Zorama
Mariano Rongo: quando un cortocircuito genera bellezza.
Autore:
Zorama Mariano Rongo
Disco:
Virus in Fabula
Anno:
2018
Label:
Blu Music International
Genere:
progressive-pop
Tracklist:
01.
La Fiera dei Fieri
02. Munch
03. Spari e Altari
04. Lividi sui Pensieri
05. E quando Troverò l’Iperuranio…
06. L’Estensione
07. Io non Muoio più (tranne il venerdì)
08. Motel Desolazione
09. Campi di soia (Made in China)
10. Virus in Fabula
11. La Transumanza
12. Dal Sottobosco delle Inquietudini
02. Munch
03. Spari e Altari
04. Lividi sui Pensieri
05. E quando Troverò l’Iperuranio…
06. L’Estensione
07. Io non Muoio più (tranne il venerdì)
08. Motel Desolazione
09. Campi di soia (Made in China)
10. Virus in Fabula
11. La Transumanza
12. Dal Sottobosco delle Inquietudini
Musicisti:
Zorama:
voce, cori, piano, tastiere, synth, chitarre addizionali, effetti
Davide
Ferrante: batteria
Corrado
Calignano: basso
Andrea
Palazzo: chitarre acustiche ed elettriche
Ciro
Genno: tastieri, synth, piano, organo, programmazione
Carmine
Tammaro: organo (9)
Davide
Matrisciano: synth (3, 12), effetti e sintetizzatori virtuali (10)
Saughelli:
basso (6, 7), cori (6)
Percorso
ragionato alla musica dell'autore:
“La
Transumanza” (2018): https://www.youtube.com/watch?v=hT4kJvf66e4
“Tra
il Coraggio e la Follia” (2009): https://www.youtube.com/watch?v=sHDgxj6mEhI
“Ke
Kosì non Sia” (2005): https://www.youtube.com/watch?v=WZG4UkoNi7U
“E
quando Troverò l'Iperuranio” (2018): https://www.youtube.com/watch?v=bw4aMQjwl6E
“Il
tuo Arredamento” - per MINA (2018): https://www.youtube.com/watch?v=W0isTD60iXE
“Sindrome”
(2009): https://www.youtube.com/watch?v=21hUJNwvJro
“Il
Diavolo in Corpo” (2009): https://www.youtube.com/watch?v=xiTTrg32FeU
“Spari
e Altari” (2018): https://www.youtube.com/watch?v=DI0v8m8XQ4Y
“Munch”
(2018): https://www.youtube.com/watch?v=5-eOFh-T1Gs
“Io
non Muoio più – Tranne il Venerdì” (2018): https://www.youtube.com/watch?v=TbphLIXe-S0
“Amore
Nucleare” (2005): https://www.youtube.com/watch?v=kQ4k3cmXOvs
Partiamo da un presupposto, io amo
sinceramente le manifestazioni di quest'uomo.
Nel momento in cui il musicista
poteva mirare al “grande pubblico”, lui ha scelto di pubblicare un parto
sincero, diretto, coraggioso, a segno nell'esito, pur essendo a tratti
eterogeneo.
Un quadro dai tanti, vivaci e
rigogliosi colori che per sua scelta dichiara “è il mio momento, per quello che
sono”.
La sua è musica autenticamente rock
(nella forma senza dubbio) che non rinuncia a una scrittura di liriche
significanti, alcune (ma solo alcune), tra le più belle scritte di recente in
Italia, nella musica pop. L'impegno civile dei nostri cantautori in lui
trova la ricerca fonetica che della poesia pura è propria.
Una ricerca che a tratti si fa un
po' verbosa e proprio in quel momento incontra metafore così bizzarre (il che
non vuol dire necessariamente “riuscite”, ma che... arrivano) da rimanere in
mente (il rospo ingoiato da “E quando Troverò l'Iperurario”, o cito: “i
campi di soia e in mercati di noia, la pelle si scuoia e si incolla una gioia”
da “Campi di Soia – Made in China”).
