Le canzoni
dell’estate: la playlist “storica” del filosofo del pop
Intervista
al “filosofo del pop” Claudio Sottocornola
Siamo nel mezzo dell’ondata di caldo che l’estate 2015 ci riserva
e, fra crisi greca e attentati tunisini, la voglia d’estate e di vacanze si scontra con una realtà planetaria inquietante
e invasiva, lontana anni luce dalla spensierata serenità di altri tempi, come i
mitici anni ’60 o i rampanti anni ’80. Non più lunghe ferie agostane in qualche
hotel adriatico o resort mediterraneo, ma partenze scaglionate, voli low cost,
mordi e fuggi fra città d’arte, agriturismi e spiagge sparse…
Già, è cambiata la percezione di questa stagione e con essa
l’immaginario che l’accompagna, di cui la musica popolare è sempre stata il
contrassegno più evidente, al punto da narrarne simboli, atmosfere, mutamenti
epocali. Per fare il punto sulla evoluzione della canzone estiva, come specchio
dei tempi e del gusto, abbiamo intervistato il “filosofo del pop” Claudio
Sottocornola, ordinario di Filosofia e docente di Storia della
canzone e dello spettacolo alla Terza Università di Bergamo, con all’attivo
numerose pubblicazioni fra musica, poesia, immagine, nelle quali indaga il
contemporaneo, con particolare attenzione al mondo della cultura pop, rock e
alla canzone d’autore.
Suo speciale “marchio di
fabbrica” sono le lezioni-concerto sul territorio, nelle quali associa la
dissertazione storica e teoretica alla esecuzione live di celebri brani della
canzone italiana, interpretando, per esempio, canzoni simbolo di Vasco Rossi e
Gino Paoli, Mina e Patty Pravo, Marco Mengoni e Rita Pavone, Francesco De
Gregori e Lucio Dalla. L’ultima fatica è stata proprio la pubblicazione sulla
pendrive “Una notte in Italia” di tre live tenuti dal docente-interprete in
occasione dell’anniversario dell’unificazione italiana ed ora editate e diffuse
anche sul canale CLDclaudeproductions di Youtube, in occasione di Expo.
Abbiamo quindi a che fare con un profondo conoscitore della
canzone pop, rock e d’autore, che ci spiegherà le trasformazioni avvenute nel
corso degli ultimi decenni nell’ambito delle “canzoni dell’estate”.
Prof.
Sottocornola, quale periodo le appare più idoneo per parlare di “canzoni
dell’estate”?
Indubbiamente gli anni ’60, quando l’Italia del boom economico,
dopo essersi fasciata le ferite della guerra e avviata ad un inarrestabile
periodo di crescita, si affacciava alla modernità e, con la diffusione di
elettrodomestici e televisione, scopriva anche il gusto delle vacanze di massa
al mare che, musicalmente, divennero un vero e proprio topos, con espressioni
“alte” e “basse”, liriche o “demenziali”, ma assolutamente suggestive e rappresentative
di una coscienza popolare condivisa, quella che oggi manca. Le spiagge e i
primi amori balneari narravano poi di mutamenti antropologici in atto, di una
diversa modalità di relazione fra i sessi, di emancipazione e nascita di una
coscienza giovanile.
Quali
canzoni sono più rappresentative delle estati targate sixties?
C’è davvero l’imbarazzo della scelta, anche perché l’intero
decennio ha per scenografia uno sfondo balneare. Si può andare da un pezzo
ballabile inneggiante al nascente twist, come “Saint Tropez” di Peppino di
Capri, musicista che spazia dalla Costa Azzurra alla nativa Capri, alla
magrittiana “Una rotonda sul mare” di
Fred Bongusto, con le sue struggenti
e malinconiche atmosfere da night, senza dimenticare la canzone simbolo delle estati
anni ’60, “Sapore di sale” di Gino Paoli, un capolavoro esistenzialista che testimonia l’avvenuto passaggio alla
maturità della nostra canzone d’autore. E che dire poi di un pezzo inarrivabile
come “Se telefonando”, scritto
nientemeno che da Maurizio Costanzo
per Mina? Ma, sempre nelle atmosfere
da night, non si può tralasciare un grande incompreso come Bruno Martino, che scrive due pezzi di assoluta eleganza e fascino
maudit, “Estate”, con Bruno Brighetti (“Odio l’estate… l’estate che ha creato il nostro amore, per farci poi
morire di dolor…”) e, in collaborazione con Franco Califano, “E la
chiamano estate” (“E la chiamano estate,
questa estate, senza te…”). Insomma, il repertorio estivo degli anni ’60
spazia dalla canzone d’autore a quella da night, dal pezzo ballabile (twist,
shake, hully gully, ecc.) alla canzoncina pop o melodica, a interpretare una
stagione mitizzata dall’intero decennio.
