Il 31 dicembre del 2013 ci
lasciava Roberto Ciotti, chitarrista
italiano, nato a Roma il 20 febbraio 1953. È considerato uno dei più grandi
chitarristi blues italiani di tutti i tempi, ed è stato anche un apprezzato
compositore di colonne sonore.
La sua carriera musicale iniziò negli
anni '70, quando entrò a far parte del gruppo di rock progressivo Blue Morning.
Dopo lo scioglimento del gruppo, Ciotti iniziò a dedicarsi al blues, e nel 1977
pubblicò il suo primo album da solista, "Super Gasoline Blues".
L'album fu un successo di critica e
pubblico, e consacrò Ciotti come uno dei più importanti esponenti del blues
italiano. Negli anni successivi, pubblicò altri 15 album da solista, oltre a
collaborare con numerosi altri artisti italiani e internazionali, tra cui Chet
Baker, Bob Marley, Pino Daniele, e Claudio Baglioni.
Nel 1989, compose la colonna sonora
del film "Marrakech Express", di Gabriele Salvatores. La colonna
sonora fu un successo internazionale, e contribuì a far conoscere il blues
italiano a un pubblico più vasto.
Ciotti continuò a suonare e comporre
fino alla sua morte, avvenuta a causa di un male incurabile.
Con la "speranza" che il prossimo anno sia
"meno peggio" di questo, vi saluto con un ricordo di Gianni Nocenzi
di un capodanno di qualche anno fa…
Cin cin
Wazza
Un pensiero di Gianni per il grande Greg Lake.
In memoria di
Gregory Stuart 'Greg' Lake
Mi girai verso
Vittorio, seduto accanto a me al banco di missaggio, e gli dissi: questo è
uno forte. Immediatamente mi resi conto della sciocchezza che avevo detto e
pensai… certo che è forte, è
Greg Lake! Era la notte di capodanno (del 74?), Air London Studios: l’emozione di lavorare con gli ascolti custom voluti da
George Martin! Greg era arrivato prima di mezzanotte con due amici e subito si
era tuffato con noi sulla consolle (all’epoca la tecnologia total recall nei mixer ovviamente
non esisteva e si missava a 4-6-8 mani, una specie di polpo gigante con 3 o 4
teste a governare switches, fader, potenziometri), velocissimo, aveva
inquadrato perfettamente il brano ed il suo arrangiamento spalmato su decine di
canali, ma il brano non girava: sconforto; eravamo come al solito in ritardo. Improvvisamente:
”Proviamo così”… fulmineo spegne il canale del basso e lascia passare
tutta la prima strofa. “Ma non si fa!”, penso sconcertato, “che ha in testa?”. Poi sull’attacco della seconda strofa commuta al volo il canale
del basso con un volume sostenuto - un’ondata di frequenze basse irrompe nel mix ed il
fraseggio del basso mette il turbo all’arrangiamento: il brano decolla come un missile! Brindisi, abbracci, ormai è l’anno nuovo e il disco è finito.
A volte sottraendo si aggiunge molto di più, una grande lezione che ancora mi
arricchisce, nelle cose di musica e non solo.
Ora c’è che sono
stanco di piangere grandi persone che se ne vanno, ho deciso di pensare solo
alla bellezza che ci lasciano. A Natale mi faccio un regalo: riascolto tutta la
Musica che ci hai regalato insieme ai tuoi incredibili compagni di viaggio.
Grazie Gregory. Riposa in pace.
Magical Fairport Convention 1969, backstage at Top Of The Pops. Dave
Swarbrick, RT, Dave Mattacks, Ashley Hutchings, Simon Nicol, Sandy Denny.
Nel dicembre del 1969 usciva
uno dei capolavori del folk-rock inglese, “Liege
& Lief” dei Fairport Convention.
Ascoltare
per credere…
Wazza
Il folk revival inglese fu un
movimento che ebbe un breve periodo di luce tra la fine degli anni Sessanta e
l’inizio del decennio successivo; un periodo breve ma che brillò di una luce
fulgida.
