Ci lasciava il 10 marzo 2016 il grande Keith Emerson, il prog fatto uomo.
Ci rimarrà sempre la
sua musica, la sua disponibilità e gentilezza.
Per non dimenticare…
Wazza
Ricordo di Vittorio
Nocenzi (marzo 2016)
L’ho saputo ieri, e
non riuscivo a crederci, penso come la maggior parte delle persone che hanno
amato quest’artista speciale. Keith era un uomo gentile, sorridente, ironico,
l’opposto dell’icona della rock star, e io questo posso dirlo con certezza
avendo avuto la fortuna di frequentarlo in un periodo della mia vita, quando
cioè con il Banco eravamo a Londra a registrare il nostro primo album per la
loro etichetta, la Manticore.
Indelebile è il
ricordo della grande suonata a quattro mani che ci facemmo sul suo organo
bianco Yamaha, nel teatro dove ELP facevano abitualmente le loro prove. Fu il
suo modo di accogliermi nella sua sala prove, da musicista a musicista,
mettendomi subito a mio agio nel modo più semplice e diretto che solo i grandi
sanno avere. Non lo dimenticherò mai, seduti uno a fianco all’altro sulla panca
sopra la pedaliera dell’organo: davanti a noi le tre tastiere dello Yamaha e in
alto un mini-tastierino aggiuntivo, collegato direttamente ad un synt dotato di
glide, con il quale potevi eseguire il tuo assolo mentre l’altra mano si
muoveva su un’altra delle tastiere per eseguire gli accordi. Era un organo
pazzesco, con collegati ai pedali altri synt: per me era una gioia piena di
forza e le idee si incrociavano velocissime l’una con l’altra e, in tutto
questo, avevo seduto al mio fianco Keith: una sensazione parecchio vicina,
credo, alla felicità. Ne parlo oggi ancora con lo stesso entusiasmo che provai
tanti anni fa (erano i primi anni ’70) ed è la prova di cosa rappresentò per
me, appena arrivato a Londra per registrare il primo album in inglese del Banco
e ritrovarmi a suonare, seduto uno al fianco all’altro, con Keith Emerson. E
suonammo a lungo, con trasporto, come se non avessimo fatto nient’altro prima
di allora, un’intesa naturale come solo la musica ti sa regalare. Questo era
l’uomo che stava dietro la rockstar, lo stesso uomo che arrivò, insieme a Greg
Lake, a mezzanotte di qualche giorno dopo, in sala di registrazione, quando la
stanchezza cominciava a tagliarti le gambe. Ecco, con un grande sorriso, Keith
che tira fuori un vassoio di roast beef e lo poggia sul mixer! E mi dice:
adesso mixiamo questo. Fu il segnale per un momento di relax, ma soprattutto
per sentire la vicinanza umana di ELP, mentre stavamo registrando in studio.
Dal mio punto di vista non occorrono episodi più importanti per dire quanto io
lo abbia sentito sempre vicino come persona. Se parlassi di Emerson come
artista, mi aggiungerei a migliaia di persone, ad altri musicisti, ad altri fan
di ELP e così via. Però, a proposito di Keith come musicista, una cosa dopo
tanti anni voglio dirla: ho sempre ammirato Emerson per la classe del suo
fraseggio improvvisativo, mai banale e mai al servizio del virtuosismo
stucchevole che altri strumentisti sfoderano per stupire l’ascoltatore. Il suo
virtuosismo, la sua tecnica, sono stati (come secondo me DEVE essere) sempre al
servizio dei contenuti musicali di quello che scriveva ed eseguiva e solo poi,
ma come quasi un incidente inevitabile di percorso, al servizio della
spettacolarità che stupisce gli ascoltatori meno preparati musicalmente. Alcuni
passaggi della sua musica dovranno essere studiati dai giovani tastieristi e
pianisti ancora per tanto tempo, per capirne la profondità e l’originalità,
lontana anni luce dal virtuosismo sciocco ed inutile. Inoltre, l’aver ascoltato
ed amato spesso gli stessi musicisti classici me lo ha fatto sentire sempre
particolarmente vicino. Come non citare il suo amore per la musica di Bartok o
quella di Aaron Copland? Per cui il pensiero che Keith ora non ci sia più, mi
risulta particolarmente doloroso. È con profondo affetto che desidero
abbracciare quindi anche Greg Lake e Carl Palmer, oltre, ovviamente, i suoi
famigliari.
Queste sono le
magie della musica, che ti fanno amare e sentire fratello di sangue chi ama le
stesse immagini impalpabili dell’anima, che ti regala un ascolto profondo e
partecipato. Caro Keith, non smetterai mai di suonare ancora per tutti quelli
che ti hanno amato.
Vittorio N.
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