1.Punti di vista
2. Discrepanza
3. La teoria del complotto
4. Stringato nel dire
5. Eloquente
6. Spigolature
7. I sogni nel cassetto
8. Tergiversando
9. Turpiloquio
10. La media ponderata
11. Il bicchiere mezzo vuoto
12. Il bicchiere mezzo pieno
13. Gli scheletri nell'armadi
Line Up
Sergio Caleca: all instruments
Già tastierista degli Ad Maiora,
gruppo progressive meneghino, Sergio Caleca,
in arte habelard2, è un compositore
polistrumentista in attivo dal 1977. Da tempo ha Iniziato una carriera solista
proponendo musica raffinata in bilico tra elettronica, new-age, rock, prog,
folk, jazz e altro ancora.
Il nuovo lavoro, “Punti di Vista”, è un eloquente prova della
bravura dell’artista, che nell’arco di un’ora circa propone tracce di ottima
fattura che hanno il pregio di farti rilassare durante l’ascolto e, almeno per un
po’, evitare di pensare ai problemi della vita. La copertina stessa è
rasserenante raffigurando un cielo blu con delle nuvole. La musica è variegata
e questo è un pregio.
Si parte dall’ipnotica title track
per poi proseguire con Discrepanza, munita di un tema portante
affascinante e quasi ossessivo.
Il clima si dipana con lo splendido
folk rock di La teoria del complotto e con il delicato andamento di Stringato
nel Dire. In Eloquente le tastiere la fanno da padrone, mentre il
ritmo sale nella rockeggiante Spigolature. La pacata I sogni nel
cassetto stempera l’atmosfera lasciando spazio alla solare Tergiversando
e all’ariosa Turpiloquio.
Il disco prosegue senza cali di
tensione. La jazzata La Media Ponderata lascia il proscenio al
progressive de Il Bicchiere Mezzo Vuoto e Il Bicchiere Mezzo Pieno.
A chiudere Gli Scheletri dell’Armadio, una composizione che cresce a
mano a mano d’intensità fino a diventare maestosa.
Punti di vista è un disco pieno di fantasia, i
brani non sono eccessivamente lunghi ed ognuno esprime concetti musicali
affascinanti. Un uomo solo al comando: Sergio Caleca. Idee chiare, convinzione
e determinazione. Ce ne fossero di più di artisti così.
Voglio e devo ricordare innanzitutto
l'impareggiabile amico da oltre 40 anni, una persona di enorme cuore, di
immensa poesia, dotato di una sensibilità civile e democratica che
indubbiamente ha insegnato molto con le sue canzoni a quelli della mia generazione.
I testi delle sue canzoni hanno dato dignità alla canzone italiana e al rock
italiano. La sua impareggiabile voce continuerà a emozionare chiunque la
ascolti. Una delle poche figure di oro vero fra tante di latta e con lui se ne
va anche un'altra parte di noi e della nostra gioventù.
"Non mi rompete, ve ne prego,
ma lasciate che io dorma questo sonno...”
Ci sono artisti che non potranno
mai essere domati, in quanto anarchici nell’animo, uno di questi è Nik Turner, fondatore dei celeberrimi Hawkwind,
inventori dello space rock.
Classe 1940, ha ancora tanta
benzina in corpo da permettergli di riproporsi discograficamente e mai in
maniera scontata. Negli anni ha attraversato tutte le stagioni musicali e ne è
sempre uscito illibato, ossia mai toccato dai trend del momento. Un esempio.
Ora, nel 2022, tramite la Black Widow Record (gloria sempre), ha dato alla luce
“Synchronicity”, insieme ai The
Trance Dimensional, band fondata nel 2016 da Steve Hillman. Un album pieno di
idee e dalle mille sfaccettature, in grado di soddisfare anche i fans della
prima ora: prog, space, psych, ma bellamente incatalogabile, meravigliosamente
fuori di testa, in barba ai predoni della stereotipizzazione. Fanno parte della
partita, e con molto piacere, anche due ex-Hawkwind, ossia Dave Anderson al
basso (già Amon Düül II e Groundhogs) e Mr. Dibs.