Come per il blues – che prendeva le
mosse dalla musica rurale degli afroamericani rielaborata con gli strumenti
urbani inglesi –, il fenomeno si basava sul folk tradizionale celtico,
attualizzato con l’introduzione della tipica sezione ritmica del rock e facendo
convivere strumenti classici come flauto e violino con la chitarra elettrica.
Il folk rock ebbe inizialmente grande
successo oltreoceano, con gli esperimenti dei Byrds che – riarrangiando i
successi di Bob Dylan in chiave elettrica – aprirono la strada allo stesso
folksinger di Duluth che, dal 1965 in poi, passò alla strumentazione più
moderna, scioccando i puristi del genere. Va tuttavia fatta una distinzione tra
il folk rock americano e quello inglese; se il fil rouge che lega il primo alla
tradizione passa attraverso il country di Woody Guhtrie, il bluegrass e la
musica degli hobo e dei cowboy in generale, il folk rock inglese affonda le
radici molto più in profondità, nelle canzoni e musiche tradizionali celtiche e
nelle ataviche gighe suonate con la cornamusa e altri strumenti antichi. Siamo
quindi in presenza di una musica basata su ancestrali melodie e su tematiche
spesso esoteriche e inerenti a fatti di sangue o storie soprannaturali legate
alle leggende del piccolo popolo.
Due furono le figure che inizialmente
si distinsero nel movimento e che diedero vita ad altrettanti gruppi: Richard
Thompson coi suoi Fairport Convention e John Renbourn coi Pentangle. Le due
band rimangono a tutt’oggi i più fulgidi esempi di folk revival inglese,
autrici di alcuni capolavori che resero il movimento leggendario; le radici del
folk celtico, tuttavia, hanno influenzato e dato grande lustro anche a molte
opere di solisti come Nick Drake e John Martyn e di band come Jethro Tull, Led
Zeppelin e Traffic, oltre ad aver influenzato – per musica e tematiche – molti
complessi di rock progressivo.
I Fairport Convention si formarono
inizialmente nel 1967, esibendosi per la prima volta in una chiesa del nord di
Londra; ne fanno parte Asheley Hutchings, bassista e cantante, Richard Thompson
alla chitarra solista e Simon Nicol a quella ritmica, e il batterista Shaun
Frater, presto sostituito da Martin Lamble. Il nome della band nasce dalla casa
di Nicol – Fairport, appunto – dove i quattro si incontrano per provare. Al
principio i ragazzi suonano cover della west coast americana, da Dylan a Joni
Mitchell; una volta messi sotto contratto dalla Island e aggiunte le voci di
Judy Dyble e Iain Matthews, i Fairport Convention esordiscono con l’opera
prima, che porta il loro nome come titolo.
La band viene subito etichettata come
una sorta di clone inglese dei Jefferson Airplane, band di folk rock
psichedelico allora di gran voga a San Francisco; il 1969 è l’anno della svolta
per la band, nel bene e nel male, con l’ingresso in formazione della portentosa
vocalist Sandy Denny che esordisce in “What We Did on Our Holidays”. La Denny
porta in dotazione la sua voce, dal timbro peculiare e assai suggestivo, dalla
grana nebbiosa, quasi a evocare la brughiera e i tipici paesaggi britannici, e
la propria passione per le radici del folk tradizionale; sicuramente debitrice
al folklore e alla grande lezione di Shirley Collins, Sandy Denny riesce
comunque a lasciare la sua impronta personale e a diventare il personaggio più
iconico del folk revival. L’album, molto buono, si pone a metà tra le
derivazioni west coast e i primi aneliti celtici.
Matthews abbandona, lasciando a Sandy
campo libero come vocalist e si aggiunge Dave Swarbrick, mandolinista e
soprattutto violinista di limpida classe. Esce “Unhalfbricking”, secondo dei
tre album dell’anno e primo capolavoro folk del gruppo. Purtroppo – come si
dice in questi casi – il destino è in agguato: un terribile incidente del
pullman su cui la band si sposta, costa la vita a Lamble e a Jeannie Franklyn,
la fidanzata di Richard Thompson. Gli altri componenti si feriscono in modo più
o meno grave e meditano di abbandonare le scene, svuotati dalla drammatica
vicenda. Il manager Joe Boyd, che crede molto nel progetto, invita i giovani a
non prendere decisioni a caldo, e affitta loro una dimora vittoriana nelle
campagne dell’Hampshire, nei pressi di Winchester. La quiete del luogo,
l’immersione nella vita della campagna e degli splendidi boschi locali, unità
al consolidamento dei rapporti e all’ispirazione quasi trascendentale di Sandy
Denny verso la musica tradizionale fanno il miracolo. Il compless Pin on ROCK
MUSIC SOLDIERSo ne esce rinfrancato e, in preda a un sentimento quasi mistico,
registra il capolavoro della propria discografia: “Liege & Liefe”.
