Tomorrow si porta dietro e l'odore dei colori prende il
sopravvento. Il viaggio nell'era delle macchine di un uomo, la cui stessa
identità umana è messa in dubbio dal rapporto simbiotico, se non addirittura di
sottomissione, che ha con le macchine, prosegue con Update e non poteva essere altrimenti. Un pezzo fatto di variazioni
sul tema che gode di picchi di tonalità sia alti che bassi. Un ulteriore
conferma del talento e dell'eclettismo degli Zeroth che sembrano
pogare tra le righe del pentagramma. Tra speranza ed un accennato fatalismo il
disco si chiude con I'll Change the World
e ancora la contaminazione riesce grazie all'abilità degli Zeroth di
saper mantenere in equilibrio tutta quella musica che li ha emozionati fino ad
ora. Silenzio, tocca a te. E nel silenzio le note suonano ancora nel mio
cervello. In poco meno di mezz'ora ho goduto di potenza, seduzione, dolcezza,
fatalismo, riflessione... e ora le mie dita mi guardano, sembrano chiedermi di
smetterla con le parole e le orecchie, cuore e cervello, stomaco, le viscere
tutte sembrano essere d'accordo con loro. Ne vogliono ancora. Basta parole,
vogliono musica. Vogliono The Age of
Mechanical Machines, vogliono Zeroth!
P.S.
E io lo rimetto...
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