In effetti,
i successi anche commerciali degli anni ’60 costituiscono degli evergreen
stagionali tutt’oggi assai gettonati da radio, web, televisione e discoteche…
E’ vero. Brani come quelli che Edoardo Vianello inanellava estate dopo estate raggiungendo il top
della hit parade, da “Pinne, fucile ed
occhiali” ad “Abbronzatissima”,
da “Guarda come dondolo” a “I Watussi”, rappresentano un esperimento
pionieristico della nostra canzone, fra surrealismo e “demenziale” ante
litteram, che ha saputo interpretare un vissuto condiviso e trasversale ai
cambiamenti in atto in quegli anni, costituendo ormai un autentico patrimonio
nazionalpopolare che ci dice molto di più sulla evoluzione del costume italico
di tanta produzione “alta”. Ma c’erano anche Nico Fidenco con successi balneari, come “Con te sulla spiaggia” e “Legata
a un granello di sabbia”, Los
Marcellos Ferial con tormentoni
quali “Cuando calienta el sol” e “Sei diventata nera”, Franco IV e Franco I con “Ho scritto
t’amo sulla sabbia”, Romina Power
con la struggente “Acqua di mare”, Piero Focaccia con l’ironica “Stessa
spiaggia, stesso mare”, Riccardo del
Turco con la celeberrima “Luglio”...
Infine, tante canzoni dell’estate ancora all’insegna di un’Italia
rurale e quasi premoderna, oggi di
indubbio fascino retrò, che si spingono fino ai primi anni ’70, come “Andiamo a mietere il grano”, “Il
cacciatore”, “La scogliera”, di Louiselle, “Lisa dagli occhi blu” di Mario
Tessuto”, “Era il tempo delle more”
di Mino Reitano, “Lady Barbara” di Renato dei Profeti, “Quanto è
bella lei” di Gianni Nazzaro.
Certo, manifestazioni popolari come il Cantagiro e Un Disco per l’Estate
trainavano, anche attraverso ascolti radiofonici reiterati e pubbliche
esecuzioni, i pezzi estivi, sino a renderli parte del vissuto e quindi
dell’inconscio collettivo nazionale.
E poi cosa è
successo?
Come sappiamo, le radio hanno incominciato, specie in rapporto
alle nuove richieste dei giovani, passati attraverso la presa di coscienza di
beat, flower power, contestazione studentesca e femminismo, a trasmettere
sempre più musica d’importazione, di origine anglosassone e americana. Inoltre,
la coscienza giovanile e nazionale in genere, si spostava in direzione di
sensibilità e tematiche nuove, più vicine all’impegno sociale e politico, e
frequentava rock progressivo, neo folk, canzone politica e, al più, canzone
d’autore.
Le carriere e le canzoni che avevano caratterizzato un intero
decennio e le sue estati, fra juke box e mangiadischi, apparvero
improvvisamente vecchie e inadeguate ai nuovi tempi, decisamente meno balneari
e più metropolitani. Certo, un autore emergente come Claudio Baglioni poteva
ancora scrivere per un idolo anni ’60 come Rita
Pavone “Se… casomai”, struggente
storia di un irrealizzabile amore estivo, e poi interpretare egli stesso quel
capolavoro fra kitsch e romanticismo che è “Questo
piccolo grande amore”, riproponendo poi ancora il topos marino con la
vibrante “E tu”, e inanellando un
repertorio che di mare, spiagge e cieli stellati fa quasi un marchio di fabbrica,
ma siamo entro una personale e individuale poetica autorale, perché la “lunga
estate degli anni ‘60”, fra recessione economica, anni di piombo e terrorismo,
è ormai passata e non tornerà.
Qualche
canzone delle estati anni ’70 degna di nota?