“Destination
Void” apre il sipario sul cosmo dei nostri, e si è subito in assenza di
gravità! L’arzillo Nik ci trasporta nella sua personale astronave fatta di
soffice galleggiare e suoni liquidi, ben coadiuvati dal preciso basso di Rob
Andrews.
“The Enchantress” è narrata da Angel
Flame, nel più classico di intro di matrice hawkwindiana; un dolce passeggio
fra le stelle dell’Universo lascia spazio a un serrato ritmo che nobilita la
band che non è a supporto di mr. Turner, ma è parte di un’amalgama di notevole
fascino. Si arriva, o meglio si atterra, in un luogo non identificato di una galassia
lontanissima.
“Taken to the Limit”
vede Mr. Dibs alla voce, un deja vu che farà il piacere della folta schiera dei
nostri beniamini. Musicalmente è una traccia di ottimo impatto, trascinante e
tirata, grazie anche alle splendide tastiere di Steve Hillmann.
“Cloudland's”
riconduce a un incedere più lento e riflessivo, nel mondo e nel modo caro ai
nostri. Sembra soffice, pare respirare, una poesia senza parola alcuna, ma che
spiega più di qualsiasi frase.
“Thunder Rider
Invocation” ossia echi di esoteriche preghiere in sinistre strutture
d’incedere, un circle che riporta alla parte più oscura delle coscienze, fra
tuoni, lampi e sussulti sempre più vorticosi.
“Sphinx Dancer”
proviene e ricerca certi passaggi cari alla kosmische musik teutonica, senza paura
di cadere nel ripetuto. Una solenne dimostrazione di come si possa ancora
inventare, e bene, sopra gli ottant’anni. Il flauto magico, qualcuno lo
ricorderebbe così.
“Sekhmet”,
passaggio fra le mura senza limiti dell’indefinito, due minuti e mezzo di pura
riflessione.
“Angels of the
Light” è una traccia meno ostica del previsto, quasi docile, con elementi
di pop che fanno bene all’equilibrio di questo disco. Per chi scrive troppo
commerciale, ma comunque compiuta.
“Night of the
Jeweled Eye” mette apprensione, quasi ansia, quindi poi si torna alla
matrice originaria del lavoro: un turbinio di emozioni che potrebbe durare
giorni, ma che qui per limiti di tempo sono ridotti a poco più di otto minuti. Il
batterista Dai Rees si ritaglia un meritato spazio, per chi offre un motor(ik)e
all’altezza della fama che si stanno meritando, insieme alla sognante chitarra
di Hillmann.
“Abode of the
Blessed”, buona canzone, ottima atmosfera nell’economia di un episodio che
trova la voce, ancora una volta, di Angel Flame.
“Children of the
Sun”, ultimo passaggio, con Dave Anderson al basso e in aggiunta Eleanor
Rees alla controvoce, merita sicuramente una lode, siccome intriso di fuoco
sacro psichedelico, gocce di paganesimo caro a chi si sente vicino alle tante
vite di Nik Turner, alla filosofia senza compromessi di questo notevole e
gradito ritorno.
Per chi ancora non lo
conoscesse, vi porto un esempio di quanto possa essere profondo un ascolto a
questa musica, quindi, nel caso consiglio l’acquisto di questo “Synchronicity”.
Perché? Perché non ve ne pentirete e non lo ascolterete solo una o due volte. Ma tante di più.