L’Album si compone di otto brani, di
cui ben cinque sono riarrangiamenti di canzoni folk le cui origini si perdono
tra le pieghe del tempo. Non basta, i tre pezzi originali suonano ancora più
attinenti alle regole del genere rispetto alle cover, a testimonianza del
genuino trasporto dei musicisti verso quelle musiche. Il disco si apre con
“Come all ye”, pezzo originale composto in collaborazione dalla Denny e dal
bassista Ashely Hutchings; siamo subito di fronte a una sarabanda di suoni e
atmosfere fiabesche, rotte da un ritornello che contiene ancora qualche
assonanza col country rock americano. Un brano travolgente che oltre a mettere
in luce le straordinarie qualità vocali di Sandy Denny, offre un assaggio dei
duelli tra chitarra e violino che caratterizzeranno il suono dei “nuovi”
Fairport Convention.
“Reynardine” offre subito un cambio
di registro importante; la voce di Sandy si fa solenne, da vera sacerdotessa
del folk rock, declamando i versi sul bordone di viola di Swarbrick, solo a
tratti punteggiato dagli altri strumenti. L’atmosfera è quella di un qualche
rito druidico, magari tra le rovine di Stonehenge all’alba; lo sappiamo, sono
stereotipi del genere, eppure è difficile non abbandonarsi alle suggestioni
fiabesche dei Fairport Convention, e l’ispirazione di Sandy Denny in questo
lavoro ha davvero contorni mistici. Quattro minuti di pura magia.
“Matty Groves”, a seguire, è forse il
pezzo più celebre della band e quasi un manifesto programmatico dell’intero
movimento. Il brano, un tipico traditional sul tema dell’adulterio, affonda le
radici forse nella Scozia del ‘600 e fu importato negli Stati Uniti proprio
dagli immigrati scozzesi in USA e in Canada, dove è conosciuto anche col titolo
di “Little Musgrave and the Lady Barnard”. La versione che ne danno i Fairport
Convention è archetipica del loro approccio al folk e di come riuscivano a
portare nella realtà evoluta del 1969 le antiche radici musicali di cui erano
appassionati: la base è fortemente ritmica, col basso e la batteria di Dave
Mattacks che pompano come uno stantuffo; i cambi di registro vocale di Sandy
Denny sono impressionanti nel rendere la drammaticità della storia, mentre il
violino di Swarbrick e la chitarra di Richard Thompson si prendono a turno la
scena. La durata di otto minuti permette una serie di evoluzioni strumentali che
paiono quasi anticipare i cambi di ritmo che saranno tipici del prog; a un
certo punto l’incedere si fa più veloce e, su quella che sembra quasi una giga
scozzese, Thompson e Swarbrick si producono in una serie di fraseggi che allora
erano qualcosa di totalmente nuovo. Nessuna assonanza né col jazz e tantomeno
col blues, all’epoca fonti uniche di ispirazione degli assoli rock. La chitarra
di Thompson a tratti anticipa quasi – in modo molto più pulito e ortodosso – lo
stile di Ritchie Blackmore, peraltro a sua volta grande cultore della
tradizione celtica. Un incredibile tour de force che riesce nel miracolo di far
sposare rock e folk celtico.