Si va da “La canzone del
sole” di Lucio Battisti a “Tanta voglia di lei” dei Pooh, passando per l’irriverente “Tutti al mare” della iconoclasta Gabriella Ferri o al dance pop di Umberto Tozzi con “Ti amo”. Ma mi piace ricordare la struggente “We shall dance” del compianto Demis
Roussos, vincitrice del Festivalbar 1971, e la crepuscolare “Una giornata al mare” di Paolo Conte, dall’album omonimo del
1974, che contiene anche l’ironica e amara “Onda
su onda”, coverizzata poi dal già
famoso Bruno Lauzi. Per il resto, canzoni
di mare, ma in un’atmosfera tra fiaba, folk e impegno sociale, sono quelle
dall’album “Storie di casa mia” di Lucio Dalla, di cui ricordiamo la
struggente “La casa in riva al mare”,
“Itaca”, e la successiva “Sulla rotta di Cristoforo Colombo”.
C’è una rinascita della canzone estiva?
Certamente, e data dagli anni ’80, quando riflusso e consumo
insieme al tramonto dell’utopismo
politico e sociale del precedente decennio riportarono in auge mare, spiagge,
ballo, look ed esotismi di ogni genere, insomma rivalutarono motivi edonistici
e ludici, trasgressivi ma anche innocui,
a decantare delusioni e disillusioni ormai epocali. Siamo in pieno postmoderno,
e quindi le nuove canzoni dell’estate hanno assimilato un che di disincanto e
scetticismo, di ironico e surreale che nulla ha a che vedere con l’ingenuità e il
lirismo degli anni ’60. Insomma, ci muoviamo, per stabilire parallelismi con le
arti visive, fra Ernst, De Chirico, Warhol e Dalì. Come testimoniano Battiato, quando scrive per la
straordinaria voce di Giuni Russo “Un’estate al mare”, o Mango che in “Bella d’estate” sembra
suggellare la fine di un’età dell’oro che non torna più, ma anche lo scanzonato
e surreale Gruppo Italiano con “Tropicana”, epopea di un’inquietante
estate post atomica, o i Righeira,
altrettanto stranianti nei loro tormentoni dadaisti “Vamos a la playa” e “L’estate sta finendo”.
Possiamo aggiungere un percussionista come Tony Esposito con “Kalimba de
luna”, ma anche un Sandy Marton
con “People from Ibiza”, Raf con “Self Control” o Spagna
con “Easy Lady”, a testimoniare il
sopraggiungere, per i più, di una età senza certezze residue, ove si cercano
soluzioni stordenti, evasioni ludiche e trasgressioni effimere. E’ il trionfo
dell’easy listenig e della disco dance. E un cantautore icastico e crepuscolare
come Luca Barbarossa suggella il
senso del decennio nella celeberrima “Yuppies”,
sul rampantismo esotico e cafone che ci
attanaglia in quegli anni.
Quale
atmosfera si respira dopo la caduta del muro di Berlino?
Finita l’età del bipolarismo e delle ideologie si respira per un
po’ un’atmosfera di glasnost e fiducia, come se l’assenza di divisioni fra Est
e Ovest dovesse portare ad un mondo finalmente unito e pacificato. I Mondiali
di Calcio del ’90 sanciscono queste aspettative, ben espresse da un brano come
“Un’estate italiana” della coppia Bennato- Nannini, per l’occasione in
versione nazionalpopolare. Ma in quella mitica estate, che vedrà però l’Italia
di Schillaci classificarsi solo terza, trionfano anche Baccini e I Ladri di Biciclette
con “Sotto questo sole” (“…è bello pedalare, sì, ma c’è da sudare…”),
epopea di un cantante in tour per promuovere il suo disco, metafora della
fatica di vivere nell’efficientismo tardo capitalistico, così come “Ci vuole un fisico bestiale” di Luca Carboni, che vince il Festivalbar
1992 con la malinconica “Mare mare”,
flash lirico e meditativo su una inutile fuga notturna verso il lungomare,
metafora di una deriva esistenziale. Nel frattempo per l’Italia è iniziato
l’incubo di Tangentopoli che, evidenziando la corruzione della sua classe
politica e imprenditoriale, genera un diffuso clima di incertezza e
rassegnazione.
Quali altre
canzoni ricorda delle estati anni ’90?
Degni di menzione sono gli hit degli 883 che, da “Hanno ucciso
l’uomo ragno” a “Nord Sud Ovest Est”, da “Come mai” a “Tieni il tempo”,
producono tormentoni estivi in quantità industriale, paragonabili solo a quelli
del Vianello anni ’60, sia per
numero che per atmosfere postmoderne. In essi si monumentalizza il paesaggio
contemporaneo, fatto di tangenziali, autogrill, bancomat e aeroporti, che
costituiscono lo scenario di canzoni ipnotiche ed euforizzanti. Come sono quelle
di un altro mattatore delle estati di quegli anni, un Fiorello ancora con codino e karaoke, che propone al pubblico
italiano “Si o no”, cover della
celeberrima “Please don’t go” riportata
al successo dai Double You, ma anche
la coloratissima “Spiagge” e la
notturna “Lei balla sola”.