Tracks:
1. Destination Void (6:29)
2. The Enchantress (5:31)
3. Taken to the Limit (5:08)
4. Cloudland's (3:16)
5. Thunder Rider Invocation (5:04)
6. Sphinx Dancer (5:45)
7. Sekhmet (2:36)
8. Angels of the Light (4:56)
9. Night of the Jeweled Eye (8:12)
10. Abode of the Blessed (3:33)
11. Children of the Sun (7:12)
Line-up:
- Nik Turner / vocals, saxophone, flute
- Steve Hillman / guitars, keyboards, synths
- Dai Rees / drums
- Rob Andrews / bass
Guests:
- Angel Flame / narration (2,10)
- Dave Anderson / bass (11)
- Eleanor Rees / vocals (11)
- Linda Hillman / voice & flute (2)
- Mr. Dibs / vocals (3)
- Richard Benjamin / vocals (8)
1.Tongue Of Misery
2. The Black House
3. Giordano Bruno
4. The Oracle
5. First Born Sinner
6. Spartacus (Prophecy of Riot)
7. Your Predator
8. Deus Vult
9. Death To The Inquisitor
10. You Belong To Witches
11. Cult Of Baphomet
Line Up
Mario
“Hell” Bove (Voce, chitarra)
Joe “Wise Man” Dardano (Chitarre)
Tony “Faraway” Farabella (Basso)
Joey “Helmet” Coppola (Batteria)
Uscito nel 2019, Natural Born Sinners dei nostrani Circles of Witches è uno di quei dischi che
meritano un rilancio poiché gli eventi pandemici non hanno consentito
la sacrosanta visibilità che una musica di tal fattura merita. La band aveva
pubblicato nel 2014 il pregevole Rock the Evil che proponeva un heavy
metal genuino e privo di fronzoli. La title track, peraltro, fa parte della
colonna sonora del film Dead in Time con Michael Madsen e il wrestler Colt
Kabana. In Natural Born Sinners questa direzione se vogliamo è stata
enfatizzata al punto che lo stoner e il doom presenti in passato sono meno preponderanti.
Insomma, meno Black Sabbath e Candlemass e più Motörhead e Judas Priest per
darvi un’idea più precisa con un risultato complessivo più che soddisfacente.
Munito di una cover molto eloquente, opera di Nikos
Markogiannakis (Rotting Christ, Die Sekt), Natural Born Sinners
propone undici tracce coese, potenti, prive di cali di tensione e infarcite di
pregevoli riff e assolo sciorinati dai due chitarristi. Mi hanno ricordato lo
stile degli svedesi Grand Magus. Punto di forza del gruppo è il potente
vocalism di Mario “Hell” Bove che, soprattutto nelle esibizioni dal vivo, è
senz’altro d’effetto come mi è stato assicurato da chi ha assistito ad alcune
performance del combo campano come i festival South of Heaven (Roma) e
Agglutination Metal Festival (Chiaromonte - Potenza). Dall’album sono stati già
estrapolati tre singoli (Tongue of Misery/Giordano Bruno/The Oracle)
segno evidente che il quartetto crede fortemente in questo progetto.
A livello lirico possiamo definirlo
un concept visto che la tematica centrale è quella della ribellione incarnata
da personaggi storici quali Giordano Bruno, Spartaco e Anton Lavey. La musica è
granitica, adrenalinica e già l’aggressiva opener fa comprendere quale
imprinting avrà questo lavoro.
I pezzi sono ben strutturati e
presentano una certa versatilità come si evince dalla solenne Deus Vult
e dall’oscuro andamento di Cult Of Baphomet. Elementi doom sono evidenti
in Giordano Bruno, The Oracle e Spartacus (Prophecy of Riot),
ma come predetto è la componente più precipuamente metal a prevalere.
I Circles of Witches sono italiani e
come sostengo sempre se la musica è di livello va ascoltata sempre… specie
quella tricolore.
Grazie alla Metal Underground Music
Machine per la segnalazione.