Con la successiva “Farewell,
Farewell” si tira un po’ il fiato. Il brano – quasi una ninna nanna – è un
originale di Richard Thompson, condotto dal dolce arpeggio della sua sei corde
elettrica e dalla voce mai così estatica e improntata ai registri più alti di
Sandy Denny. Una splendida melodia completa il bozzetto: un brano molto più
breve degli altri ma perfetto nel rendere ulteriormente le atmosfere fiabesche
del lavoro. La successiva “Deserter” prosegue sulle stesse suggestioni degli
altri brani, anche se, in mezzo a un tale numero di brani capolavoro, risulta
forse leggermente più evanescente; non è così di certo per la successiva
“Medley”. Come da titolo, il brano è una sorta di minisuite che unisce quattro
melodie tradizionali, partendo da una scatenata giga guidata dal violino di
Swarbrick; ed è proprio il nobile strumento del buon Dave a menare le danze per
i quattro minuti del medley – totalmente strumentale – rendendo bene l’idea di
quanto le radici folk britanniche fossero rispettate dal complesso.
La successiva “Tam Lin” è di nuovo un
brano tradizionale che riporta però alla guida la chitarra di Richard Thompson.
Il chitarrista si prende la scena con un arrangiamento ai limiti dell’hard
rock, il più duro della raccolta, e un assolo che riprende le radici
psichedeliche da west coast della band. Anche la parte vocale di Sandy Denny
non sfigurerebbe a confronto con la migliore Grace Slick, a testimonianza di
una duttilità del suo timbro vocale che avrà pochi eguali. La storia narra le
peripezie di Janet a Carterhaugh, una fiaba che coinvolge il mondo delle fate e
che deriva dalla tradizione scozzese.
A un album come “Liege & Lief”
manca solo una degna conclusione, e “Crazy Man Michael” è in questo senso
perfetta. Il brano è originale, composto da Swarbrick e Thompson, ma sembra
quasi impossibile credere che non sia un pezzo tradizionale. L’arrangiamento,
l’andamento e la melodia sembrano uscire dall’ennesima leggenda medievale
narrata da qualche trovatore, eppure la canzone è stata scritta nel 1969.
Si giunge alla fine dell’album quasi
trasalendo; la sensazione è quella di essere stati immersi in una realtà
parallela per i quaranta minuti del disco: una realtà fatata che è quasi
difficile abbandonare.
“Liege & Lief” è uno di quei
piccoli miracoli della musica rock, l’espressione perfetta di una band in stato
di grazia. Un equilibrio trovato per qualche mese tra una tragedia che aveva
scosso e – paradossalmente – legato i giovani musicisti, prima che il successo
e le ambizioni personali portassero all’inevitabile divisione. Hutchings
abbandona la formazione per formare gli Steeleye Span, e Sandy Denny fa lo
stesso per dare vita ai Fotheringay prima e per dedicarsi alla carriera solista
poi (celebre il duetto con Robert Plant in “The Battle Of Evermore”, da “Led
Zeppelin IV”); di lì a poco anche Thompson lascerà e, nel giro di qualche
album, rimarrà il solo Swarbrick.
Tra alti e bassi la storia dei
Fairport Convention va avanti ancora oggi, con uno zoccolo duro di appassionati
che li segue quasi maniacalmente e con periodiche impennate d’interesse verso
una sorta di revival del revival. Attorno al 2010, bande come Circulus, Espers,
Eralnd & The Carnival e Midlake, ebbero una breve stagione di gloria
rifacendosi a quei suoni.
Diversa e tragica la sorte di Sandy
Denny, che morirà nel 1978 dopo una caduta dalle scale; ma questa – come sempre
– è un’altra storia.
“Le parole di Sinfield sono un
puzzle, un geniale rompicapo, un bellissimo mosaico di saggezza in cui ogni
tassello va girato e rigirato come in un cubo di Rubik”
Compie gli anni oggi, 27 dicembre,
Pete Sinfield,il
poeta del Prog, ma anche "acuto" produttore.
Il nome di Sinfield è generalmente
associato, innanzitutto, a quello dei King Crimson di Robert Fripp e Greg Lake.
Sinfield collaborò con il gruppo dal 1969 (anno dell'album di debutto “In the
Court of the Crimson King”) fino a tutto il 1971 (Islands), apparendo come
produttore, membro ufficiale del gruppo e autore dei testi.
In seguito, Fripp chiese a Sinfield
di lasciare i King Crimson.
Tra le varie collaborazioni, da ricordare
quella con la Premiata Forneria Marconi.