Anche Jovanotti in
quegli anni è spensierato e vacanziero, un free lance della vita con pezzi
gettonati fin nelle discoteche adriatiche, vedi
“Ciao mamma”, “Sono un ragazzo fortunato” o “Bella”. Dal
canto suo, Raf inanella atmosfere
suadenti da “Il battito animale” a “Stai con me”, nel segno di un elettropop
ipnotico e avvolgente. Del resto, la disco dance caratterizza sempre più il
regno dell’estate negli anni ‘90, che tende a identificarsi con sballo, discoteche, ore piccole.
Trionfano “The rhythm is
magic” di Marie Claire D’Ubaldo,
“The summer is magic” dei Playahitty e “The rhythm of the night” di
Corona (con la voce di Jenny B. in entrambi), ma anche balli come “Macarena” del duo Los del Rio, coverizzato dal duo italiano Los Locos. C’è insomma una internazionalizzazione della musica pop
per l’estate, che riduce sempre più gli spazi della creatività in lingua
italiana.
E nel nuovo
millennio?
I mutamenti in atto nella fruizione di musica, che viene sempre
più consumata in modo decontestualizzato, frammentario ed episodico (senza più
riferimento rispetto a un discorso autorale o di concept), influiscono in modo
rilevante sulla produzione di canzoni per l’estate, che tendono a un mercato
planetario e temporaneo, connesso spesso ad eventi internazionali, sportivi o
ludici. La musica, almeno nella sua dimensione di consumo, parla sempre meno le
lingue nazionali, e assume l’inglese come lingua madre, o al massimo lo
spagnolo del latin pop. I personaggi dell’industria del pop, obbedienti
dipendenti di multinazionali efficienti e finalizzate al profitto, anche quando
vestono i panni della trasgressione o della contestazione, sono allineati a
cliché pensati in relazione a target specifici di pubblico e di consumo. Mentre
le estati del 2000, fra terrorismo e perdurante crisi economica, non veicolano
più sentimenti di appartenenza e condivisione, tantomeno una comune colonna
sonora che faccia da sfondo a scenari collettivi. Trionfano i Dj, come
espressione di un fare musica tecnicistico e
premeditato, ma anche pop star stagionali.. Allora, che siamo travolti
dalle note di “Chihuahua” di Dj BoBo o da “Malo” di Bebe,
dall’energia di “Aserejé” delle Las Ketchup o di “Waka waka” di Shakira,
poco importa: il discorso sulla musica è analogo a quello sullo spazio in cui
viviamo, caratterizzato dai non luoghi, e dal senso di non appartenenza, che
veicolano centri commerciali e spazi urbani deserti di rapporti umani. Occorre
riscoprire il territorio, il nostro territorio con le sue ricchezze, anche
musicali.
Una canzone
dell’estate con cui chiudere questa intervista?
Due. Una, la scacciapensieri “Non
ti scordar mai di me”, che una promettente Giusy Ferreri, nell’ormai lontano 2008, aveva trasformato in un
travolgente successo estivo, e che io ascoltavo sulle spiagge di Locri, nella
Calabria jonica dove mi trovavo in vacanza, illudendomi, per le sonorità del
pezzo e la bellezza scabra e asciutta del luogo, di vivere un viaggio a ritroso
nei mitici anni ’60.
L’altra canzone che vorrei ricordare è “Un’estate fa”, lanciata da Michel
Fugain nel 1972 come “Une belle
histoire”, e riscritta in italiano da Franco
Califano che la reinterpretò, insieme a molti altri, come gli Homo Sapiens, Mina, i Delta V, Pago: “Un’estate fa la storia di noi due/ cominciò come una favola/ Ma
l’estate va e porta via con sé/ anche il tempo delle favole/ favole…”. In
effetti, l’atmosfera carica di speranze e attese che contrassegnò le estati
degli italiani dagli anni del boom a quelli della contestazione e poi del
riflusso non si ripeterà, in questo clima di sfiducia e di svendita che sembra
caratterizzare la “grande bellezza” italiana nel nuovo millennio.
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