Samael von Marrin: Choir, Electric
Guitar, Bass Guitar, Keyboards
Tomas Contarato: Drums
Isabella: Lead Vocals, Choir
Alessio Saglia: Organ,
Keyboards
Natalja Branco: Piano
Elisa Di Marte: Soprano Vocals
Disco intrigante questo deiMater A Clivis Imperat (tradotto “la
madre che domina dalle colline”) collocabile a pieno titolo nell’Horror Rock,
come, peraltro, si intuisce dall’inquietante cover opera dello scomparso Enzo
Sciotti, noto anche per aver realizzato le copertine di diversi fumetti
italiani per adulti negli anni Settanta e Ottanta,
tra cui Oltretomba, e le locandine dei film di Lucio Fulci.
Gli accostamenti con Goblin,
Jacula e Antonius Rex sono parimenti palesi e un plauso in tal senso va alla
label genovese Black Widow che è impegnata a dare risalto a un genere di
nicchia, tanto è vero che si è occupata delle ristampe degli storici Tardo Pede
in Magias Versus e di Zora.
Frutto di un progetto nato dieci anni fa, concepito dalla
fervida fantasia del padovano Samael von Martin (Death Dies/Mad Agony/Negatron) e della tastierista Natalja Branco,
Atrox Lucus si apre con la
sepolcrale Coemeterium dominata dall’organo di Alessio Saglia e dalla
voce recitativa di Isabella. Il clima si stempera un po’ con la seguente 1974
(Sorgi O Creatura), in cui il pianoforte di Natalja Branco si prende il proscenio; il brano cresce d’intensità facendosi apprezzare nel
suo insieme. Un canto gregoriano avvia Atrox Lucus, una traccia che ha
contorni heavy metal ed è munita di un pregevole assolo alle sei corde
sciorinato da Samael von Martin. Padova Occulta (Nero Barocco) ricorda le musiche di
Keith Emerson all’epoca della colonna sonora di Inferno; il vocalism di
Isabella è inquietante e affascinante nello stesso tempo. Fiamme crepitanti ci introducono
in Atrox Poena In Corde Suo Est, una composizione doomeggiante e
tenebrosa con un azzeccato refrain. Elisa Di Marte dimostra tutta la sua bravura nell’ipnotica Witchcraft. Si prosegue con
l’hard rock Homo Intime Pauper Est influenzato dallo stile degli Uriah
Heep. Domine Oculi è quasi melodica all’inizio, ma è solo una sensazione
perché l’oscurità torna a farla subito da padrone. Oblivium è degna di
una marcia funebre, un pezzo che sembra estrapolato da un album dei Candlemass.
La breve Meretrix Pacis Orba è un’occasione per apprezzare ancora le
doti della Di Marte. Idola Tribus ha un incedere veloce in cui l’intera
band denota uno stato di forma ottimale e l’amore per un certo tipo di sound
targato anni Settanta. La sostenuta Vagaris è classicheggiante nel suo
andamento e potrebbe ben figurare nella colonna sonora di un film d’avventura quale
I Pirati dei Caraibi. Dulcis in fundo una versione diversa della cimiteriale
opener Coemeterium. Il cantato in latino conferisce alla musica una
veste solenne e l’Heavy Metal, il Doom, l’Hard Rock, il Prog si alternano
sapientemente.
Munito di un libretto
interno di ben venti pagine con tutti i testi in latino e relativa traduzione
in italiano e registrato al Giane Studio di Roma, Atrox Lucus è un disco
di non difficile assimilazione e nello stesso mai banale, trovando un punto di
equilibrio che non è mai un fatto scontato. Un caleidoscopio sonoro macabro, ma
anche intriso di malato romanticismo che non presenta cali di tensione e si
lascia ascoltare gradevolmente.
Non ne ho molti, ma una ciocchina ve
la regalo ragazze dell’Iran… sono con voi in tutto, soprattutto nella libertà
di essere quello che si vuole e di avere una PROPRIA vita… vi voglio bene e
sono sicuro che gli oscurantisti e i violenti alla fine soccomberanno e questo
perché voi portate la vita e loro solo la banalità della morte.