Happy Birthday Pete!
Wazza
(dalla rete)
Se consideriamo la storia travagliata
del gruppo nei suoi primi anni, è evidente come l’elemento unificante, la vera
guida dei King Crimson, non sia stato tanto Robert Fripp, che spesso all’epoca
sembra vittima passiva degli eventi, quanto Pete (Peter) Sinfield.
Un compito ben gravoso per chi si è
assunto l’onere di scrivere i testi, provvedere all’impianto luci, sedere al
mixer, curare la grafica delle copertine e perfino, all’occorrenza, caricare e
scaricare il pesantissimo Mellotron dal furgone.
ROBERT
FRIPP and PETE SINFIELD from Ciao 2001, february 1972
Diversamente da Fripp – nato in
provincia, nel Dorset, da una famiglia modesta – Peter Sinfield era il classico
esponente della swinging London, un giovane hippy innamorato dei poeti beat, di
Bob Dylan e di Donovan. Figlio di una militante di sinistra bohémienne e bisessuale
che lo porta giovanissimo alle marce della pace, ha come governante una celebre
artista circense, Maria Wallenda.
Le sue frequentazioni preferite sono
i romanzi di fantascienza, i drammi di Shakespeare, il Signore degli anelli di
Tolkien, le canzoni di Simon & Garfunkel, e ancora le canne, le mostre
d’arte, la prima musica psichedelica: è questo il disordinato ed esaltante
percorso di formazione del giovane Peter.
Strimpellando malamente la sua
chitarra ha già imbastito, ispirandosi a Dylan ma con l’orecchio attento al
“celtico” Donovan, due ballate sull’alienazione, il dominio totale di anonimi e
potenti burattinai, i rischi della guerra nucleare dell’inquinamento, quando
incontra Ian McDonald, un brillante polistrumentista che si è fatto le ossa suonando
in banda durante il servizio militare e che si offre di sviluppare quelle idee
appena abbozzate.
Mel
Collins & Pete Sinfield with PFM
From L to R: Keith Emerson, Pete
Sinfield (lyricist for ELP, King
Crimson, etc), H.R. Giger, Carl Palmer, and Greg Lake
“I migliori anni di una vita sono
quelli che non si sono ancora vissuti"
(Victor Hugo)
Compie gli anni oggi, 27
dicembre, Gianni Nocenzi, "l'altra
mano" del Banco del Mutuo Soccorso.
Sceglie un percorso di ricerca,
avanguardia e studi.
Incide due album avanti anni luce
rispetto allo standard discografico degli anni ‘80/’90, "Empusa"
e "Soft songs".
Dopo 23 anni di silenzio voluto è
tornato con un grande album di piano-solo, "Miniature",
considerato a ragione una delle più importanti e inattese sorprese del 2016.
Uno dei pochi geni del panorama
musicale.
Avanti così "brother"
Gianni, raggio di sole in questo grigiore musicale!
Buon compleanno!
Wazza
Pianista e compositore iconico della
scena contemporanea.
Leggendaria la sua partecipazione al
Banco del Mutuo Soccorso, da lui fondato con il fratello Vittorio, e con il
quale ha realizzato 15 album, dal mitico ‘Salvadanaio’ del 1972 a ‘Moby Dick’.
Dal 1985 inizia un suo personale
percorso di ricerca e sperimentazione sul suono diventando influente Sound
Designer, grazie alla sua pionieristica collaborazione con AKAI Professional,
azienda leader nella tecnologia del digital sampling, per la quale realizza la
serie di pianoforti digitali PG, realizzazione acclamata negli anni ’90 a
livello mondiale.
Parallelamente realizza ‘Empusa’,
Virgin 1988, (‘The best stereo sound recording since Dark side of the moon' –
Sound on Sound), ‘Soft Songs’, Virgin 1992, con la partecipazione di Ryuichi
Sakamoto, Sarah Jane Morris e Andrea Parodi tra gli altri.
A sorpresa nel 2016 esce ‘Miniature’,
album di solo piano con composizioni inedite, registrato con tecniche
innovative e salutato coralmente da stampa e media come vero e proprio evento
discografico dell’anno.