Quando parlo di poesia non intendo
chiaramente quell'ormai consunto ideale tardo-romantico che pervade gli animi
di chi “poeta” si auto-proclama” spesso.
Qui i temi appartengono al
quotidiano, ad un agito che viene trasfigurato, analizzato con un occhio
clinico, capace di vedere tra le righe ed oltre.
Un viaggio.
Tra questi solchi, tutto è
viaggio, ma giocoso, altero a tratti, ma senza necessariamente quel vizietto
italico (vivo nel pop come nelle avanguardie presunte tali, che
avanguardie “devono essere”, pur di far parte di un “genere”)
dell'auto-castrarsi in partenza, pur di fare arrivare al pubblico la propria
musica.
C'è tantissima costruzione, un
fare artigianale reso con una maestria (perché Zorama, è maestro) tale
che artigianato trasforma in creazione a prescindere e portatrice di identità.
Coraggioso perché queste melodie
“pop” sono fatte per restare e il vestito che portano appresso è un dire “questo
è l'abito più calzante per esse, perché così possa esso lasciare che questi
suoni, queste parole sappiano respirare libere”.
Un coraggio che verrà ripagato,
perché questa musica ha anche stimmate radiofoniche (la bellezza di una melodia
come quella di “Spari e Altari” è indiscutibile, ad esempio).
Le composizioni del musicista
napoletano, nei migliori casi di grande slancio lirico, attingono direttamente
al nuovo progressive rock, quello che conosce l'arte di scrivere arie
contemporanee dalle vertiginose progressioni armoniche. Gli arrangiamenti (Ciro
Genno ne è co-artefice) sposano sinfonismo romantico, neo-classico ed heavy
metal, tempi dispari, continui cambi di quadro emotivo, ma anche pop
ballad italica (spesso il richiamo a Grignani è forte, anche se con tutta
certezza si tratta di una pura coincidenza, meno il contatto con gli amati
Muse, che però fonte di ispirazione non clonata, fortunatamente restano). Un
ideale techno-pop targato Italia pur fedele ad un canto traino
“semplicemente complesso”.
Il canto corrusco è perfettamente
inserito nel contesto delle “voci odierne”, non formate.
Un canto che cerca costantemente
il cielo (col reiterato falsetto senza sostegno, di sfiato, un po' flebile, un
po' ruffiano, un po' tante cose, nel bene e nel male), ma a terra resta, con un
graffio interiore che è prodigo di vita vissuta ed è qui la sua identità, in
questo curioso slancio apparentemente tarpato, a mostrare, come il pop
nostrano richiede, caratteristiche (anche) proprie, ma appena accennate.
Nulla è sgradevole (copertina a
parte, bruttarella invero).
Nulla nonostante “l'esplicito”
appiccicato appresso ai brani.
Uno può urlare (e Zorama lo fa
spesso) “culo” (anche nella variante “fottersi il culo”), “merda”, “fottuto”
(pur nella variante “strafottutissima”), ma non è quello che tange,
figuriamoci... si facesse un disco di bestemmioni venderebbe al pari di un
Tweet politico in voga! E' l'assenza di quello senza luoghi comuni
“finto-sacrali”, che ormai può sortire un effetto “dissacrante” e Zorama, di
quello è pure capace.
Siamo tutti “nervosetti” del resto
e allora “P**** di quel maledetto peloso cinghiale bruno di colore venerato su
Marte, penetrato da una Malombra vergine e sieropositiva!
Non c'è ombra di dissonanza, nulla
che non sia stato concepito per “non restare”, ma neanche (o poco in questo
caso) di studiato a tavolino per “piacere a tutti i costi”.
Zorama, è tale oggi, ha forma, ma
anche sostanza esuberanti, qualche volta anche capaci di arrivare alla sfera
emotiva, senza però chiedere troppo a chi ascolta.
La realtà è che tutta la musica
dovrebbe essere concepita “almeno” così. Intendo, dopo 60 anni di rock music
e di odierni inni ai Queen in qualità di “supremi innovatori” cos'altro
dovrebbe essere la musica altrimenti???
