Un personaggio poco avvezzo alle “amabili conversazioni” era Ozzy Osbourne. Neanche lui ricorda come il suo vero nome, John, avesse potuto trasformarsi in “Ozzy”. Ad ogni modo, si tolse lo sfizio di tatuarsi quelle quattro lettere sulle nocche di una mano, quando era ancora adolescente. E disegnò pure una faccina sorridente sopra una delle sue ginocchia, perché lo aiutasse a tirarlo un po’ su mentre se ne stava comodamente seduto sulla tazza del water. Abitava ad Aston (come tutti gli altri membri dei futuri Black Sabbath) insieme alla famiglia, in una casetta incastrata tra tante altre, tutte in fila lungo una via che all’epoca gli sembrava lunghissima, ma che non lo era affatto. Coi suoi amici andava a giocare in una casa bombardata dai tedeschi, ed era convinto che fosse tutto diroccato apposta per permettere ai ragazzini di giocarci dentro. A scuola più faceva lo scemo (e fu in questa “veste” che lo conobbe Tony Iommy (intimo amico di John Bonham), sempre nel periodo scolastico. Osbourne era un po’ dislessico, veniva trattato male dai professori e preso in giro dai compagni. Il suo senso di auto-stima era molto, molto basso. Se ne andava in giro senza scarpe e con un rubinetto appeso al collo, perché non avrebbe potuto permettersi una collana. Non gli riuscì bene neanche la carriera di ladro, visto che venne subito beccato, e a 17 anni era già in prigione: l’esperienza si rivelò talmente traumatica che decise di non ricaderci mai più. La sua fortuna fu quella di appendere un manifestino in un negozio di Birmingham, frequentato da tutti i musicisti della zona: con questo foglietto di “Ozzy” annunciava di essere un cantante in cerca di una band. E, soprattutto, di essere in possesso di un’amplificazione propria (appena compratagli dal padre). Una frase magica da quelle parti, in grado di catturare l’attenzione di molti, al di là delle sue qualità canore.
E infatti tutti i
futuri Black Sabbath finirono per bussare presto alla porta di casa sua: prima
“Geezer”, il bassista (che allora suonava ancora la chitarra), quindi Bill
Ward, il batterista, insieme a Tony Iommi. Il tutto in una processione quasi
surreale, perché, dalla finestra di casa
sua, John Osbourne vedeva dei personaggi che sembravano tutti uguali: baffi e
capelli lunghi. Tony però lo riconobbe come lo scemo della scuola, e disse a
Bill di andare via, di lasciarlo perdere senza neppure metterlo alla prova.
Iommy era già un chitarrista molto stimato nella zona, ed era anche un po’ più
grande. Bill però insistette perché ad Ozzy fosse concessa almeno una
possibilità e, sorpresa, alla prima prova cantò bene: era intonato, e sapeva
trovare linee vocali interessanti e molto azzeccate. “Geeser” passò al basso,
si unirono altri musicisti, si cambiarono un po’ di nomi (compreso quello di una marca di borotalco!)
e si cominciò ad andare in giro a suonare. Quando infine si decise di rimanere
in quattro, alla fine degli anni ’60, il nome del gruppo divenne “Earth”. Anche
se ad Ozzy non piaceva più di tanto. In seguito videro il manifesto di un film,
in bella vista davanti alla loro sala prove: era un film horror italiano, e si
intitolava “Black Sabbath”. Così Tony Iommi, notando che la gente faceva la
fila per essere spaventata, pensò che quello sarebbe diventato il nome
definitivo del gruppo, e che la loro musica avrebbe virato verso atmosfere più
tenebrose ed inquietanti. Già in una lettera spedita da Ozzy mentre rientravano
da Amburgo, Ozzy annunciava felice che al ritorno a casa si sarebbero chiamati
Black Sabbath. Ad Amburgo si sentirono quasi arrivati, perché suonavano allo
“Star Club”, lo stesso locale che aveva visto abituali protagonisti i primi
Beatles: proprio il quartetto di Liverpool
che aveva cambiato la vita di Osbourne, quando alla radio aveva
ascoltato per la prima volta “She Love You”, e aveva capito che voleva far
parte di quel mondo. Ma, dopo tanti anni, quel Club era diventato ormai un postaccio. E loro si ritrovarono pure a
derubare le gentili fanciulle con le quali si intrattenevano dopo i concerti,
pur di “arrotondare”: uno “intratteneva”, appunto, e l’altro entrava di
soppiatto nella stanza e frugava nella borsetta della malcapitata. Non andavano fieri di questo, ma, come diceva
Ozzy, dovevano pur mangiare. Si spostavano da una città all’altra con un
furgone tutto scassato: pioveva, nevicava, ed i tergicristalli non
funzionavano. Così uno di loro si affacciava da un finestrino, l’altro da
quello opposto, e tiravano i tergicristalli con le mani, ora in un verso, ora
nell’altro, per permettere a chi guidava di vedere qualcosa attraverso il parabrezza (!).
Un escamotage che poi
utilizzavano pu di suonare era tanto bizzarro, quanto logorante: si piazzavano
con il furgone carico della strumentazione davanti ai locali nei quali era
previsto il concerto di un gruppo già affermato, e, nel caso il gruppo in
questione non avesse potuto esibirsi, si sarebbero proposti loro.