Compie gli anni oggi, 25
dicembre, Jacqui Mc Shee, cantante
autrice, nota per essere la voce femminile dei mitici Pentangle, raffinato
gruppo di folk-jazz-etnico-rock!
Happy Birthday Jacqui!
Wazza
La musicista di questa
settimana è Jacqui McShee, all'anagrafe Jacqueline McShee, nata a Londra il 25
dicembre del 1943, cantante inglese famosa per la sua militanza nei Pentangle
accanto al chitarrista e polistrumentista John Renbourn.
La sua carriera comincia
ufficialmente all'inizio degli anni '60 quando, per le vie inglesi,
folleggiavano il beat, il rock, ma soprattutto il folk. È l'epoca dei locali
con musica dal vivo, i Beatles ne sapevano qualcosa, ed è proprio in questo
fantastico periodo che la McShee si esibisce.
Dai e dai, una sera
incontra il chitarrista John Renbourn che le propone di prestare la sua
stupenda e delicata voce per i Pentangle, un gruppo folk con influenze rock e
jazz per non parlare dei rimandi alle melodie medievali.
Recuperati gli altri
musicisti quali Terry Cox (batteria, percussioni e glockenspiel), Bert Jansch
(chitarra, banjo e voce) e Danny Thompson (contrabbasso) la formazione è al
completo ed i Pentangle si sono ufficialmente formati (1966).
Nel 1968 il gruppo
esordisce sul mercato discografico con il primo album omonimo, “The Pentangle”,
contenente un misto di canzoni folk tradizionali della cultura inglese,
adeguatamente riarrangiati, e brani originali.
I primi quattro album
(“The Pentangle”, “Sweet Child”, “Basket of Light” e “Cruel Sister”) seguono
tutti questo schema e si possono udire quasi esclusivamente strumenti acustici.
I successivi dischi degli anni '70 vedranno poi una svolta elettrica prima
dello scioglimento della band.
In seguito, la McShee
prosegue come solista, Jacqui McShee's Pentangle. e partecipa alla reunion dei
Pentangle nei primi anni '80 con una formazione che vede ancora presente anche
il batterista Gerry Conway (Jethro Tull, Faiport Convention e Cat Stevens tra i
vari) che è anche il marito della cantante.
Compie gli anni oggi, 24 dicembre,
Jan Akkerman, chitarrista olandese di
estrazione jazz/fusion, fondatore insieme a Thijs Van Leer dei Focus.
Il suo micidiale attacco su “Hocus
Pocus” è entrato nella storia del rock.
Happy Birthday Jan!
Wazza
Iniziò a suonare nei tardi anni Sessanta con il
gruppo Brainbox, poi nel 1969 fu uno dei fondatori dei Focus, guidati dal
tastierista-compositore Thijs van Leer, con cui realizzò due dischi. Scrisse il
famoso brano strumentale "House of the king", che arrivò in testa
alle classifiche di vendita in Europa e Stati Uniti. Seguì un tour mondiale che
portò i Focus a grande notorietà e Jan Akkerman venne premiato come miglior
chitarrista del mondo, nell'anno 1973.
Seguirono altri dischi e altri tour,
fino al termine del 1975, quando Akkerman intraprese la carriera solista,
lasciando i Focus, che dopo un anno si sciolsero.
Dal 1976 si esibì
"unplugged" (solo con la chitarra) e anche con il suo gruppo, in un
genere che possiamo definire "fusion", ma con molte venature melodiche
e anche sinfoniche. Attualmente Jan Akkerman non fa mancare la sua presenza nei
vari Jazz Festival di Belgio, Paesi Bassi e Germania Settentrionale.
Comunque, nel 1990, per la
televisione olandese, Akkerman, Van Leer e gli altri Focus si riunirono e
suonarono alcune canzoni, ma l'episodio fu isolato. Nel 1990 un suo disco venne
prodotto da Miles Copeland, e ne venne tratto un singolo intitolato "Prima
Donna", che ebbe un discreto successo. Dopodiché la sua fama declinò, ma
restò a un buon livello quantomeno nei Paesi Bassi.
Nel 2002, alla ricostituzione dei
Focus, Jan Akkerman decise di non farne parte.