Insomma perché continuiamo ad
ascoltare canzoni tutte uguali da decenni?
Questo è un nuovo standard,
ma dovrebbe essere un “minimo standard sindacale” di
partenza, per tutti”.
E' (anche) talmente genuino,
naturale, da suonare come un cortocircuito, perché si, fa piacere quando
qualcuno viene riconosciuto per quello che sente come intimamente suo.
Questo è Zorama e questa è la sua
musica che inevitabilmente diverrà una colonna sonora dell'indie rock
italico.
Questo è uno di quei dischi che
adolescenti e tardo-adolescenti dovrebbero avere nelle cuffie, in macchina, su
un impianto stereo e da fare ascoltare agli amici senza aver timore d'essere
scambiati per matti, o “strani” (cosa ancora peggiore, perché il termine lascia
spazio a dubbi in un mondo che pur non avendo certezze se le auto-crea, di
plastica) e facendo una gran bella figura.
Uno di quei parti che possono
configurarsi come “piccolo classico” della musica pop italiana.
Ci sono cose che nel mucchio
convincono meno e sono quelle che proprio il pop radiofonico lo
inseguono con affanno (“L'Estensione” e “Lividi sui Pensieri”), o che
semplicemente “non forano completamente la cortina” (“Virus in Fabula”) di un
disco che è tanto urlato, esibito, ma che comunque “sanguina”.
La sola durata dei brani supera la
media dei 6 minuti e non ha paura di raggiungere i 9, ma i pezzi sembrano di
durata radiofonica media.
Altre cose sono sensazionali e già
basta per dire “bene, ci siamo”, la melodia di “Spari sugli Altari”, di
cui ho accennato e le sue increspature sui tasti d'avorio; il perfetto singolo
“E quando Troverò l'Iperuranio” (qui ha ben capito l'autore quello che aveva
donato a sé e agli altri, la sua semplice, grandissima bellezza), che raggiunge
un acme melodico di italo-pop, senza alcuna forzatura e soprattutto,
avendo quella capacità rara di scrivere il facile attraverso armonizzazioni
oggettivamente ardite; la fuga strumentale di “Io non Muoio più - tranne il
Venerdì”; le trascolorazioni di “Munch”; le armonie incantevoli di “Dal
Sottobosco delle Inquietudini”.
Una menzione a parte merita “La
Transumanza”, dal bellissimo testo accompagnato pure a una melodia davvero
potente, a soluzioni strumentali rigogliose e suoni di pregio. Un gioiello, a
mio avviso il più luminoso.
Altre rimangono “a metà”, trovando
negli interventi strumentali le soluzioni più convincenti (“Campi di Soia –
Made in China”), con interventi che richiamano in prima linea Fabio Zuffanti,
Il Balletto di Bronzo e Le Orme... ma i riferimenti culturali sono così vari e
assortiti che davvero, non vale la pena star a qui a citarli. Quando tanti
diventano, si deve parlare di personalità. Punto.
E' questo un disco densissimo,
“tanto”.
Come parto “pop”, degno di nota,
come parto “rock”... anche e a ben vedere, perché la musica oggi sta soffocando
tra produzioni “autenticamente altre” che mai arriveranno (oggi) a un pubblico
(sono “in sospeso”, domani, chissà...) e altre che nascono già cotte e
mangiate.
Il rock non è una chitarra
elettrica, è coraggio.