Il 3 ottobre del 2015 ci lasciava Rodolfo Maltese, all'età di 68 anni. Ogni anno in
occasione del suo compleanno si celebra a Roma la "Festa Maltese -
La malattia si sconfigge con la musica", evento dove artisti e
musicisti amici di Rodolfo hanno la possibilità di suonare.
01.The Creation – BigBanGenesis
02. Adam & Eve – First Time Naked
03. Cain’s Pain
04. The Great Flood of Blood
05. Tower of Babel
06. Cyber Abraham and the Massacre of Sodom
07. Egyptian Plagues
08. Pharaoh’s Rage
09. Promised Land (A Prayer of Moses)
10. The Divine Code
Line Up
Giovanni Puliafito: Piano, Synth, Keys,
Orchestrazioni, Drum Writing
Patrick Fisichella: Chitarre, Basso
Musicisti ospiti:
Salvo Cappellano: Voce tracce 6, 7, 9, 10
Azathoth: Voce traccia 4
Silvia Bruccini: Cori traccia 9
Gabriels (Mark Boals, Fabio Lione, Vivaldi Metal Project): Tastiere soliste
traccia 10
Salvo Pennisi (Massive Turbulence): Batteria su tutte le tracce
Francesco Aiello (Firegarden, Larry Smith, Ros & the Nightfly): Percussioni
traccia 7
Il progetto posto alla base della
filosofia artistica dei siciliani ApoGoad
ruota intorno alla fervida creatività del tastierista Giovanni Puliafito e del
chitarrista Patrick Fisichella. Fautori entrambi della teoria che la Sacra
Bibbia sia in un certo qual modo paragonabile all’Odissea di Omero, ovvero
tutto è incentrato sul mito che poggia le sue radici su una realtà storica
fortemente distorta, hanno deciso di fondare una band in cui esternare la loro
interpretazione apocrifa e apostatica (APO, infatti, è l’acronimo di Another
Point Of (View) – Un altro punto di vista).
Il titolo del debut album, A Prog Bible, incentrato sui primi due libri
dell’Antico Testamento (Genesi ed Esodo), ci fa comprendere subito che il
genere prescelto abbraccia decisamente il progressive con ampie venature metal.
Il prodotto si presenta con una cover d’effetto che rappresenta Salomè con la
testa di San Giovanni Battista poggiata su un piatto. La musica è complessa e
versatile. Se da un lato tali prerogative ci mostrano una formazione piena
zeppa di idee, dall’altro è palese il rischio di presentare al pubblico un
prodotto eccessivamente ostico e dispersivo. Dieci le tracce proposte di cui
cinque strumentali. Quattro hanno alla voce Salvo Cappellano, mentre The Great
Flood of Blood è stata affidata a un non meglio specificato Azathoth (forse era
intenzione dell’interessato rimanere nell’anonimato).
Parti orchestrali si alternano a
sezioni metal (anche estremo) in un caleidoscopio sonoro variegato e
affascinante. Il disco ha richiesto quattro anni di lavoro e a un primo ascolto
si può rimanere perplessi. Basta avere la pazienza di comprendere in profondità
il messaggio di questo coraggioso gruppo per gustarne appieno la musica.
Non ho ravvisato cali di tensione e
credo che un brano in particolare potrebbe diventare il manifesto degli ApoGod
Project; mi riferisco alla struggente ballata Promised Land (A Prayer of
Moses), una delle più belle che mi sia capitato di ascoltare da molto tempo a
questa parte, impreziosita dal coro di Silvia Bruccini.
Concludo con una riflessione: i
musicisti italiani si dividono in due categorie distinte e separate. C’è chi
propina sterco a profusione e chi s’impegna nella ricerca di sperimentazione e
innovazione. Ecco gli ApoGoad rientrano a pieno titolo nella seconda categoria.