Londra, 30 gennaio 1969, i Beatles suonano per l'ultima volta insieme sul tetto della Apple Corps. Diventerà un’immagine iconica del XX secolo.
Di tutto un Pop…
Wazza
3 Savile Row, Londra
W1. Era l’indirizzo del palazzo che nel 1969 ospitava la sede della Apple
Corps. Non quella di Steve Jobs: quella dei Beatles. I quattro avevano comprato
l’edificio il 22 giugno 1968 per 500.000 sterline. Cinque piani in cui lo staff
della Apple si era trasferito dal luglio del 1968: uffici di vario ordine e
grado, tra cui anche quello di un astrologo della società. C’era anche un
terrazzo, identico a quello di un qualsiasi palazzo della zona. Ma è lì che, il
30 gennaio 1969, è cambiato tutto. È lì che prese vita il primo (o magari il
più influente) gesto situazionista dell’epopea rock.
Ma andiamo per ordine.
La mattina del 2 gennaio 1969 i Beatles diedero il via negli studi di
Twickenham alle cosiddette Get Back Sessions, che li impegneranno per
tutto il mese. A dicembre il loro Doppio bianco era arrivato in testa
alle classifiche e, soprattutto, aveva ulteriormente allargato la percezione
musicale della band. Ma non a costo zero: la genesi del disco aveva spalancato
tra i quattro ferite fin lì appena visibili. I rapporti erano diventati
elettrici, e non solo per colpa di Yoko Ono.
In questo clima, tra
scatti d’ira e annunci di abbandono (sempre George) poi scongiurati, i Beatles
dovevano decidere la location del loro show. La roulette delle ipotesi sembrava
impazzita: l’anfiteatro romano di El Diem, il Grand Canyon, il Parlamento, la
National Gallery. Parole d’ordine: dimenticare Twickenham, eseguire solo
canzoni nuove. La decisione di suonare sul tetto di Savile Row iniziò a prendere
forma qualche giorno prima dello show, quando i quattro erano saliti sul
rooftop per fumare e prendere una boccata d’aria. L’attrezzatura fu piazzata la
mattina stessa del 30 gennaio, con cineprese sistemate anche sulle terrazze di
palazzi adiacenti. Si era pensato a una ripresa da un elicottero, ma sarebbe
stato illegale. Quel giorno i Beatles sembravano incerti, e faceva un freddo
cane.
Una volta preso il
via, la band ritrovò la magia di sempre. Non suonavano dal vivo dal concerto di
San Francisco, nell’ormai lontano 1966. Tre quarti d’ora, con l’aiuto del
tastierista Billy Preston, che distrussero i concetti base dell’industria
discografica. Quella del numero 3 di Savile Row non era una semplice
esibizione: era il ritorno di una leggenda che si era consegnata al suo stesso
mito, isolandosi negli studi tra nastri ed esperimenti. Ma soprattutto era
l’esaltazione del “qui e ora”: suoniamo non perché qualcuno ce lo ha chiesto,
ma perché lo vogliamo noi.
Lo show bloccò il
traffico: la polizia fu tempestata da decine di lamentele per il frastuono. “Ricevemmo
così tante proteste che dovemmo mandare qualcuno a controllare. Si scatenò una
terribile ressa”. Ad assistere c’erano segretarie, impiegati, spettatori
improvvisati e fortunati e una folla di curiosi sui marciapiedi. La
scaletta comprendeva Get Back, Don’t Let Me Down, I Got a Feeling, One After
909, Danny Boy, Dig a Pony.
Uno evento per pochi,
non annunciato, allestito contro tutto e tutti. Un presagio di quello che
sarebbe accaduto da lì a pochi anni, con il concerto sul battello dei Sex
Pistols nei giorni del Giubileo della regina, lo scandalo e gli arresti, il
punk e gli anni Ottanta, i rave e giù fino alle diavolerie dell’era social. Un
segnale di libertà artistica con cui divenne impossibile non fare i conti, uno
spettacolare salto mortale: i Beatles erano vissuti di live, poi li avevano
abbandonati per i dischi e alla fine, per ritrovare spirito, armonia e senso di
ribellione, li avevano riabbracciati stravolgendone il senso. Suonavano perché
ne avevano bisogno, perché ridava senso al loro essere una band.
Alla fine di quei tre
quarti d’ora sospesi nel tempo John Lennon fece per allontanarsi, poi tornò al
microfono sorridendo: "Grazie a nome di tutto il gruppo e di ciascuno
di noi: speriamo di aver passato l’audizione". Risate. Era una specie
di profezia, i Beatles stavano cadendo a pezzi. Ma avevano riportato il live al
centro della musica. Il loro ultimo grande regalo alla cultura dei decenni a
seguire.
P.s.: Savile Row era
una strada famosa per i suoi sarti. I Beatles aiutarono economicamente Tommy
Nutter quando apri la sua boutique al n.35 il 14 febbraio 1969. Fu lui a cucire
i vestiti che John, Paul e Ringo indossano sulla copertina di Abbey Road. The
end.
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