L'album fece la fortuna del "giovane" Oldfield e della neonata etichetta "Virgin", la sola che ebbe il coraggio di pubblicare il disco.
Di tutto un Pop…
Wazza
Il 25 maggio del 1973 esce TUBULAR
BELLS, di Mike Oldfield, l'incredibile esperimento che nessuno voleva
pubblicare, e che invece divenne il primo mattone dell'impero della Virgin di
Richard Branson. Fu lui ad accettare la folle idea di quel genio ventenne che
proponeva di realizzare un disco con una sola composizione divisa in più
movimenti, a 28 strumenti tutti suonati da lui, dove si ripercorrono
praticamente tutti gli stili della musica popolare.
Folk, Rock, musica classica,
minimalismo e psichedelia soft, contrappunti di piano ed elettronica, organi e
danze rurali, campane e cori femminili.
Nessun discografico aveva avuto il coraggio di assecondare
questo enfant prodige. Branson lo mandò in studio dai suoi ingegneri del suono,
Tom Newman e Simon Heyworth, e quando questi ascoltarono l'opera, il loro primo
commento fu: "Questo è pazzo". Poi però si lasciarono
contagiare dalla follia e dissero a Branson che sì, si poteva fare, e che se
lui avesse voluto creare qualcosa di diverso non avrebbe potuto esserci inizio
migliore.
“Tubular Bells” vendette oltre dieci milioni di copie, rimase
in classifica per 247 settimane, conquistò anche l'America (grazie al suo
utilizzo nella colonna sonora de “L'Esorcista”) ma soprattutto divenne punto di
riferimento per le opere future, gettando un simbolico ponte tra la musica prog
che regnava in quella prima metà degli anni ‘70, e la New Age, che busserà anni
dopo alle porte del rock.
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