Incredibilmente, intorno alla fine del 1968, la cosa riuscì. I Jethro Tull non furono in grado di raggiungere il locale
davanti al quale si erano “appostati”, e Ozzy e compagni suonarono al loro
posto. Ian Anderson riuscì ad arrivare e a mescolarsi tra il pubblico, mandando
in estasi il giovane Osbourne perché, mentre questi cantava sul palco,
intravedeva Anderson muovere la testa seguendo la musica. In effetti il sound
dello sconosciuto gruppo di Aston era ancora più pervaso dal blues che dai
suoni funerei che li avrebbero caratterizzati di lì a poco. E c’era molto blues
anche nel primo disco dei Tull (“This Was”, l’unico che avevano pubblicato fino
a quel momento).
Ma ad attrarre
l’attenzione di Ian Anderson doveva essere stata soprattutto la performance di
Tony Iommi: Ian doveva trovare un sostituto a Mick Abrahams, il chitarrista, e
Iommi sembrava essere l’uomo giusto. Del resto, se si ascoltano certi pezzi dei
primi lavori dei Black Sabbath, quando Tony Iommi suona da solo, con la stessa
Gibson SG rossa che utilizzava Abrahams, sembra assomigliargli molto. In
qualche caso, quando la chitarra ha un sound più blues e carico di riverbero,
accompagnata solo da un tumultuante sottofondo di basso e batteria, sembra
proprio di ascoltare “Cat’s Squirrell”, dal disco d’esordio dei Jethro Tull. E
in effetti Tony ricevette la proposta di entrare in quella band, già piuttosto
nota, e con la morte nel cuore dovette comunicare ai compagni che avrebbe
dovuto lasciarli. Ozzy e gli altri sentirono che i loro sogni di gloria stavano
andando in pezzi: non sarebbero potuti andare da nessuna parte senza il talento
di Tony Iommi. Sarebbero dovuti tornare a lavorare in fabbrica, o a fare gli
altri i lavori frustranti (o veramente schifosi) che facevano prima. E questo
proprio quando le cose sembrava cominciassero a funzionare. Eppure, in una
maniera che può anche essere ritenuta commovente, tutti trattennero le lacrime
e si congratularono con il loro amico, felici per lui, che a quel punto sarebbe
passato letteralmente da un pianeta all’altro: dalla fame alla fama, in poche
parole. Di lì a poco, tanto per cominciare, Tony avrebbe partecipato coi Jethro
Tull al programma televisivo “The Rolling Stones Rock And Roll Circus, insieme
a gente del calibro di John Lennon (ancora nei Beatles), The Who, Mitch
Mitchell (il batterista di Jimi Hendrix) e, naturalmente gli stessi Stones
(ancora con Brian Jones). Iommi, proprio lavorando in fabbrica, tempo prima si
era visto tranciare di netto la parte superiore delle dita della mano destra da
un macchinario che non sapeva ancora usare bene. E dal momento che era mancino,
si trattava delle dita che avrebbero dovuto scorrere sulla tastiera. La sua
carriera di musicista sembrava già finita. E invece si era fabbricato da solo
delle protesi (simili a ditali) che gli avevano permesso di riprendere a
suonare (e che utilizza ancora oggi). Così, adesso, con quel nuovo ingaggio,
aveva l’occasione di passare, in pochi anni, dalla triste certezza di aver
chiuso per sempre con la musica alla concreta possibilità di diventare il
chitarrista di un gruppo importante. Le cose sarebbero in effetti andate così,
ma non nel modo che sembrava aver prefigurato il destino: Tony Iommi, infatti,
partecipò alle riprese del “Circus” coi Jethro Tull, il 10 dicembre 1968; ma
lasciò quella band dopo un paio di settimane, preferendo tornare coi suoi
vecchi compagni: troppo strette erano risultate per lui la disciplina, la professionalità e la
serietà che Ian Anderson imponeva alla band (pur avendo poco più di
vent’anni!), e ben presto avrebbe preso il sopravvento la nostalgia per il
divertimento, le follie e le risate con Ozzy e compagni. Il suo posto nei
Jethro sarebbe stato preso da Martin Barre (che non lo avrebbe mollato per 40
anni!), mentre gli Earth, divenuti Black Sabbath, avrebbero sfondato al primo
colpo con l’omonimo disco d’esordio, uscito nel 1970. Lo registrarono
praticamente dal vivo, in 12 ore, scappando subito dopo per un concerto a
Zurigo. Quando poi lo ascoltarono, quasi svennero per la felicità: il suono era
pazzesco, erano state aggiunte campane e pioggia all’inizio del disco, e la
copertina (alla quale non avevano preso parte in alcun modo) era strepitosa.
All’interno dell’ album tutti e quattro
portavano al collo grosse croci di ferro, fabbricate dal padre di Ozzy. E a
quel punto fecero addirittura il bis, ottenendo ancora più successo con il successivo
“Paranoid”: questo secondo lavoro avrebbe dovuto in realtà chiamarsi “War
Pigs”, come uno dei brani contenuti nel disco (e come voleva suggerire la
stessa copertina). Ma la casa discografica aveva preferito evitare problemi con
quella che sarebbe stata facilmente interpretata come un’aperta denuncia contro
la guerra in Vietnam, e preferì attribuire all’album il titolo di un brano che
la band aveva registrato all’ultimo momento, giusto perché c’era ancora spazio
per un’altra traccia: quest’ultima (Paranoid) sarebbe diventata la loro hit più
famosa in assoluto, e avrebbe gettato le basi per quello che sarebbe diventato
l’Heavy Metal. Se anche i Black Sabbath si fossero sciolti subito dopo quei
primi due dischi, avrebbero comunque marchiato con indelebili lettere di fuoco
il libro della storia del Rock.
Nessun commento:
Posta un commento