Per rimanere solo tra i nostri
confini, quel coraggio che ha animato gli Area; i CCCP di “Affinità e
Divergenze”; i CSI di “Linea Gotica”; il Franco Battiato di “Sulle Corde di
Aries”; i Massimo Volume di “Lungo i Bordi” e “Aspettando i Barbari”; Ivano
Fossati di “Macramè”; Piero Ciampi di “Andare, Camminare, Lavorare e altri
Discorsi”; Lucio Battisti di “Anima Latina” e “L'Apparenza”; gli Starfuckers di
“Sinistri”; i Deadburger di “La Fisica delle Nuvole”; i Butcher Mind Collapse
di “Night Dress”, Paolo Saporiti del disco omonimo; Alessandro Grazian di
“L'Abito”; Stefano Ferrian (Lophophora #2); Dalila Kayros (NUHK), De Andrè di “Creuza
de Ma”, il Banco di “Io Sono Nato libero”, gli ZU di “Carboniferous”... ma c'è
tutto un mondo appresso che continua a urlare, vivo e... mai avvicinato, per
distanza culturale, dai più giovani, i Maisie; i Rosolina Mar; Iosonouncane
(DIE); Claudio Rocchi; Juri Camisasca (La Finestra Dentro); Milva che canta
Brecht, Piazzolla, Berio; Luciano Cilio, Fausto Romitelli; Fabrizio Modonese
Palumbo & Ernesto Tomasini; Alan Sorrenti (Aria – testi a parte); Alio Die
e Mariolina Zitta; Raoul Moretti di “Harpness”; Stefano Giannotti; Gianni
Lenoci; Gianni Mimmo; Alice/ Fedigrotti di “Mélodie passagère”; Mina di “Mina
quasi Jannacci”; Antonella Ruggiero di “Pomodoro Genetico”; Nada di “Ho
Scoperto che Esisto anch'Io”; Alessandro Seravalle, Coucou Sèlavy... Giusto per
citare dischi che ho sulla mia disordinata scrivania. Una lista infinita che è
parte del DNA di pochi, perché se dovessero tagliarci le vene, ne verrebbe
fuori sorridente Gigi D'Alessio con appresso le sue ombre a noi tanto care
(“Care Selve, Ombre beate”, verrebbe da dire).
Nel mentre, ben venga Zorama
Mariano Rongo, che c'è vita tra questi solchi e a ben vedere, rabbia,
rivincita, perché si, il successo lui l'ha cercato, ma ha saputo anche capire
cosa per lui meglio era e cioè non la via più ingannevole.
Ascoltatelo, ma avvicinate anche i
lavori precedenti, “Cerchi e Semicerchi” del 2005, a tratti ingenuo (ma che
bella quell'ingenuità) e fatto anche e soprattutto da spunti di grande
freschezza, coesistenza di antitesi musicali a definire unicità di carattere
(“Amore nucleare”, le poliritmie singhiozzanti della title track, ma
anche e in primis la meravigliosa ieraticità ricca di iperboli musicali
quanto lirici di “Ke Kosì non Sia”, a trattare uno dei temi più cari
all'autore, ovvero il conflitto con un Dio subìto); “Frequento il Vento” del
2009 in particolare, cantato a piena voce, una voce ben più pulita ma già viva,
tra art-rock ed electro-pop (e con quel gioiello di “Tra il
Coraggio e la Follia”, manifesto della sua abilità di intessere melodie su armonie
apparentemente impossibili; con le magnifiche evoluzioni musicali e liriche di
“Sindrome”, “Il Diavolo in Corpo”); “Involitudine” del 2012, dove la voce
cercava quel “carattere” che oggi gli è tanto più suo, ma dove l'avvicinamento
al “pop”, in qualità di ripiego pensoso, si faceva totale.
E' sempre bello capire il percorso
di una vita.
P.S.: non l'ho scritto e fa testo
a parte, ma un miracolo Zorama l'ha già compiuto (no, non parlo del suo inno
juventino, che probabilmente più di qualsiasi cosa gli porterà fortuna),
ovvero, far cantare un suo brano a Mina, che in modo altrettanto coraggioso,
con “Il tuo Arredamento” (da “Maeba”, pure del 2018), si è regalata la migliore
e più sorprendente perla da tanti, tantissimi anni in qua. Un brano che in un certo
modo diviene “bonus track” di diritto del disco in questione.
L'altro miracolo... è in arrivo,
perché questo non è ancora il “disco definitivo” (ammesso che uno possa e
“debba” essercene) dell'autore e non avrà nomi appresso oltre il suo, luminoso
e fiero.
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