Billeri & Ombrelettriche – Giona
di Andrea Pintelli
Opera dedicata ad Antonietta Cipriani, luce
della crescita di Valerio Billeri, romano. Sediamoci e ascoltiamo, o
meglio, imbarchiamoci e lasciamoci trasportare dalla nave capitanata
dall’ammiraglio Billeri, voce, anima e timoniere di questo viaggio. Questo
veliero, idealizzato fin dalla copertina, ci porterà in vari luoghi, si fermerà
in tanti posti, assumerà le dimensioni del sogno voluto da Billeri, a patto che
noi chiudiamo gli occhi e riponiamo in lui la nostra fiducia in lui e il suo
equipaggio. Fin dalla prima nota si è come avvolti da un’atmosfera rarefatta,
(volutamente) scarna, evocativa.
In “Giona”
(inteso come primo pezzo di questo puzzle fatto di chiaroscuri) ci si ritrova
nel bel mezzo di una storia di sopravvivenza che profuma di esperienze forti e
determinanti. “Giona” ti tiene
stretto a sé; non si può non essere sopraffatti dalla voce narrante, i cui
riferimenti sono waitsiani e gucciniani, ma da cui spicca la personalità matura
di Billeri.
“Pequod”
è sempre mare, si va, si va, dove questa volta…? L’importante è andare, ci
canta il capitano, in questa esistenza che deve essere addentata per capirne e
carpirne i sapori; alcuni sono in questo breve brano, agrodolce, ma intriso
speranza.
In “Squotivento”
fanno capolino dei suoni luccicanti; il Sole che lasciano presagire, si fa
attendere perché i ricordi di un vissuto fatto di una quotidianità di amori,
bugie, solitudini, e sconquassamenti d’anima si fanno nuvola, come fosse un
boccone amaro da ingoiare per proseguire nel cammino. Chi più, chi meno, tutti abbiamo
respirato queste atmosfere, quindi il pezzo è per ognuno di noi, non solo per
chi la canta e chi la suona, portando la sua visione che è matrice di ogni
occhio aperto alla strada.
“Dietro
La Porta” è desertica; siamo nel West, sia di riferimenti, sia di idee,
quasi un post-country minimalista utilizzato dalla nostra ciurma per
raccontarci il mistero del luogo, il padre che dispensa consigli, la notte che
non ti fa dormire.
“Sta
Scendendo Sera” è tramonto, siamo ancora nel nuovo mondo, ce lo fa capire
una chitarra magnifica che pone contrappunti di rara bellezza. Balzano alla
mente momenti lontani, che Valerio ci riporta alla mente, riflettendo sul
cambiamento del giorno, rapportato a quello del nostro domani. In una parola:
ricordo.
“Prima
Di Casa” fa risalire il tono, ci riporta al presente, anche se di notte
comunque si parla; è ancora strada, in cui può capitare di entrare in bar molto
cattivi, dove pesti cicche spente, dove le moquettes ai muri respirano gli
sguardi truci degli avventori, come il melange che i nostri marinai ti
suggeriscono con un impostazione da vecchio saloon dove non si può essere al
sicuro, in cui spicca una minacciosa armonica a bocca. La radio gracchia
canzoni sghembe, e se ti capita di bere una birra, bevine due: ti conviene.
E arriva “Ulisse”: pianoforte e voce bastano per far venire i brividi, e il
titolo la dice lunga sul significato del desiderio di approdare che ha il
viaggiatore, dove per giorni e giorni si è rimasti soli coi propri desideri, coi
propri pensieri, dove un’urgenza di felicità fa di tutto per raggiungere la
propria terra interiore fin oltre l’orizzonte, al buio prima, all’ora blu poi,
dove la notte si fa alba. Di caposseliana memoria, questo pezzo è rarità per
chi vuole realmente dare un valore aggiunto al perché si decide, a volte, di
ascoltare musica.
In “Zong”
si è nel bel mezzo della bufera, demoni e visioni tenebrose fanno la lotta per
impossessarsi dell’altrui persona, mentre un banjo risponde piccato ad una voce
quasi lontana di chi vorrebbe raccontare senza timori, dove il sorriso lascia
spazio al dubbio. Parla di echi, di paura di andare a fondo, ma dove, se si è
forti, alla fine della tempesta ci si arriva per poter poi rimettere i piedi a
terra, per raccontare che si è stati all’inferno e ritornati.
“Era
Soltanto” è polverosa, gli stivali sono intrisi di cammino, si gira e
rigira per cercare acqua per poter restare giovani; interlocutorio momento di
vita di profonda importanza, dove gli errori fanno crescere, come un assolo di
chitarra fa capire con ardore. Si era soltanto, ma si era fortemente, e
quell’essere stati non ce lo potrà rubare nessuno.
“Van
Gogh”, ultimo brano d’accompagnamento a questo errante navigare, è arrivo,
è respiro; è terra. Il Sole è arrivato a scaldare noi e il grano. Squarci di
colore dove si può rimirare, dove si deve immaginare per non perdersi ancora.
Forti di questo sospiro, ora si possono aprire gli occhi. E restiamo solo noi.
Teniamoceli stretti e supportiamoli questi
marinai del racconto, comprando i loro lavori e andando ai loro concerti. Ne
vale ampiamente la pena. E quando saranno dalle mie parti, fatemi un fischio,
anzi portatemi un biglietto per salire a bordo.
Nessun commento:
Posta un commento